L’appello di Mucchetti su l’Unità «Letta e Renzi: salvate Telecom»

dicembre 17, 2013


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di Massimo Mucchetti

Faccio appello al premier e al segretario del Pd, dalle colonne de l’Unità, affinché rompano gli indugi e battano un colpo per salvare Telecom Italia dalle opache mene di un concorrente, Telefonica, o quanto meno costringano tale insidioso soggetto a pagare il dovuto lanciando un’Opa per contanti rivolta a tutti gli azionisti. Non che questo garantisca troppo, ma almeno la triste fine della madre di tutte le privatizzazioni costerebbe qualcosa al beneficiario finale e non si sarà risolta in un mancia, elargita dall’hidalgo Alierta, ai tremebondi signori di Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca d’intesa con Mediaset.

E guardino, Letta e Renzi, che l’evocazione di Mediaset non è una svista travagliesca.

Sono perfettamente consapevole che questo appello ha poche probabilità di essere accolto. Enrico Letta non è mai venuto in Parlamento a illustrare la linea del governo e a rispondere alle perplessità che essa suscita. Si è limitato a poche parole di maniera: un po’ poco per chi dice di voler fare politica industriale. Matteo Renzi ha fatto una battuta a «Servizio Pubblico» che ho dimenticato. Ma chi presiede la commissione Industria del Senato, interpretando peraltro un’opinione multipartisan, ha il dovere di parlare chiaro anzitutto ai leader del governo e del partito che sostiene.

Inerzia ingiustificata
L’inerzia del governo e del Pd non si giustifica con il rispetto del mercato in un mondo nel quale i governi intervengono pesantemente nell’economia. È dei giorni scorsi la notizia che il Tesoro Usa ha perso 11 miliardi di dollari investendo in azioni Gm. Ha fatto male? No. Ha dimostrato di avere coraggio e visione, perché oggi Gm è tornata grande e genera gettito fiscale.

Con la loro pseudo neutralità, Letta e Renzi stanno commettendo lo stesso errore che commise D’Alema nel 1999. L’allora premier postcomunista non fu responsabile di una privatizzazione sbagliata di Telecom, come ha detto Renzi. La privatizzazione la fecero Ciampi e Draghi due anni prima, e qui non abbiamo lo spazio per raccontarla come si deve. D’Alema non fece votare il Tesoro, ancora nel 1999 maggior azionista singolo di Telecom, nell’assemblea chiamata dal management per varare misure anti scalata, che sarebbero state possibili al raggiungimento del quorum. L’avesse fatto, sarebbe stato difficile per la Banca d’Italia, altra azionista Telecom, chiamarsi fuori e anche qualcun altro in Italia si sarebbe posto il dubbio se quell’Opa facesse davvero gli interessi dell’azienda. Forse non sarebbe stato sufficiente a raggiungere il quorum o forse sì.

Certo, la neutralità di D’Alema, che pure aveva la responsabilità di proteggere il valore della partecipazione Telecom del Tesoro, favorì gli scalatori e aprì le porte alla politica del debito, esaltata poi da Tronchetti Provera, e alla cristallizzazione del controllo di fatto in una scatola finanziaria, poi passata di mano più volte senza nulla dare ai soci di minoranza e ogni volta aggravando le condizioni dell’azienda.
Ora, non si può criticare D’Alema, che pure operava all’indomani dell’approvazione delle norme sull’Opa obbligatoria, e dunque si trovava in fase sperimentale, e poi seguire la stessa posizione ponziopilatesca quindici anni dopo, quando la legge sull’Opa che ha dimostrato tutte le sue fragilità e quando la sequenza delle diverse proprietà ha fatto i danni che sappiamo a Telecom.

