Rai privata, basta indugi per l’Ulivo

gennaio 2, 2005


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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La Rai oggi è pubblica, rimarrrà di controllo pubblico anche dopo la vendita, prevista dal Governo, di una quota di minoranza.

La Rai oggi è pubblica, rimarrrà di controllo pubblico anche dopo la vendita, prevista dal Governo, di una quota di minoranza. Non sarebbe quindi una novità se Prodi, con la sua lettera al Corriere della Sera del 30 Dicembre, si fosse limitato a dire “Allo Stato il servizio pubblico”. La novità è: “ Ai privati la RAI commerciale”.

Essendo una delle prime – forse la prima – indicazione di quel programma di governo che da più parti gli viene chiesto, la sua proposta ha il peso di un impegno.
Prodi non propone di abolire sic et simpliciter la Gasparri, ma di eliminarne la parte inaccettabile, la finta privatizzazione, sostituendovi il suo schema: dividere in due la RAI, allo Stato il servizio pubblico col canone, ai privati la TV commerciale finanziata dalla pubblicità. Non brandisce le norme sulla TV per risolvere la questione del conflitto di interessi, che “che come tale dovrà essere affrontato e risolto”; considera la televisione quello che è, un importante settore industriale che ha bisogno di regole.
La proposta di Prodi poggia su due punti fermi. Dice all’inizio: “in teoria, nulla obbliga ad affidare in esclusiva il serizio pubblicoad un’emittente di proprietà pubblica”. E conclude: “il collocamento in Borsa di una quota di minoranza del capitale della RAI […] dovrebbe essere cancellato”. Per Gasparri privatizzare è vendere un pezzo di tutta la RAI; per Prodi privatizzare vuol dire vendere interamente la proprietà di alcune reti RAI.

Questo piano, quando verrà realizzato, sarà un enorme passo avanti per la trasformazione dell’attuale oligopolio bloccato in un mercato concorrenziale. Bisognerà ancora vedere quante reti svolgono funzione commerciale e sono da cedere. Se fossero due, si realizzerebbero condizioni di concorrenza più vivace ed equilibrata, e si risponderebbe anche all’insinuazione del Ministro Gasparri che se ne voglia cedere una sola da “amici”. Tuttavia è evidente che il piano di Prodi lascia irrisolto il problema del “servizio pubblico”: quali contenuti lo rendono “servizio” e che quanta audience lo rende “pubblico”. Ritornano le domande di sempre: quanto spazio deve avere l’intrattenimento e quanto la”cultura”? qual é l’essenza della “qualità”, chi la definisce, chi la misura? (per fortuna c’è il telecomando a scongiurare l’eventualità di uno stato educatore). Quanta audience giustifica tanto impegno di danaro pubblico? E’ giusto che una TV con “buona “ musica, “buon” teatro, “buone” discussioni politiche, debba essere offerta gratuitamente a chi la gradisce da parte di chi invece preferisce i reality show? Gasparri, obbiettando che con la proposta Prodi si avrebbero licenziamenti in massa, ammette implicitamente che la sua legge, invece di definire che cosa è “servizio pubblico” e lasciare il resto alla concorrenza, mira a difendere innanzitutto gli attuali assetti occupazionali RAI. La vera differenza tra la proposta Prodi e la “privatizzazione” Gasparri sta nel fatto che la prima è un passo inziale che non ne preclude altri, mentre la seconda è un monstrum immodificabile di corporate governance, volto a mantenere di fatto la RAI, tutta la RAI, sotto controllo pubblico.

Prodi solleva un secondo problema, quello della quota “sproporzionata” del investimenti pubblicitari assorbiti dalla TV, a danno di giornali e periodici. Anche qui, nascono interrogativi: quale sarebbe la quota “proporzionata”? chi la definisce? come la si raggiunge con strumenti di mercato? Se si riducesse per legge l’affollamento pubblicitario, il fatturato non si ridurrebbe in ugual misura, o forse per nulla, dato che aumenterebbero i prezzi degli spazi. Se gli inserzionisti italiani mostrano tanta preferenza per la TV, non sarà che la considerano lo strumento più efficiente per le loro strategie? Se gli investimenti pubblicitari, e la loro incidenza sul PIL (2004 su 1991) sono aumentati in Italia più che nei maggiori paesi d’Europa, non sarà che il nostro mercato pubblicitario è meno inefficiente di quanto si creda? Non può esser colpa solo della TV se dopo mezzo secolo di democrazia, in cui la popolazione si è raddoppiata, il reddito decuplicato, l’alfabetizzazione è quasi totale, il numero di copie di quotidiani venduto oggi è più o meno lo stesso che durante il fascismo.

Non sono questioni poco rilevanti: ma restano dettagli rispetto alla nettezza della soluzione di Prodi. “Va da sé”, scrive testualmente, che la RAI commerciale vada venduta a privati. “Va da sé” che lo prendiamo in parola.

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