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→  ottobre 6, 2005

il_riformista
Proposte. Se l’Unione vince le elezioni

di Carlo Rognoni

Un auspicio: che il nuovo governo di centro sinistra cambi da subito i criteri di nomina del consiglio di amministrazione della Rai. Senza aspettare che quello attuale decada. Personalmente è da anni che dico che i partiti devono fare un passo indietro, che la lottizzazione deve finire.
E adesso leggo che tutti sembrano d’accordo:lo ha affermato il presidente Petruccioli, lo ha chiesto perfino Sabina Guzzanti (!) in un appello firmato da molti giornalisti e intellettuali. Lo ha scritto Sandro Curzi. E Romano Prodi, parlando della riforma delle Autorità di garanzia, ha avanzato una proposta che si potrebbe applicare anche alla Rai: il governo indica il presidente e il direttore generale che devono ottenere il voto di due terzi del parlamento, e questo dopo un passaggio alle Camere in cui i due spiegano perché hanno i titoli per essere scelti. E gli altri consiglieri? Forse ne bastano cinque. Li scelgano i presidenti delle Regioni, i sindaci delle dieci città più popolate d’Italia,i sindacati confederali, la conferenza dei Magnifici Rettori delle università, l’associazione dei consumatori.E si faccia in modo che anche questi consiglieri passino al vaglio di una commissione parlamentare.In questo caso
magari può bastare la maggioranza semplice dei voti. Insomma quello che conta è che si stacchi la spina che collega impropriamente le segreterie dei partiti direttamente al servizio pubblico. Una Rai governata da manager credibili e non dalla politica – ma controllata dal parlamento – avrà anche l’autorevolezza per difendere se stessa e affrontare la concorrenza molto meglio di oggi. Non vi piacciono queste proposte? Avanzatene altre! Ma per l’amor d’iddio cambiamo l’attuale legge e diamo alla Rai l’opportunità di essere gestita più dai manager che dai politici. E poi una raccomandazione: basta parlare di «privatizzazione à la Gasparri». Ma basta anche all’idea che sia sufficiente vendere una rete o due a qualche privato per avere il miglior pluralismo possibile.
E ve lo dice uno che in passato ci ha creduto alla possibilità di rompere il duopolio e di creare un terzo soggetto imprenditoriale vendendo una rete della Rai. Insomma, non sono le privatizzazioni che mi spaventano. Anzi. Quello che non mi piace è che oggi si insista pigramente su una soluzione che poteva avere un senso alcuni anni fa – negli anni dell’analogico imperante – e che con la rivoluzione digitale, con la convergenza, ha molte meno ragioni d’essere. Insistere sull’idea che per creare più mercato si debba vendere una o due reti Rai significa non aver capito che il mondo della società dell’informazione sta cambiando, anzi è già cambiato:i classici broadcaster se la devono vedere non solo con la piattaforma satellitare (certe domeniche Sky supera abbondantemente il 10 per cento degli ascolti), ma sempre di più con la Iptv,la televisione via Internet,con il Dvb-h, la televisione mobile. E’ un cambiamento che ha avuto una fortissima accelerazione negli ultimi mesi e che vedrà molto presto le società telefoniche sfidare le vecchie società televisive anche sui servizi e sui contenuti.
Ora che cosa deve fare un buon governo di centro sinistra?
Farsi carico di una riforma che risponda alla domanda di più mercato, più pluralismo, di una informazione più libera, anche nella televisione.
Si devono dunque creare le condizioni per un mercato più ricco di soggetti imprenditoriali, ma si deve anche immaginare come poterlo fare nell’epoca della convergenza. E in un modo che non sia vecchio o velleitario. La Gasparri si è messa sotto i tacchi regole e norme antitrust. Bisogna assolutamente ripristinare regole antitrust. Ma quali regole per facilitare l’accesso al mercato di nuovi entranti anziché scoraggiarlo? Ebbene negli anni della convergenza – quali sono quelli che stiamo vivendo – il mercato si difende intervenendo soprattutto su un punto di cui ancora non si parla abbastanza, e cioè sulla capacità trasmissiva della futura «rete convergente», che non comprende solo reti tv ma anche reti di tlc, fisse e mobili. Il punto debole della rete convergente è proprio costituito dalla capacità trasmissiva delle reti televisive.Quest’ultima è infatti indispensabile per servire gli utenti
in mobilità e sarà richiesta da editori, fornitori di contenuti indipendenti, broadcaster radio e Tv e anche dagli operatori telefonici mobili.
Si tratta quindi di una risorsa molto scarsa.Secondo il Piano Digitale Nazionale dell’Agcom la sua capacità potenziale è di soli 360 megabits al secondo. Molto poco, e la possibilità di razionalizzare il nostro affollato etere per raggiungere questa capacità teorica è nelle mani di chi attualmente gestisce le risorse frequenziali e ha un interesse molto limitato ad un’apertura del mercato a nuovi operatori.
E allora, per aprire davvero il mercato non dobbiamo puntare a «privatizzare reti» ma, piuttosto, a «incrementare e liberalizzare l’accesso alla capacità trasmissiva». Stabiliamo ad esempio la regola che nessun operatore che, contemporaneamente, gestisce la capacità trasmissiva, produce programmi e/o raccoglie pubblicità può disporre di più di una percentuale limitata di questo bene prezioso.Vuol dire che il numero di programmi Rai e Mediaset a regime potranno perfino crescere ma vuol anche dire che resteranno milioni di bits al secondo liberi per altri imprenditori. Per arrivare a questo risultato bisogna costringere, per esempio la Rai,a viversi sia come operatore di rete – capace di sfruttare al massimo la straordinaria quantità di frequenze di cui dispone – sia come fornitore di contenuti.Vi ricordare la società Crown Castle che entrava in Raiway? E’ la strada che va ripercorsa.Se non con gli americani con altri,magari con una società telefonica magari anche italiana. E la Rai servizio pubblico, ma non solo (nei nuovi media può benissimo cercare accordi con privati), deve tornare ad essere una grande fabbrica di prodotti televisivi,invece di trasformarsi lentamente in un supermercato che distribuisce soprattutto format di altri.
La materia è complicata e mi fermo.C’è molto altro da dire. Per esempio,è giusto affermare che bisogna togliere di mezzo il Sic. Ma per rispettare le norme europee è anche giusto che siano le Autorità indipendenti (da qui la necessità di fare in modo che lo siano davvero e non come oggi) a controllare ex post il mercato della pubblicità intervenendo duramente in presenza di posizioni dominanti. Non basta un articolo a spiegare nel dettaglio il che fare.Tuttavia mi sembra importante cominciare a ragionare sulla riforma necessaria liberandosi dalle vecchie idee, superate dai tempi della tecnologia.
A leggere D’Amico e Monaco sul Riformista mi è venuto il dubbio di essere stato arruolato nel partito Rai, il più conservatore e trasversale che ci sia. E se invece si fossero loro improvvisamente iscritti a un partito velleitario, finto riformista e finto liberal?
Ho grande stima di D’Amico e Monaco. E credo che fra i primi doveri di un buon riformista ci sia quello di capire la realtà come è e come sta cambiando e non pretendere che assomigli a quello che era e che continuiamo a immaginare. La verità è che la realtà delle nuove tecnologie della convergenza costringe a un salto culturale e politico, obbliga a vincere le antiche pigrizie. Il fatto che in passato si sia sbagliato a non privatizzare parte della Rai, non vuol affatto dire che oggi questa sia la strada da percorrere. La convergenza per qualcuno sembra di là da venire? Se ci si sente più rassicurati da una divisione della Rai,non solo fra operatore di rete e fornitore di contenuti ma anche fra una società più commerciale (che abbia gli stessi affollamenti pubblicitari di Mediaset e dunque sia più competitiva con il grande monopolista privato) e una più di servizio pubblico,si può benissimo nel breve periodo muoversi lungo questa strada. E’ una strada che fin tanto che l’analogico imperversa forse è anche giusto percorrere. Ma guai a perdere di vista il vero intervento strutturale necessario se si vuole arricchire davvero il sistema.

