Giusti son due, e non si sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’hanno i cuori accesi.
Calenda ed il Matteo che fuor si degni
Tonio Tajan’, Bobo Giachetti e ‘l Magi
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni.
Giusti son due, e non si sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’hanno i cuori accesi.
Calenda ed il Matteo che fuor si degni
Tonio Tajan’, Bobo Giachetti e ‘l Magi
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni.
La correlazione che istituisco tra i due fatti, femminicidioo e suicidio, dato che chi uccide conosce la pena in carcere che lo aspetta, probabilmente fino alla morte, è stata negata da Daniela Amenta: “gli autori di femminicidio” afferma “escono dal carcere in media dopo 10 anni. I dati sono agghiaccianti. Con la riforma Cartabia gli assassini delle donne possono avere la pena ridotta. Poi ci sono i casi di domiciliari per malattia o problemi psichiatrici, fino a eclatanti errori giudiziari.”
Le sue affermazioni sono radicalmente negate da Luigi Manconi, sottosegretario con Prodi, senatore dal 1994 al 2001, “le pene sostitutive” scrive “non riguardano né gli omicidi volontari, né quelli preterintenzionali, che sono puniti nel minimo con 10, 21, 24 anni (nel caso di omicidio della compagna) e fino all’ergastolo nei casi aggravati (per esempio in casi in cui vi sia anche violenza sessuale). Nella pratica, i condannati a pena temporanea non accedono alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova prima di essere arrivati a uno-due anni dal fine pena. Il che significa che, nei casi dei femminicidi, condannati a pena tra i 21 anni e l’ergastolo, è improbabile (mai visto un caso contrario) che possano accedere ai permessi prima di almeno quindici anni di carcere e a un’alternativa alla detenzione prima di averne scontati venti.”
Le riporto integralmente entrambe.
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I nuovi Musk o Zuckerberg? Difficile trovarli in aula. La provocazione di Michael Gibson: l’innovazione spesso è scollegata dal merito scolastico. Servono menti originali, multiformi e versatili, qualità che non si insegnano
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Se si parla di innovazione non si può che partire dalla scuola. Perché, uscendo da lì, i ragazzi entreranno in un mondo retto dalla concorrenza, dove beni e servizi vengono confrontati e scelti per il loro valore relativo: studenti più preparati e più abituati a una sana competizione saranno anche adulti più in grado di cogliere le opportunità e di provare a innovare anche loro, contribuendo alla crescita per tutti. E’ esattamente il contrario di quello che fa oggi la nostra scuola: che non vuole giudicare e non vuole essere giudicata.
di Michele Masneri
Contro il logorio della città industriale negli anni Sessanta nasceva il design notturno e pop di Strum e Studio 65. Tutto parte dal Piper
Nei fatali Sessanta, mentre a Milano si muovevano i soliti dioscuri del design, da Magistretti a Castiglioni a tutti gli altri, a Firenze nasceva il design radicale, a Roma nel design non è mai successo niente, a Torino succedeva qualcosa di eccezionale. Come a Firenze, la molla fu la noia. Nel ’64 Un articolo su Casabella intitolato “Torino. Monopolio e depressione culturale ” a firma di Riccardo Rosso, sconosciuto studente di Architettura ma futuro socio di Pietro Derossi (allievo di Mollino) e del costituendo gruppo Strum, che stava per “architettura strumentale” e aveva come obiettivo principale quello di utilizzare l’architettura come uno strumento di partecipazione alle lotte sociali e politiche, rompe il grigiore esistenzial-architettonico.
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Questo che segue non è un documento mio, ma quello che avrei voluto scrivere. “Quel Grido da Verona” di Carlo Rovelli sul Corriere dell’8 Gennaio mi aveva profondamente infastidito. Ma quello che mi ha davvero indignato è che la pagina dei commenti del giornale della borghesia italiana, su cui siamo soliti leggere i profondi ragionamenti e le sagge riflessioni di Angelo Panebianco, di Sabino Cassese, di Mario Monti, più recentemente di Alberto Mingardi venissero lordate da una, non breve, “lezione” di sedicente pacifismo. Ricevo oggi una replica di Giovanni Cominelli che mi sembra faccia ragione delle intollerabili falsità e distorsioni del brano del noto fisico. Lo pubblico qui, sicuro che incontrerà consensi.
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