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→  giugno 17, 2005

di Luigi Dell’aglio

Sta per riaprirsi una larga e animata discussione su evoluzionismo e creazione, disputa che sempre più accende animi e intelletti sui due fronti. I credenti accettano, in linea di massima, l’evoluzione (sono soprattutto gli evangelici a recalcitrare) ma, tra credenti e naturalisti neo-darwiniani è scontro su quanto c’è a monte dell’evoluzione. Su questo tema si “riscalderà” il nascente dialogo tra scienza e fede. In tutto il mondo, si pubblicano già agguerriti saggi sulla materia. Affiorano aspetti della questione abbastanza sconosciuti al grande pubblico. In Italia esce oggi nelle librerie uno studio dal titolo Dio e Darwin, edito da Donzelli, in cui il filosofo della scienza Orlando Franceschelli “apre” ai credenti.

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→  giugno 10, 2005

Risposta a Franco Debenedetti

di Sandro Bondi

Caro direttore,
Franco Debenedetti, in un’intervista al Corriere della sera, ha proposto una via d’uscita dalla crisi del modello europeo, che è anche una crisi della percezione positiva dell’Europa da parte dei popoli. Debenedetti afferma che la prossima presidenza britannica guidata da Londra costituisca un motivo oggettivo di ripensamento degli schemi ideologici europeisti a favore di una soluzione politica e strategica della odierna e realissima crisi dell’Europa. E’ necessario rendersi conto che i responsi referendari francese e olandese non possono essere trascurati. Anzi, la Francia e l’Olanda aprono, di fatto, una salutare crepa all’interno della roccaforte ideologico-burocratica che ha dettato finora il pensiero unico dell’«europeismo». Giustamente Debenedetti parla di una potente «euroretorica» che certo non giova all’analisi dei problemi esercitata con la lente della razionalità critica. Blair, secondo Debenedetti, produce l’effetto spiazzante che ricolloca il confronto tra il modello del capitalismo renano, così caro a Prodi, e quello anglosassone. Il primo, di impronta neosocialista e socialdemocratica, ha fatto il suo tempo, non tiene più il confronto con due fenomeni centrali nel XXI° secolo: il mercato mondiale e la società della conoscenza. Entrambi i fenomeni considerano non tanto lo sviluppo delle forze produttive e la redistribuzione del reddito, bensì la crescita economica fondata sulla valorizzazione del capitale umano e del capitale sociale. In questo nuovo spazio dell’economia-mondo, non c’è spazio per il welfare neokeynesiano e neppure per degli aggiustamenti strutturali dello stesso. Questa è una storia finita e non più recuperabile. Lo sa bene anche Debenedetti e da tempo, insieme al quotidiano Il Riformista, è alle prese con l’idea-forza di un neo-laburismo blairiano anche in chiave europeista. Con questa chiave economico-politica, l’Europa, così sostiene Debenedetti, può recuperare un modello sociale compatto e fondato sul welfare, ma non più in un’ottica neokeynesiana. Naturalmente, tutto ciò può essere fatto se e solo se si produce tanto e bene, ovvero se e solo se c’è una crescita economica effettiva. Blair ha fatto crescere l’Inghilterra; l’Europa è invece al palo, anzi rischia il ristagno. Allora, questo è infine il punto-chiave: la crescita. La domanda che, in questo orizzonte politico, emerge è allora necessariamente la seguente: è davvero in grado la sinistra di ricollocare su un’asse di crescita l’Europa? E’ davvero in grado la sinistra italiana di ripensare l’Europa e, con essa, se stessa? Debenedetti pensa bene le questioni di fondo legate alla crisi dell’Europa e dell’europeismo, come parimenti pone lucidamente la questione dell’«euroretorica», e purtuttavia sfugge ancora una volta il cuore della vicenda politica attuale: la sinistra italiana non pensa mai a Blair come a un modello politico da seguire e capace di ridefinire la sua fisionomia politica, ma lo pensa sempre come un «eretico» al quale si concede la patente di «uomo di sinistra» solo perché si trova nel Labour, tutto qua.
Anche Napoleone Colajanni ha affermato che non può esistere nessun programma di riforme vere del sistema socioeconomico senza crescita economica e che, dunque, non esiste la cosiddetta redistribuzione delle risorse economiche a favore dei ceti meno abbienti senza crescita; solo che poi, all’atto pratico, la risposta è ancora neowelfaristica e dunque legata ad un uso massiccio di quel «modo di governare attivo», come ha scritto Giddens in un articolo pubblicato su La Repubblica, dunque, niente di nuovo sotto il sole. In realtà, non è vero che «la socialdemocrazia – cito ancora Giddens – differisce dal liberalismo, poiché considera di vitale importanza l’elemento “sociale”». Tant’è vero che oggi Fukuyama, in America, sta costruendo un nuovo paradigma di statualità liberale che si fonda per la gran parte sul capitale sociale, intendendo con ciò valorizzare appunto l’elemento sociale del liberalismo. La cultura politica della sinistra non è quella di Debenedetti, ma è quella di Giddens e Colajanni, nella migliore delle ipotesi. E’ una cultura politica che non riesce a comprendere che, per risolvere la crisi del modello-Europa, non occorre soltanto adottare astrattamente il modello anglosassone, ma è anche necessario ripensare il patto di stabilità, riconnettere l’idea di Europa ai mondi vitali dei cittadini europei, rilanciare gli investimenti produttivi fortemente centrati sul disegno strutturale delle economie avanzate del XXI° secolo, vale a dire la conoscenza e l’innovazione. Queste sono le nostre proposte.
Soltanto la politica e l’etica della responsabilità di una classe dirigente a favore dell’Europa senza tracce di «euroretorica» ci farà uscire da questo imbarazzante guado nel quale i risultati referendari della Francia e dell’Olanda ci hanno collocati. Ha ragione Debenedetti quando, alla fine della sua intervista, afferma: «Servono scelte». E’ qualcosa che la sinistra italiana, a cominciare dal maggiore responsabile di questa grave crisi del modello-Europa, Romano Prodi, dovrebbe sempre mantenere come punto di vista. Ma la strada è ancora lunga, per la sinistra italiana, e sulla sua storia pesa, oltre all’«euroretorica», anche un’altra distorsione ideologica da sempre diffusa nelle sue fila: il miraggio del «sociale». Da quando Blair l’ha abbandonata, è riuscito non soltanto a vincere, ma anche a costruire un vero modello sociale competitivo. E così, in Italia, ha soltanto un interlocutore da lui considerato adeguato: Silvio Berlusconi.