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Se i politici già ripudiano i politici allora la Rai è proprio mal messa
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 13 ottobre 2005

→  ottobre 6, 2005

il_riformista
EDITORIALE

Noi siamo favorevoli al testamento biologico, al principio secondo il quale l’individuo e il malato cosciente possono manifestare e ottenere il rispetto della propria volontà contraria a forme di accanimento terapeutico. E’ un principio pienamente coerente con la logica liberale del rispetto dell’individuo, nonché compatibile con la dottrina della Chiesa. Basti ricordare a come Giovanni Paolo II manifestò egli per primo, il proposito che i medici che lo seguivano si astenessero dal protrarre un’agonia che avrebbe potuto solo essere volta a mantenere funzioni vitali attraverso la necessaria cooperazione di macchine extracorporee. Detto questo, naturalmente, è un atto delicato la precisa definizione di quali siano i protocolli clinici tali da poter essere specificamente compresi nella serie di quelli che il malato può ricusare ex ante.
La decisione adottata a maggioranza dal Comitato nazionale di bioetica – escludere dalla serie di trattamenti ricusabili l’alimentazione forzata – è secondo noi comprensibile e persuasiva. L’alimentazione forzata tramite sondino, assimilabile al diritto a nutrirsi, non può essere accostata al diritto a digiunare di un sano. Per il semplice fatto che una piena assimilazione delle due fattispecie porta alla conclusione di accogliere l’ipotesi del diritto al suicidio per fame. Mentre il no all’accanimento terapeutico ha a che vedere con il rispetto della dignità e della libertà del malato, ma non ha niente a che vedere con il diritto al suicidio, che è difficile comprendere nel novero dei diritti incoercibili dell’uomo.
A questa impostazione si può obiettare che nella pratica clinica molto spesso la soluzione idrosalina attraverso la quale avviene la nutrizione e l’idratazione forzata in realtà non è affatto distinta dai principi attivi farmacologici somministrati al paziente in coma per stabilizzarne le condizioni, e dunque è discutibile respingere la distinzione tra principi nutritivi e trattamenti terapeutici. Ma si tratta di un’obiezione speciosa: che nella flebo si proceda per soluzioni uniche non significa affatto che fini e sostanze somministrate siano diverse per composizione e per fine. Diversa è invece l’obiezione di chi ritiene che a tutti gli effetti il testamento biologico possa essere esteso sino a forme di vera e propria eutanasia attiva, e dunque in quel caso pienamente comprendente anche il termine da porsi all’alimentazione. Noi siamo e restiamo contrari non per la convinzione – che lasciamo alla fede di ciascuno e che comunque rispettiamo – che la vita si identifichi con il soffio divino in ogni sua manifestazione umana. Ma per la frontiera – per noi invalicabile – tra libera manifestazione del diritto a vivere con dignità, e desiderio inaccoglibile di togliersi la vita. Essa è un bene in sé che la collettività è tenuta non a imporre in ogni modo a chi ne gode o ne soffre dopo averla avuta in sorte, ma quanto meno per tentare di impedire che venga meno per disperazione o debolezza di chi non avrebbe più, in seguito, occasione di ripensare la propria scelta.

