Intervista di Franco Insardà
«Oltre alla vigilanza Rai, adesso la vigilanza alla Rai: la Rai vigilata speciale». Con questo tweet sabato scorso Franco Debenedetti, per tre legislature senatore prima del Pds e poi dei Ds, ha fotografato la situazione di viale Mazzini e del rinnovo delle nomine nel consiglio di amministrazione, dopo l’annuncio dato dal premier Mario Monti dei nomi di Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi rispettivamente come presidente e direttore generale della Rai.
La prima è l’attuale vice direttore generale della Banca d’Italia, il secondo è l’ex ad di Wind e ultimamente in Bank of America. Indicazioni che hanno scatenato malumori, critiche e ira di molti addetti ai lavori e papabili candidati. Il presidente del Consiglio, nella sua qualità di ministro delle Finanze ha dichiarato anche che «società, sterrà modifiche di governance » ai vertici della Rai, assegnando più poteri al presidente e al direttore generale.
Senatore Debenedetti, Rai e partiti: siamo alle solite?
Monti vuole cambiare. Ma, aldilà delle posizioni di facciata, vogliono cambiare anche i partiti? E on che direzione? Non sono necessariamente posizioni esecrande, dipende dall’idea che si ha della Rai. Su questo ci sono delle opinioni molto diverse nel Paese. Per questo, pur conoscendo personalmente sia la dottoressa Tarantola, sia Gubitosi e il loro valore: , sono preoccupato per loro.
Perché?
Perché si mettono persone nuove in una struttura molto solidamente formata senza precisare che cosa si vuole. Bisogna intendersi su che cosa devono fare le persone no- minate, quale deve essere il loro compito. Monti ha detto che la sua prima condizione è che alla presidenza venisse chiamata una donna. Perfetto. Che i nominati siano indipendenti. Meraviglioso. Ma saranno lasciati soli di fronte a una ambiguità di fondo che non sta a loro risolvere.
Quale?
O si considera la Rai una sodalla società, anche di proprietà pubblica, anche finanziata in parte con il canone, ma che sul mercato dell’offerta televisiva è solo un’azienda, con la propria identità e il proprio mercato, ma uguale e in competizione con le altre. Oppure si ritiene che la Rai sia il fortino del servizio pubblico, immune dai condizionamenti e dalla corruzione dei valori prodotti sodalla politica.
Secondo lei, è possibile uscire da questa situazione di stallo politico?
È la legge che prevede che la commissione di vigilanza Rai, che nomina tutti i consiglieri tranne due, sia un parlamentino dove sono presenti tutte le forze politiche. Lottizzazione? Organismo di rappresentanza proporzionale? Veda lei. Ma se la legge è questa , – e per l’Agcom non è molto diverso – evitiamo di raccogliere curricula per poi accorgersi che le decisioni sono politiche.
Come vede le critiche sulla “competenza” del presidente e del direttore generale?
Che la presidente Anna Maria Tarantola non abbia mai diretto delle aziende radiotelevisive è evidente. Che il Direttore generale Luigi Gubitosi abbia esperienza di finanza e di telecomunicazioni e non di televisione anche. Ma a quei livelli non si chiedono competenze specifiche, ma più vaste e complesse, e queste le hanno certamente maturate. Il problema è piuttosto del contesto in cui dovranno operare.
Queste scelte operate dal governo possono rappresentare un inizio per cambiare la governance della Rai?
Non basta cambiare la governance, bisogna prima definire la identità e la missione, di che cosa e a chi si risponde.
Qual è il suo giudizio sull’idea del cosiddetto “lodo Fioroni”, appoggiata anche dall’Udc, che propone nomine dei membri del consiglio di amministrazione della Rai da parte del governo?
La legge è chiara e va rispettata, per poter fare diversamente bisognerebbe cambiarla. I partiti possono anche delegare ad altri i poteri loro attribuiti dalla legge.
Stando così le cose i partiti sono ancora sul piede di guerra, come se la situazione fosse ancora quella di un anno fa.
È evidente che la contrapposizione tra i partiti non è finita. Però non dimentichiamo che essi riflettono anche opinioni difformi sulla Rai anche nell’opinione comune, che negli anni passati sono stati disseminati a piene mani a fini strumentali.
E a questo punto parte inevitabile il paragone con la Bbc. Il solito ritornello: ripetuto anche contando sul fatto che uno magari è vent’anni che non ha più visto una trasmissione della Bbc. Invecchiano anche i miti. Quali?
Ma perché sulla televisione si è combattuta la guerra dei trent’anni.
Però a scapito della qualità?
Vecchia storia anche questa quella della qualità. Ricorda? E’ bello ciò che è bello o è bello ciò che piace? È l’audience o il giudizio di qualche esperto? Nominato da chi? Io credo al mercato: dove c’è posto e opportunità per tutti. E per il servizio pubblico, scriviamo che cosa vogliamo e mettiamolo all’asta.
E quell’idea che da anni viene proposta di una privatizzazione della Rai?
Mi son fatto vecchio su questa cosa. E comunque proprio di un problema così ingarbugliato che si deve occupare un governo, votato per affrontare crisi ben più gravi, che ha davanti a se un numero limitato di mesi. Per trent’anni non siamo stati capaci di risolverlo. E cosa le ha fatto Monti di male, per pretendere che lo risolva?
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