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→  aprile 29, 1999


Caro lettore, per il Quirinale io sono un elettore. E a conti fatti non è il caso di invidiarmi. Mi sono rifiutato a tutte le iniziative volte a sostenere candidati.
Un conto è che chi ambisce alla più alta carica della Repubblica renda nota la sua disponibilità, rendendo il confronto più trasparente ai cittadini. Sarebbe auspicabile, anche se con ogni
probabilità non avverrà: finché le regole sono queste, candidarsi significa «bruciarsi».
Altro conto è che i cittadini promuovano iniziative per sostenere questo o quel nome, «segnalandolo» dall’esterno ai grandi elettori.
Tutt’altro conto è che a farlo siano i parlamentari e i delegati regionali. Personalmente credo di dover conservare la libertà di usare del diritto che gli elettori mi hanno conferito a seconda di come si svolgerà il processo di votazione.

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Pubblicato In: Varie
→  aprile 29, 1999


“Lo sviluppo da consentire” é l’obbiettivo che la politica deve porsi

Come quelli che l’hanno preceduto nella serie, anche questo articolo comparirà sotto il titolo “lo sviluppo da rilanciare”. Ma la locuzione a me pare logicamente contraddittoria, dato che ha in sè la negazione del proprio assunto; infatti, se lo sviluppo é l’obbiettivo, proporsi di “rilanciarlo” non indica una soluzione, ma piuttosto crea un problema. “Lo sviluppo da consentire”, questo é il titolo che vorrei; perché questo é l’obbiettivo che la politica deve porsi.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  aprile 21, 1999


Il primo a profferire la parola fu, se non an­diamo errati, Romano Pro­di: fu il presidente designa­to della Commissione Eu­ropea, interpellato sulle prime voci di un possibile accordo tra Telecom Italia e Deutsche Telekom, a parlare di “pariteticità”, condizione capace di ren­dere vantaggioso ogni ac­cordo tra le due società. Da allora “pariteticità” è entrata nel circuito della comunicazione, è diventa­ta il faro di ogni politica, l’obiettivo di ogni piano, il vincolo di ogni accordo.

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Pubblicato In: Giornali, Il Messaggero
→  aprile 18, 1999


Quando un aereo è in scandaloso   ritardo, quando un treno è im­provvisamente annulla­to, quando la burocrazia oppo­ne la sua stanca ottusità, in­somma quando un servizio non funziona, penso che l’u­tente debba adottare l’atteg­giamento di considerare chi gli sta di fronte – l’impiegato die­tro lo sportello, il controllore, l’assistente di volo – non come un dipendente ma come il rap­presentante dell’azienda, non l’ultimo anello della catena organizzativa, ma la personifica­zione del vertice.

La reazione dell’utente, di­cono i teorici dell’organizza­zione, è il solo mezzo per migliorare il servizio: quindi il cliente che «reagisce» svolge un ruolo socialmente utile. Bisogna dunque non prestare orecchio quando, di fronte a proteste di cui è impossibile non riconoscere la ragionevo­lezza, il poveretto o la malcapi­tata si difende protestando che la colpa non è sua…, che anche lui…, che il superiore…, che il regolamento… Come se l’utente, oltre a subire gli inconve­nienti del malservizio, dovesse anche perdere il suo tempo nei meandri delle responsabilità, nei labirinti delle matrici orga­nizzative.

Così quando il ministro Piero Fassino, intrappolato per ore in un aereo, ha protestato con­tro Alitalia in modo colorito («una bettola» secondo quanto riferiscono) ho applaudito. E quando l’altro ieri l’ammini­stratore delegato di Alitalia, ci­fre alla mano, indicava nel controllo del traffico aereo il principale responsabile del disservizio di cui ogni viaggia­tore è testimone e vittima, ho avuto conferma della mia teo­ria: protestare è un dovere ci­vico e più la catena di comando è lunga più forte bisogna grida­re. Alcune spiegazioni sono complicate: separazione verti­cale ed orizzontale, procedure e manovre di riattacco, angoli degli svincoli e interassi piste. Ma altre sono assai comprensi­bili anche ai profani: come quando veniamo a sapere che il controllo del traffico aereo è un ente pubblico, i cui dipen­denti sono inquadrati in 14 or­ganizzazioni sindacali.

Quando infine apprendiamo che questo ente risponde al mi­nistero dei Trasporti, quello stesso che, sempre per ragioni di rapporti sindacali, ha boc­ciato il piano di Claudio De-matte, presidente delle Ferro­vie dello Stato, per ridurne le perdite scandalose, allora tutto diventa assolutamente chiaro.

E sorge dalla memoria un ri­cordo, il famoso scontro che oppose proprio i controllori di volo al presidente Reagan nel 1981, all’inizio del suo primo mandato; per averla vinta Rea­gan non esitò a licenziarli tutti.

Nessuno auspica che da noi si applichino misure così dra­coniane, ma varrà la pena ri­cordare ai nostri governanti, ministro Treu in testa, che pro­prio con quel braccio di ferro iniziò una presidenza di ecce­zionale successo, in cui si mi­sero le basi dello straordinario boom economico americano, che ancora’oggi continua.


Pubblicato In: Giornali, La Stampa
→  aprile 18, 1999


L’OPA Olivetti sta diventando il reagente che, aggiunto alla soluzione, fa precipitare gli avvenimenti; le sue implicazioni ormai non riguardano solo più le due società interessate, ma politiche e assetti industriali italiani ed europei.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  aprile 13, 1999


A sentire le opinioni che incominciano a circolare e a cui Massimo Riva dà voce nel suo articolo di sabato (Se la moneta cattiva scac­cia la buona, «la Repubblica» del 10 aprile) la colpa di Colaninno e soci sarebbe quella di avere traviato con il cattivo esempio Fran­co Bernabè e il vertice Telecom, inducendoli a seguirne l’esempio sulla «sciagurata rincorsa all’indebitamento».

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Pubblicato In: Giornali, La Repubblica