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Archivio per il Tag »l’unità«

→  dicembre 3, 2015


Caro Direttore,

Grandi progetti pianificati dal centro; per realizzarli, il “braccio operativo” delle grandi imprese pubbliche e, “dove utile”, private; contratti di programma riattivati; processi realizzativi sveltiti; risorse concentrate; leggi e decreti comprensibili; e, soprattutto, “una visione organica”.
Questa la ricetta di Paolo Luca Stanzani Ghedini: “una politica industriale”(l’Unità, 29 Novembre 2015) per creare infrastrutture e progetti di sviluppo. Obbiettivo condivisibile, metodi sensati. Ma vien da chiedergli: perché non succede già così? I ministeri ci sono, le grandi imprese pubbliche pure, quelle private non chiedono di meglio che di essere esecutori di “piani economicamente convenienti”. Chi è “il cattivo” che frena, perché non c’è “il buono” che spinga? Solo per il “proliferare del potere locale”, delle loro aziende pubbliche, per cui basterebbe riportarne al centro proprietà e gestione (chiuderle, come vorrebbe, sarebbe un po’ drastico)?

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→  dicembre 17, 2013


di Massimo Mucchetti

Faccio appello al premier e al segretario del Pd, dalle colonne de l’Unità, affinché rompano gli indugi e battano un colpo per salvare Telecom Italia dalle opache mene di un concorrente, Telefonica, o quanto meno costringano tale insidioso soggetto a pagare il dovuto lanciando un’Opa per contanti rivolta a tutti gli azionisti. Non che questo garantisca troppo, ma almeno la triste fine della madre di tutte le privatizzazioni costerebbe qualcosa al beneficiario finale e non si sarà risolta in un mancia, elargita dall’hidalgo Alierta, ai tremebondi signori di Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca d’intesa con Mediaset.

E guardino, Letta e Renzi, che l’evocazione di Mediaset non è una svista travagliesca.

Sono perfettamente consapevole che questo appello ha poche probabilità di essere accolto. Enrico Letta non è mai venuto in Parlamento a illustrare la linea del governo e a rispondere alle perplessità che essa suscita. Si è limitato a poche parole di maniera: un po’ poco per chi dice di voler fare politica industriale. Matteo Renzi ha fatto una battuta a «Servizio Pubblico» che ho dimenticato. Ma chi presiede la commissione Industria del Senato, interpretando peraltro un’opinione multipartisan, ha il dovere di parlare chiaro anzitutto ai leader del governo e del partito che sostiene.

Inerzia ingiustificata
L’inerzia del governo e del Pd non si giustifica con il rispetto del mercato in un mondo nel quale i governi intervengono pesantemente nell’economia. È dei giorni scorsi la notizia che il Tesoro Usa ha perso 11 miliardi di dollari investendo in azioni Gm. Ha fatto male? No. Ha dimostrato di avere coraggio e visione, perché oggi Gm è tornata grande e genera gettito fiscale.

Con la loro pseudo neutralità, Letta e Renzi stanno commettendo lo stesso errore che commise D’Alema nel 1999. L’allora premier postcomunista non fu responsabile di una privatizzazione sbagliata di Telecom, come ha detto Renzi. La privatizzazione la fecero Ciampi e Draghi due anni prima, e qui non abbiamo lo spazio per raccontarla come si deve. D’Alema non fece votare il Tesoro, ancora nel 1999 maggior azionista singolo di Telecom, nell’assemblea chiamata dal management per varare misure anti scalata, che sarebbero state possibili al raggiungimento del quorum. L’avesse fatto, sarebbe stato difficile per la Banca d’Italia, altra azionista Telecom, chiamarsi fuori e anche qualcun altro in Italia si sarebbe posto il dubbio se quell’Opa facesse davvero gli interessi dell’azienda. Forse non sarebbe stato sufficiente a raggiungere il quorum o forse sì.