Di più, non si può girare la testa dall’altra parte quando il fondo di private equity americano Blackrock, grande azionista di Telefonica e consulente ben remunerato di Intesa Sanpaolo, viene favorito dal management insediato dagli spagnoli e dai loro sodali italiani in modo smaccato e sospetto con l’attribuzione di una parte cospicua del convertendo senza seguire le procedure che regolano i rapporti tra parti correlate. Non si può considerare normale che Blackrock informi prima l’americana Sec del suo rastrellamento azionario in Telecom Italia e si faccia richiamare all’ordine dalla Consob. Non si può far escludere dalla commissione Bilancio della Camera l’emendamento sull’Opa per estraneità di materia (che, invece, al Senato era stata concessa) per evitare un confronto alla luce del sole e poi, nottetempo, infilare nella legge di Stabilità un emendamento sulla Consob, quasi a volerla commissariare mentre sta cercando di far luce sulle molte oscurità del caso Telecom.

Il premier Letta dice che non si interviene in una partita in corso. Ma si ricorda che cosa fece il governo di Madrid in occasione del tentato take over di Endesa da parte della tedesca E.On? E si ricorda come Enel ci arrivò, bussando a tutte le porte e pagando tutto a tutti? Di quale partita si parla se il contratto, siglato il 24 settembre 2013 tra i soci di Telco, non prevede nemmeno una data per il closing? Si è mai vista una partita dove l’arbitro dà il fischio di inizio ma nessuno sa quanto deve durare? Se il closing avviene tra 5 anni, restiamo fermi 5 anni aspettando Godot? Il presidente della Consob, dice che si può modificare la legge sull’Opa senza che si possa parlare di effetti retroattivi fino a quando Telefonica non avrà la maggioranza dei diritti di voto in Telco. Perché palazzo Chigi fa finta di niente?

Ansia di compiacere
C’è forse una sfiducia preventiva nella Consob di Giuseppe Vegas perché Vegas è stato nominato da un governo Berlusconi. Eppure, l’impegno di Forza Italia sul fronte Telecom sembra al momento non andare oltre l’impegno generoso e intelligente dei senatori Gasparri e Pelino. Mi risulta che Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, non condivida le modifiche all’Opa.

E poi leggo sul Sole 24 Ore che Mediaset sta studiando con Telefonica un’offerta comune per la pay-tv iberica Digital Plus. Che cosa deve pensare una persona normale? Che cosa penseranno i militanti del Pd che sperano di girare pagina?

Non capisco quest’ansia di compiacere un soggetto come Telefonica in nome dell’attrazione degli investimenti esteri. Telefonica non sta mettendo un euro in Telecom Italia. E non l’ha mai messo prima. Anzi è perfettamente corresponsabile della carenza di investimenti dell’ex monopolio, dovuta ai debiti fatti dai suoi «padroni», non dall’azienda. Certo, Telefonica dà qualche denaro a Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca. Ma allora vediamola dalla parte dei venditori, questa storia. E allora, di nuovo ci vuole chiarezza. Su sua richiesta ho ricevuto il presidente delle Generali, Gabriele Galateri, dopo l’annuncio del 24 settembre.

Per scoraggiarmi dal proseguire con la riforma dell’Opa obbligatoria, che potrebbe costringere il suo amico Cesare Alierta a mettere mano al portafoglio se vuol comandare, Galateri ha detto di aver avuto via libera da chi di dovere prima del 24 settembre. Letta mi ha sempre detto di non averne mai saputo nulla. E questo il governo ha detto in Senato. Quali sono i poteri occulti che hanno dato via libera al presidente delle Generali oppure questi viene in Senato a millantare?

Una caricatura di mercato
Caro Letta, caro Renzi, fermate questa brutta giostra. Che è una caricatura di mercato. Prima che, magari, qualche magistrato scopra un concerto tra spagnoli e americani degno di quelli del banchiere Fiorani sulla pelle di una delle maggiori aziende italiane, non di una media banca com’era Antonveneta. Date via libera, anche se forse ormai è tardi, alla riforma dell’Opa. E non diteci che bisogna studiare di più. Sono passati tre mesi e non avete mosso un dito. E non diteci, quando riformate la Banca d’Italia per decreto in 10 giorni perché i disegni di legge rappresentano un binario morto, che qui ci vuole un disegno di legge.

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