Si dice «innovazione» e si pensa ai prodotti di lunghi anni di ricerche in laboratori tecnologici. Ma innovare vuol dire anche guardare le cose in modo nuovo, forzare i tabù culturali, sparigliare le carte.
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Si dice «innovazione» e si pensa ai prodotti di lunghi anni di ricerche in laboratori tecnologici. Ma innovare vuol dire anche guardare le cose in modo nuovo, forzare i tabù culturali, sparigliare le carte.
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La politica economica del governo Ciampi era assolutamente corretta, ha avuto successo, e va coerentemente proseguita.
Chi autorevolmente lo afferma non è un’opposizione frustrata e nostalgica, ma il ministro delle Finanze del governo Berlusconi: è infatti quanto si ritrova nel documento di manovra economica varato ieri dal governo.
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Lettera al Direttore
Giovedì scorso, in Commissione Industria, ho votato contro gli emendamenti al decreto sulla privatizzazione dell’Ina, a favore della tesi del Governo ed in modo difforme da Lega, Pds e Rifondazione. Credo di dovere spiegare a chi ha contribuito alla mia elezione la logica di tale comportamento.
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Nelle privatizzazioni «il governo, ha scritto su «La Stampa» l’ex ministro dell’Industria Paolo Savona nella sua intervista alla Stampa, aveva deciso di valutare caso per caso quale dei tre obbiettivi (sviluppo, governabilità, diffusione dell’azionariato) dovesse essere privilegiato nell’interesse generale del Paese». Non sembra trattarsi di alternative diverse: il governo si legittima anche in ragione dello sviluppo che riesce, a promuovere, e la diffusione, dell’azionariato non è un bene in sé, ma solo se serve ad evitare intrecci di interessi che frenino lo sviluppo e vendichino il controllo. In realtà la vera scelta è tra il massimizzare i proventi per i venditori (l’Iri o il Tesoro) e il cogliere l’occasione delle privatizzazioni per ridisegnare la mappa delle attività imprenditoriali nel Paese: nel senso, si sperava, della modernizzazione e dell’allargamento.
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“I monopoli non favoriscono i nuovi mestieri”. Lo ha detto oggi a Torino Franco Debenedetti parlando con Umberto Eco su “Informazione e Lavori”, conferenza-dibattito nell’ambito della campagna elettorale dove Debenedetti è in corsa per il senato, nelle fila del polo progressista.
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intervista di Alberto Papuzzi
«Io sono soltanto me stesso. Non sono l’aanti Berlusconi. Come potrei?». Il gran borghese Franco Debenedetti rifiuta le etichette e si irrita garbatamente se la sua candidatura nel polo progressista – collegio senatoriale numero 1 a Torino – viene messa in relazione con la rivalità tra Carlo Debenedetti, suo fratello, e Silvio Berlusconi, sua emittenza. Non è l’interprete di una guerra tra l’Ingegnere e il Cavaliere. «Però è vero – ammette – che la scesa in campo di Berlusconi mi ha dato ulteriori ragioni per essere nello schieramento progressista».
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