Certo, la neutralità di D’Alema, che pure aveva la responsabilità di proteggere il valore della partecipazione Telecom del Tesoro, favorì gli scalatori e aprì le porte alla politica del debito, esaltata poi da Tronchetti Provera, e alla cristallizzazione del controllo di fatto in una scatola finanziaria, poi passata di mano più volte senza nulla dare ai soci di minoranza e ogni volta aggravando le condizioni dell’azienda.
Ora, non si può criticare D’Alema, che pure operava all’indomani dell’approvazione delle norme sull’Opa obbligatoria, e dunque si trovava in fase sperimentale, e poi seguire la stessa posizione ponziopilatesca quindici anni dopo, quando la legge sull’Opa che ha dimostrato tutte le sue fragilità e quando la sequenza delle diverse proprietà ha fatto i danni che sappiamo a Telecom.

Di più, non si può girare la testa dall’altra parte quando il fondo di private equity americano Blackrock, grande azionista di Telefonica e consulente ben remunerato di Intesa Sanpaolo, viene favorito dal management insediato dagli spagnoli e dai loro sodali italiani in modo smaccato e sospetto con l’attribuzione di una parte cospicua del convertendo senza seguire le procedure che regolano i rapporti tra parti correlate. Non si può considerare normale che Blackrock informi prima l’americana Sec del suo rastrellamento azionario in Telecom Italia e si faccia richiamare all’ordine dalla Consob. Non si può far escludere dalla commissione Bilancio della Camera l’emendamento sull’Opa per estraneità di materia (che, invece, al Senato era stata concessa) per evitare un confronto alla luce del sole e poi, nottetempo, infilare nella legge di Stabilità un emendamento sulla Consob, quasi a volerla commissariare mentre sta cercando di far luce sulle molte oscurità del caso Telecom.

Il premier Letta dice che non si interviene in una partita in corso. Ma si ricorda che cosa fece il governo di Madrid in occasione del tentato take over di Endesa da parte della tedesca E.On? E si ricorda come Enel ci arrivò, bussando a tutte le porte e pagando tutto a tutti? Di quale partita si parla se il contratto, siglato il 24 settembre 2013 tra i soci di Telco, non prevede nemmeno una data per il closing? Si è mai vista una partita dove l’arbitro dà il fischio di inizio ma nessuno sa quanto deve durare? Se il closing avviene tra 5 anni, restiamo fermi 5 anni aspettando Godot? Il presidente della Consob, dice che si può modificare la legge sull’Opa senza che si possa parlare di effetti retroattivi fino a quando Telefonica non avrà la maggioranza dei diritti di voto in Telco. Perché palazzo Chigi fa finta di niente?

Ansia di compiacere
C’è forse una sfiducia preventiva nella Consob di Giuseppe Vegas perché Vegas è stato nominato da un governo Berlusconi. Eppure, l’impegno di Forza Italia sul fronte Telecom sembra al momento non andare oltre l’impegno generoso e intelligente dei senatori Gasparri e Pelino. Mi risulta che Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, non condivida le modifiche all’Opa.

E poi leggo sul Sole 24 Ore che Mediaset sta studiando con Telefonica un’offerta comune per la pay-tv iberica Digital Plus. Che cosa deve pensare una persona normale? Che cosa penseranno i militanti del Pd che sperano di girare pagina?

Non capisco quest’ansia di compiacere un soggetto come Telefonica in nome dell’attrazione degli investimenti esteri. Telefonica non sta mettendo un euro in Telecom Italia. E non l’ha mai messo prima. Anzi è perfettamente corresponsabile della carenza di investimenti dell’ex monopolio, dovuta ai debiti fatti dai suoi «padroni», non dall’azienda. Certo, Telefonica dà qualche denaro a Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca. Ma allora vediamola dalla parte dei venditori, questa storia. E allora, di nuovo ci vuole chiarezza. Su sua richiesta ho ricevuto il presidente delle Generali, Gabriele Galateri, dopo l’annuncio del 24 settembre.

Per scoraggiarmi dal proseguire con la riforma dell’Opa obbligatoria, che potrebbe costringere il suo amico Cesare Alierta a mettere mano al portafoglio se vuol comandare, Galateri ha detto di aver avuto via libera da chi di dovere prima del 24 settembre. Letta mi ha sempre detto di non averne mai saputo nulla. E questo il governo ha detto in Senato. Quali sono i poteri occulti che hanno dato via libera al presidente delle Generali oppure questi viene in Senato a millantare?

