“Dio e Darwin”, perché è naturale il dialogo tra scienza e fede

maggio 7, 2005


Pubblicato In: Articoli Correlati

di Nicoletta Tiliacos

Che Darwin continui a far notizia non è, in verità, una notizia: è così almeno dai tempi in cui Marx ed Engels, nei loro carteggi, discutevano le teorie contenute nell’”Origine delle specie”. Solo per limitarci alle ultime settimane, il presidente George W. Bush ha ribadito il suo proposito di accordare pari dignità, nell’insegnamento, all’evoluzionismo e alla teoria del “disegno intelligente” del Creatore, il cardinale austriaco Christoph Schönborn, che pure non nega fondamento alla teoria dell’evoluzione, ha ribadito al New York Times il suo rifiuto delle idee di casualità e di selezione naturale, “incompatibili con la fede” (vedi il Foglio del 13/07/05), e alle “evolution wars” Time ha dedicato la sua ultima copertina.

Sembra quasi che non sia passato nemmeno un giorno dall’epoca in cui Isaac B. Singer, per segnalare l’ansia di modernità e il rifiuto della tradizione religiosa di alcuni personaggi dei suoi romanzi, ne descriveva l’adesione al darwinismo, associato immancabilmente al nichilismo. Eppure qualcosa, nel frattempo, è successo, sia nel mondo della scienza sia in quello della fede. Lo ricorda il filosofo della scienza Orlando Franceschelli, in un saggio intitolato “Dio e Darwin. Natura e uomo tra creazione ed evoluzione” (Donzelli, 154 pagine, 12,50 euro). Mentre spiega come certe semplificazioni più darwiniste di Darwin non rendano un buon servizio al naturalista inglese, Franceschelli auspica un riconoscimento reciproco, sia delle competenze, sia dei linguaggi, tra scienza, filosofia e religione. Non un inutile e “acritico o sincretistico compromesso” tra di esse, cosa che anche Wittgenstein avrebbe disapprovato, ma la realizzazione, o almeno la disponibilità, a un “dialogo della plausibilità tra creazionismo e naturalismo”. E dedica attenzione ai “teisti evoluzionisti che con Darwin vogliono dialogare”, figure terze sia rispetto ai fan di un darwinismo assolutizzato e macchiettistico, sia rispetto a chi rigetta in toto la teoria dell’evoluzione in nome della creazione. Posizione, quest’ultima, che non appartiene alla Chiesa cattolica almeno dal 1996, anno del pronunciamento di Giovanni Paolo II in difesa della compatibilità tra evoluzione e fede. Il teista evoluzionista, quindi, ha fede nella creazione ma non nega l’evoluzione. Scrive Franceschelli: “Se è vero che l’evoluzione è il processo attraverso il quale si realizza la promessa di Dio (nonostante sofferenze e sprechi che l’evoluzione dissemina lungo il suo cammino), dobbiamo immaginare un Deus Creator et Evolutor. Cioè un Dio che, per amore, decide di creare, contraendo la propria presenza e la propria potenza. Fino a concedere alla sua stessa creazione l’autonomia evolutiva, segnata persino dalla pura casualità”. Ma proprio in quella “casualità” è il punto dolente: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione”, ha detto Benedetto XVI nella sua prima omelia da Papa. Così, data per acquisita l’evoluzione, la linea di confronto è ormai quella dell’esistenza o meno di un “disegno intelligente” divino che la indirizzi. Lo ricordava il 9 agosto sull’Avvenire Fiorenzo Facchini, vicario dell’arcidiocesi di Bologna e studioso di paleoantropologia di fama internazionale (dimostrazione di felice armonia tra scienza e fede). Che la creazione corrisponda a un disegno non è possibile né negarlo né affermarlo sul piano empirico, ha scritto Facchini, “ma è ragionevole pensarlo”. A margine del dibattito nato attorno a “Dio e Darwin”, vale la pena di rileggere (in “I fossili di Leonardo e i pony di Sofia”, Il Saggiatore) ciò che nel 1998 scriveva il paleontologo Stephen Jay Gould, morto nel 2002. Lui, star scientifica mondiale, pensava che “se la religione non può più dettare la natura di conclusioni fattuali, appartenenti al magistero della scienza, gli scienziati non possono pretendere di conoscere meglio la verità morale partendo da una conoscenza superiore della costituzione empirica del mondo”. Il suo lungo ragionamento sulla possibilità di “un concordato rispettoso, e perfino amichevole” tra scienza e fede è più che mai attuale, così come il suo richiamo alla loro reciproca “non sovrapponibilità”. Che non significa, però, né indifferenza né assenza di dialogo, se non altro perché, scriveva, “se gli esseri umani possono ambire a rivendicare a sé qualcosa di speciale, è il fatto che ci siamo evoluti come le uniche creature che devono ponderare e parlare. Giovanni Paolo II mi farebbe senza dubbio notare che il suo magistero ha sempre riconosciuto questa unicità, poiché il Vangelo di Giovanni si apre con le parole ‘In principio erat verbum’”.

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