ARTICOLI CORRELATI
Una UE modello Blair?
di Franco Debenedetti, 13 giugno 2005

Basta con l’euroretorica, il modello è Londra
di Franco Debenedetti – Il Corriere della Sera, 10 giugno 2005

→  giugno 9, 2005

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INTERVISTA

«Credo che la presidenza britannica rappresenti una grande occasione per capire le ragioni profonde della crisi dell’Unione europea», dice Franco Debenedetti, senatore dei Ds convinto che l’Italia abbia bisogno di «una forte iniezione di quel modello britannico troppe volte osteggiato». Il semestre del turno affidato a Londra comincerà il primo luglio. L’esigenza principale è cercare di uscire dalla pericolosa fase di inquietudine nella quale l’Ue rischia di impantanarsi dopo la bocciatura del Trattato costituzionale nei referendum di Francia e Olanda.

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→  maggio 10, 2005

10 Maggio 2005
Tra la fine dell’incarico in un’Autorità di regolazione e l’inizio in un’altra deve passare un congruo lasso di tempo: è quanto sostiene il sen. Franco Debenedetti in un ddl presentato in Senato. Quanto già oggi è prescritto per il passaggio dall’attività presso un’Autorità regolatrice all’impiego presso un’impresa regolata, deve valere anche nel passaggio tra un’Autorità e un’altra. Infatti, oltre al pericolo di “cattura” da parte del mercato, bisogna scongiurare anche quello di “cattura” da parte del Governo. Con la mia iniziativa intendo anche sottolineare, di fronte a propositi manifestati dal Governo, la necessità di rafforzare indipendenza e poteri delle Autorità di regolazione e controllo – della concorrenza, della Borsa, dell’elettricità, delle comunicazioni – strumenti insostituibili di tutela della libertà di imprenditori e consumatori.

