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→  novembre 3, 2008


di Vittorio Girotto, Telmo Pievani, Giorgio Vallortigara

La teoria darwiniana dell’evoluzione rappresenta uno dei maggiori successi scientifici di ogni tempo; eppure molte persone che non si occupano di scienza a livello professionale la rifiutano e mostrano invece di credere in varie forme di creazionismo. Sembra, come ha osservato Richard Dawkins, che il nostro cervello sia stato specificamente «progettato» per fraintendere il darwinismo e che l’ipotesi di una “mente creatrice superiore” sia per l’uomo più attraente e naturale.

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→  ottobre 31, 2008


di Telmo Pievani
Con o senza Dio tutto è permesso, ma sembra proprio che la mente di Homo sapiens sia “nata per credere” in entità intenzionali sovrannaturali e in recondite finalità nascoste dietro i fenomeni naturali. Dati convergenti provenienti dalla psicologia dello sviluppo, dall’antropologia cognitiva e dalle neuroscienze suggeriscono l’esistenza di una programmazione biologica delle nostre menti per distinguere naturalmente le entità inerti (come gli oggetti fisici) da quelle di natura psicologica (come gli agenti animati) e per l’attribuzione o, in alcuni casi, l’eccessiva attribuzione di scopi e di intenzioni agli oggetti animati e inanimati.

Non è azzardato ipotizzare che queste nostre specializzazioni adattative possano essere alla base delle perplessità ingiustificate che molti nutrono nei confronti della teoria dell’evoluzione e più in generale delle spiegazioni scientifiche. Lo stesso Charles Darwin era rimasto colpito dall’efficacia comunicativa delle descrizioni finalistiche della natura che aveva letto in gioventù. Quando capì di avere scoperto un meccanismo, la selezione naturale, che rendeva superfluo il ricorso a qualsiasi “progetto” intenzionale per spiegare la nascita e l’evoluzione delle specie – compresa quella umana – fu subito consapevole che in questo modo stava contraddicendo non soltanto le credenze religiose creazioniste dell’epoca, ma anche modi molto comuni di pensare.

Gli esseri umani amano le spiegazioni basate sulle intenzioni, come se avessero un sensore sempre acceso per captare la presenza di propri simili o per prevedere le mosse di nemici esterni. Il disegno intelligente attrae perchè fa leva sulla docilità con cui siamo portati a fare inferenze riguardanti gli effetti dell’azione nascosta di un agente animato e intelligente. Questi sistemi cognitivi si sono evoluti successivamente per assolvere funzioni nuove, legate al nostro bisogno di spiegare attraverso storie e agenti invisibili i fenomeni incomprensibili o molto dolorosi che ci sovrastano, come la morte di un familiare o di un compagno.

Per affrontare tali fenomeni abbiamo ingaggiato le competenze cognitive che avevamo a disposizione, le abbiamo sfruttate e potenziate, divenendo autentiche “macchine di credenze”. La soddisfazione di bisogni psicologici, sociali e di comprensione del mondo è stata così forte da tramutarsi oggi in quel senso comune che la scienza talvolta si trova a dover scalfire, magari senza successo. Darwin lo scrive amaramente in una lettera all’amico Thomas Henry Huxley del 21 settembre 1871: “Sarà una lunga battaglia, anche dopo che saremo morti e sepolti… grande è il potere del fraintendimento”.

Le ragioni del successo popolare del disegno intelligente non sarebbero quindi legate soltanto alle patologie del credere, ma anche a una propensione al credere in “progettisti del mondo” che un pò tutti possediamo fin da bambini e che forse recuperiamo da vecchi. Attraverso le nostre inferenze intuitive circa l’esistenza di un progetto sottostante, cerchiamo di dare un senso alla realtà ripercorrendo a ritroso catene causali e finalità nascoste, indietro fino alla causa prima e al sommo progettista.

Il creazionismo risponde evidentemente a esigenze profonde, oltre che a interessi sociali e politici. I sondaggi statunitensi confermano che la dottrina del disegno intelligente gode di ottima salute e che continua a fare proseliti, anche nei campus universitari. La battaglia per promuovere l’insegnamento delle due “scuole di pensiero” alternative come se fossero sullo stesso piano – attraverso petizioni di genitori, campagne di stampa e altre iniziative di controinformazione e di pressione – può persuadere un governatore a legiferare favorevolmente, come è capitato ancora nel luglio del 2008 in Louisiana. Ciò che impressiona è che si tratta in questo caso di un politico molto giovane, di origine indiana, convertito al cattolicesimo. Come per Sarah Palin, candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti dalle rocciose convinzioni filocreazioniste, siamo piuttosto lontani dal profilo antropologico del vecchio integralista evangelico della “cintura della Bibbia”.