Una caricatura di mercato
Caro Letta, caro Renzi, fermate questa brutta giostra. Che è una caricatura di mercato. Prima che, magari, qualche magistrato scopra un concerto tra spagnoli e americani degno di quelli del banchiere Fiorani sulla pelle di una delle maggiori aziende italiane, non di una media banca com’era Antonveneta. Date via libera, anche se forse ormai è tardi, alla riforma dell’Opa. E non diteci che bisogna studiare di più. Sono passati tre mesi e non avete mosso un dito. E non diteci, quando riformate la Banca d’Italia per decreto in 10 giorni perché i disegni di legge rappresentano un binario morto, che qui ci vuole un disegno di legge.

→  giugno 1, 2012


Ronny Mazzocchi

Quando si tratta di questioni giudiziare, soprattutto se riguardano fatti e protagonisti di vicende finanziarie che sono stati messi alla berlina dai cosiddetti poteri forti, il tempo dell’accusa e della distruzione d’immagine è sempre infinito. Mentre quello della confutazione delle accuse e della riabilitazione non arriva quasi mai.

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→  settembre 9, 2008

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Nazionalizzazioni in America, privatizzazioni in Europa: chi ha ragione?

«Una brutta soluzione, in entrambi in casi. Per Fannie Mae e Freddie Mac probabilmente inevitabile, per Alitalia viceversa evitabile. Ma non belle entrambe». Franco Debenedetti, imprenditore, ex senatore Ds, editoralista de II sole24 ore, che peraltro si trova a New York, mette in relazione la privatizzazione di Alitalia e la nazionalizzazione dei colossi Usa specializzati in prestiti ipotecari, con l’annuncio del governo che intende prenderne il controllo.

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→  luglio 22, 2008

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di Oreste Pivetta

I casi Telecom, quello dello spionaggio e quello sulle strategie economico finanziarie proprietarie dell´impresa, si stanno riaprendo grazie ai magistrati e, un´altra volta, con la mano dei giornali. C´è da immaginare che si debba attendere parecchio prima che i capitoli si chiudano e c´è da dubitare, dato il groviglio, che lascino scritte pagine di verità. Marco Tronchetti Provera, ex presidente ed ex azionista di riferimento, è convinto invece che alla verità (giudiziaria) si sia comunque arrivati. «Sono molto contento e soddisfatto – ha dichiarato – della conclusione cui sono giunti i giudici dopo tre anni e mezzo di indagine: dopo che sono stati sentiti centinaia di testimoni, che si sono viste migliaia di carte, è emersa con chiarezza la verità».

Ma il presidente del Gruppo Pirelli, letti i giornali, ha avuto anche molto da recriminare: «Sono peraltro sconcertato che continui una campagna che, malgrado ogni evidenza, cerchi di alterare la verità. È davvero inaccettabile, incomprensibile». Se lo si poteva sommariamente considerare fuori dalla brutta storia (insieme all´amministratore delegato Carlo Buora), a ributtarlo nel mare dei sospetti è stata Repubblica che ieri gli dedicava un titolo in prima e due pagine intere (con un inquietante avviso: continua) in cui si rappresentavano in dettaglio i pensieri e la storia di Giuliano Tavaroli, avvertendo solo all´ultimo che «la sua è la ricostruzione di un indagato».

Dalle prime righe di Giuseppe D´Avanzo (accanto alla foto, oculatamente scelta, dello spione Tavaroli vicino al padrone Tronchetti), si poteva dedurre che l´idea di Repubblica fosse un po´ quella di respingere la tesi del pubblico ministero di Milano: «Più o meno si sostiene che fossero all´opera in Telecom, soltanto un mascalzone (Giuliano Tavaroli) e un paio di suoi amici d´infanzia… La combriccola voleva lucrare un po´ di denaro per far bella vita e una serena vecchiaia». Conclusione: l´affaire Telecom, spiegato così, si sgonfia come un budino malfatto. A ritirarlo su, al cielo dei vasti intrighi internazionali, ci pensa dunque Tavaroli, che traccia la ragnatela che tutto accoglie e raccoglie e quasi tutti assolve (assolvendo in primo luogo se stesso, all´opera solo per “cause di forza maggiore”): servizi segreti, Abu Omar, generali, Pollari e Speciale, grandi manager (ma Scaroni nega d‘aver mai visto in vita sua Giuliano Tavaroli), un ex presidente (Cossiga), uffici romani, detective di casa nostra e naturalmente Tronchetti Provera («Mi hanno detto di ballare su una zona di confine. E io ho ballato. Me ne ha dato atto, quando mi ha liquidato, anche Tronchetti») e, infine, il Corriere della Sera.