→  maggio 7, 2005

di Nicoletta Tiliacos

Che Darwin continui a far notizia non è, in verità, una notizia: è così almeno dai tempi in cui Marx ed Engels, nei loro carteggi, discutevano le teorie contenute nell’”Origine delle specie”. Solo per limitarci alle ultime settimane, il presidente George W. Bush ha ribadito il suo proposito di accordare pari dignità, nell’insegnamento, all’evoluzionismo e alla teoria del “disegno intelligente” del Creatore, il cardinale austriaco Christoph Schönborn, che pure non nega fondamento alla teoria dell’evoluzione, ha ribadito al New York Times il suo rifiuto delle idee di casualità e di selezione naturale, “incompatibili con la fede” (vedi il Foglio del 13/07/05), e alle “evolution wars” Time ha dedicato la sua ultima copertina.

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DDL

→  aprile 28, 2005

DISEGNO DI LEGGE d’iniziativa del senatore DEBENEDETTI

Comunicato alla Presidenza il 28 Aprile 2005

Disposizioni in materia di incompatibilità dei componenti delle Autorità indipendenti e della Consob

Onorevoli Senatori. Le leggi istitutive delle Autorità indipendenti prevedono che i loro componenti, scaduti i loro mandati, non possano, per un certo periodo di tempo, assumere incarichi in attività che si collochino nell’ambito di quelle regolate o controllate dalle Autorità medesime.
Si ravvisa l’opportunità di estendere tale divieto anche al passaggio ad altre Autorità. Infatti se si estendesse la prassi di passaggi da una Autorità all’altra, finirebbe per costituirsi una sorta di percorso professionale all’interno di Autorità, un tacito, ma non per queste meno grottesco, albo di commissari di Autorità.
In tal modo si perderebbe l’apporto di nuove e diverse competenze e con esse il più pronto recepire le novità prodotte nel mercato dalla concorrenza, a favore di una uniforme cultura “ministeriale”, proprio quella a cui si volle che le Autorità si contrapponessero, e rispetto alla quale si voleva che innovassero.
Le ragioni con le quali si giustifica il passaggio tra un’Autorità all’altra sono contraddittorie con gli obiettivi che le Autorità si propongono. Se infatti la ragione per consentirle si basa su una generica idoneità a regolare, vorrebbe dire che essa viene fatta prevalere rispetto alla specifica competenza, essa pure requisito di idoneità alla carica. Se invece si basa su esperienze specifiche, utili sia nel vecchio sia nel nuovo incarico, il passaggio da un’Autorità all’altra diventa di fatto elusivo del divieto di reincarico.
Le incompatibilità furono previste allo scopo di evitare il pericolo di “cattura” delle Autorità da parte del mercato. Se non si impedisce il passaggio da un’Autorità all’altra, si prefigura il pericolo di “cattura” da parte del governo o della maggioranza per le nomine ad essi spettanti. E’ per evitare questo pericolo che gli incarichi sono normalmente non rinnovabili: quella prevista dalla presente legge è quindi una interpretazione volta ad eliminare una lacuna nelle disposizioni vigenti.
I divieti sono stati introdotti solo con riferimento alle Autorità dove più gravi appaiono i rischi su esposti, e alla Consob, e per la durata di quattro anni.
Anche chi ritiene che gli ordinamenti delle Autorità non debbano tutti rientrare in schemi fissi, e che anzi la diversità dei compiti richieda diversità negli ordinamenti, considera logico uniformare almeno le norme di tipo generale, tra cui quelle relative alle incompatibilità. Ci si è astenuti dal metterci mano in questa sede, ritenendo più conveniente che anche questo aspetto venga preso in considerazione in sede di una generale rivisitazione delle norme sulle Autorità.
La legge consta di un unico articolo. Nel primo comma si indicano con precisione le leggi istitutive delle Autorità interessate. Al comma numero due si precisa che la norma deve valere per ogni nomina a partire dall’entrata in vigore di detta legge e cioè senza attendere il rinnovo di ciascuna Autorità.

Art. 1

  1. I componenti di ciascuna delle Autorità di cui alle leggi 10 ottobre 1990, n. 287; 11 febbraio 1994, n. 109; 14 novembre 1995, n. 481 e 31 luglio 1997, n. 249 non possono essere nominati, per almeno quattro anni dalla cessazione dell’incarico, componente di un’altra delle suddette Autorità, nè della Commissione di cui alla legge 8 aprile 1974, n. 95. Parimenti i componenti di detta Commissione non possono, per la stessa durata di tempo, essere nominati componenti delle suddette Autorità.
  2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a partire dall’entrata in vigore della presente legge.