Come scrisse Richard Dawkins in L’orologiaio cieco, “è quasi come se il cervello umano fosse stato specificatamente progettato per fraintendere il darwinismo e per giudicarlo difficile da credere”. Viceversa, comprendere che il processo evolutivo è frutto della casualità delle mutazioni, delle pressioni selettive di ambienti in continua trasformazione, di eventi contingenti che hanno deviato il corso della storia verso esiti imprevedibili richiede un investimento cognitivo molto più costoso.

Capire che un comportamento è il frutto (seppure indiretto) dell’evoluzione della nostra specie non significa che sia, per questo, giusto di per sè, nè che sia scolpito una volta per tutte nella pietra. Affermare che siamo nati per credere non significa offrire alcun alibi per manifestazioni di credenze irrazionali. Non significa che avere una fede religiosa sia più naturale che non averla, nè rassegnarsi all’idea che l’educazione scientifica debba per forza incontrare ostacoli cognitivi insormontabili. I fatti smentiscono queste conclusioni: i limiti di ragionamento e di giudizio non sono per nulla insuperabili solo perchè naturali.

Alcune ricerche comparative recenti fra studenti australiani, inglesi e statunitensi hanno mostrato infatti quanto possa essere determinante un’educazione scientifica precoce, coinvolgente e interattiva – possibilmente immersa in un contesto culturale favorevole – nel marcare le differenze di comprensione di nozioni scientifiche, in cosmologia come in biologia, fra studenti di paesi culturalmente simili. Ogni riferimento al caso italiano, dove al contrario si è deciso di abbattere la scure dei tagli proprio sull’unica scuola pubblica che non ci faceva sfigurare nelle classifiche internazionali, cioè la scuola primaria, è puramente casuale.

→  ottobre 26, 2008

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Compito di chi ci guida é evitare che l’emergenza porti a un assetto economico piú blindato e meno trasparente

Il libro di Carlo De Benedetti e Federico Rampini va letto come un atto d’accusa contro una classe dirigente incapace di rimuovere gli ostacoli.

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→  ottobre 22, 2008


di Nicla Panciera
“Dio è arrabbiato con l’America. È per questo che ci ha mandato una lunga serie di uragani. Sta cercando di punire il nostro Paese”. Parole dal sapore biblico, pronunciate dal sindaco di New Orleans, commentando le devastazioni dell’uragano Katrina e che scatenarono molte reazioni. A due anni di distanza, il dibattito sulle origini del pensiero religioso e sovrannaturale non si arresta. Anzi, sono sempre più numerosi i contributi della ricerca e delle neuroscienze. Infatti, sebbene esperienza religiosa e spiritualità siano profondamente soggettive e difficilmente definibili, rimangono fenomeni cerebrali con correlati fisiologici e strutturali e, quindi, indagabili sperimentalmente.

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→  agosto 21, 2008

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Caro Direttore,

Quale contributo ai preoccupati dibattiti sullo stato di salute dell’opinione pubblica – valori smarriti? memorie confuse? opinioni in poltiglia? – ricordo i couplets musicati da Jacques Offenbach.

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→  giugno 23, 2008


di David Leavitt

Cambridge, 1923. G.H. Hardy è considerato, nonostante i suoi 37 anni, uno dei più brillanti matematici del suo tempo. Un giorno, però, riceve una lettera da un anonimo impiegato indiano, il quale dichiara di aver risolto un importante e complesso problema matematico che lo stesso Hardy cita in un suo scritto, senza saperne offrire una soluzione. Inizialmente perplesso, Hardy decide però di sfruttare l’occasione del viaggio in India di alcuni amici per conoscere Srinivasa Ramanujan, il misterioso impiegato, e scoprire se si tratta di un vero genio matematico o di un impostore. Troverà, al suo arrivo, un giovane che, pur avendo fallito in ogni tipo di studio, ha un talento assoluto per il calcolo. Tra Hardy e Ramanujan comincerà così un rapporto quasi simbiotico, di collaborazione nella ricerca ma anche di amore, incredibilmente fruttuoso ma destinato a risolversi in modo drammatico, con la presa di coscienza da parte del giovane indiano della propria identità e il conseguente esaurimento del rapporto di reciproco bisogno tra i due studiosi.