ARTICOLI CORRELATI
Suicidarsi non è proibito anzi è un diritto fondante
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 08 ottobre 2005

→  settembre 27, 2005


di Orlando Franceschelli

Crisi ecologica, polemiche sull’insegnamento del darwinismo, scontro tra laici e cattolici su questioni bioetiche sempre più impegnative: già questi temi ci ricordano come il confronto su natura e creazione rappresenti il problema nel quale siamo tutti coinvolti. Ma in quali termini si presenta oggi questo confronto? La risposta è ben nota: Darwin ha segnato un punto di svolta epocale e semplicemente inaggirabile. Dopo Darwin, è veramente cambiato per sempre il nostro modo di guardare al mondo, alla natura umana, all’etica. E anche a Dio, alla sua onnipotenza e alla sua giustizia: quali domande rivolgerebbe un Giobbe “darwiniano” a un Creatore che dona la vita, tollerando però il male fisico, le ferite e gli tsunami planetari documentati dai processi evolutivi? Dio e Darwin, appunto: l’esito più alto e attuale di tutto il confronto tra la modernità e l’eredità teologico-filosofica delle sue stesse radici cristiane.

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→  settembre 8, 2005

di Giuseppe Berta

La sinistra usa nei suoi discorsi “parole di nebbia”, con un linguaggio criptico rivolto agli iniziati della politica e un largo impiego di “schemisecondari” (quelli per cui un’affermazione non si spiega mai di per se stessa, ma va sempre situata in un contesto destinata a renderla accettabile o inaccettabile, a seconda delle situazioni), soppesando ogni termine sulla base della sua correttezza politica. Colpe gravi, che comportano un prezzo alto nell’efficacia della comunicazione politica, ma esasperate dal fatto che la sinistra nutre in sé il “complesso dei migliori”, ritenendo di dover parlare non già a tutto il Paese e alla massa degli elettori, quanto
alla sua parte migliore, quella piu’ rispettabile sotto il profilo etico.

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→  settembre 8, 2005


di Luca Ricolfi

Un malato d’eccezione: la sinistra italiana. Una malattia subdola: l’antipatia. Una cura possibile: prenderne coscienza e correre ai ripari. In questo libro si evidenzia come la sinistra sia antipatica non solo alla destra, ma anche ai non schierati, al vasto arcipelago degli elettori che non si sentono né di destra né di sinistra. Quattro sono le sue malattie: il linguaggio codificato (io sì che la so lunga), il politicamente corretto (tu non devi parlare come vuoi), gli schemi secondari (tu non puoi capire) e la supponenza morale (noi parliamo alla parte migliore del paese). Luca Ricolfi insegna Metodologia della ricerca psicosociale all’Università di Torino, dirige l’Osservatorio del Nord Ovest e una rivista di analisi elettorale.

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→  settembre 2, 2005


di Dino Messina

Senso di superiorità e linguaggio oscuro nell’autocritica di uno studioso schierato

Si racconta che quando Dio creò il mondo concesse a ogni popolo due virtù perché potessero prosperare: fece gli svizzeri ordinati e rispettosi delle leggi, gli inglesi perseveranti e studiosi, i francesi colti e raffinati, gli spagnoli allegri e accoglienti, ma quando arrivò agli italiani disse: «Gli italiani siano intelligenti, onesti e di Forza Italia». All’angelo che gli faceva notare di averci assegnato tre virtù invece di due il Signore rispose: «È vero, però ogni persona non potrà averne più di due». Fu così che l’italiano che è di Forza Italia e onesto non può essere intelligente. Colui che è intelligente e di Forza Italia non può essere onesto e quello che è intelligente e onesto non può essere di Forza Italia.

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