Come sarebbe potuto mancare il Corriere: sta nella più o meno recente tradizione spionistica-piduistica italiana. Ci racconta Tavaroli che Tronchetti non aveva alcun interesse per Telecom, voleva il Corriere (al quale è approdato da tempo, sedendo onorevolmente nel patto di sindacato, cioè al tavolo di comando). Tronchetti aveva una passione per il giornale di via Solferino, «un´istituzione essenziale per la democrazia italiana». «In quei mesi – testimonia l´indagato Tavaroli – stava acquisendo posizione e posso credere che si preparasse a lanciare una offerta pubblica di acquisto…». Tanta voce a Tavaroli (il seguito oggi) e tanto accanimento contro Tronchetti non sarà solo “scoopismo”, anche perchè della vicenda si sa già tutto, compresi i nomi dei “pedinati” (anche impiegati o sindacalisti di Telecom). Una possibilità è che Tavaroli monti un´architettura complottistica “esterna”, per giustificare se stesso, obbligato da neanche tanto oscuri poteri superiori. Un´altra possibilità è che si rimonti il “teorema”, quello che proprio il Corriere di ieri, nel fondo di Sergio Romano, dava ormai per smontato. Il fine e colto ex ambasciatore sta alle “carte”, all´avviso di conclusione delle indagini, che avrebbero «implicitamente scagionato» l´azionista Rcs Marco Tronchetti Provera (e Carlo Buora). Sergio Romano non prende partito: ragiona con ottimismo per dimostrare che tra corruzione, mafie, conflitto d´interessi, eccetera eccetera, ogni tanto succede qualcosa che ci fa pensare che la nostra “classe dirigente” sia meno peggio di quanto si creda, che “noi” siamo meno peggio di quanto si creda. Quanto si sia consumato (e si consumi) di potere, di politiche, di risorse, alle nostre spalle, ovviamente non ci è dato sapere: la Telecom di Tronchetti Provera ha divorato, come è noto, quattrini (anche quelli che Tronchetti Provera e i suoi aiutanti sono riusciti ad intascare, andandosene) e credibilità politiche (come dimenticare l´incontro a Cernobbio con Prodi, il piano Rovati, la bocciatura di Telefonica o quella di At&T e via tra perdite e piani dismessi).

Proprio domenica sul Sole24Ore Franco Debenedetti poneva la domanda giusta: quanto spionaggio e killeraggio hanno guidato o influenzato o inquinato la vicenda industriale e finanziaria di Telecom, espropriando gli azionisti? L´opacità è la regola d´oro dei nostri tempi. Chissà che cosa ci toccherà in futuro. Di sicuro ci toccherà di pagare ancora. Tronchetti Provera saprà sicuramente che in fondo all´elenco degli indagati compaiono, al trentacinquesimo e al trentaseiesimo posto, anche la Pirelli e la Telecom, persone giuridiche, non avendo adottato un «modello organizzativo al fine di prevenire la commissione di reati» fino al maggio 2003 «e comunque dal momento dell´adozione, non avendolo efficacemente attuato e non avendo adeguatamente vigilato sull´osservanza dello stesso…». Siamo alla legge 231 (siamo al 2001). Se sentenza di condanna ci sarà, perché è mancata la vigilanza del vigilante, non ci sarà presidente o ex presidente di mezzo: a rispondere ci sarà Telecom, ci saranno gli azionisti (di tasca loro).

ARTICOLI CORRELATI
La favola dello spione e del suo padrone
di Franco Debenedetti – Vanity Fair, 22 luglio 2008

Tronchetti-Telecom, se la politica rovina le aziende
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2008

→  novembre 24, 2006

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Caro Direttore,

chi scrive non fa i titoli dei suoi pezzi, figurarsi quelli degli articoli altrui. Però li può immaginare: a me, leggendo il commento di Rinaldo Gianola a “Il baco del Corriere” di Massimo Mucchetti (L’Unità del 17 novembre) è venuto in mente un titolo alla Fortebraccio, del genere “Spie al giornale di lorsignori”.

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