La memoria della sinistra e ciò che si muove nel Pd

febbraio 17, 2017


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


I numeri con cui la Direzione del PD del 13 Febbraio ha approvato la mozione di Matteo Renzi, scrive Lina Palmerini, “raccontano solo in parte quello che si muove nel PD”: è questo che serve a capire quando si voterà e se Renzi resterà segretario. Ma oltre a “quello che si muove nel PD” c’è anche quello che Renzi ha detto nella sua relazione: ed è questo che serve a capire quale sarà il profilo politico del PD che si presenterà al giudizio degli elettori.

Nel suo discorso Renzi ha preso le distanze dal passato del centro-sinistra. “Rottamare” le vecchie leadership non può voler dire rinnegare quello che di buono quei leader hanno fatto. Invece Renzi ne ha messo in discussione i meriti: le privatizzazioni – Telecom (Prodi/D’Alema), Ilva (cominciata con Prodi presidente dell’IRI), banche (Amato); ma anche il pacchetto Treu, il Jobs Act del Governo Prodi. Prendendo mossa dal successo (nei sondaggi) di Martin Schulz, Renzi ha rifiutato la “terza via”: ma la “seconda via”, la strada alternativa al capitalismo, era il socialismo sovietico. Sull’Europa è stato Graziano Delrio a chiedere di allentare ulteriormente i vincoli per avere maggiore spesa. Qualcuno è arrivato persino a dire che fuori dal patto di stabilità, oltre a quella per terremoto e migranti, dovrebbe stare anche la “spesa sociale”.

Renzi si è dunque messo, vent’anni dopo, all’opposizione del centrosinistra a guida Prodi-Ciampi. Va sommessamente ricordato che quel centrosinistra le elezioni le vinse, e contro Berlusconi, forse un competitor più attrezzato di Beppe Grillo. Chi oggi lo attacca, da un po’ di tempo le elezioni non le vince più. Chi ha a cuore non solo il PD, ma una percezione corretta della memoria collettiva di questo Paese, deve dire che le critiche di Renzi sono profondamente ingiuste. Sullo scontro delle correnti non si può sacrificare la storia.

Convincere Bertinotti a vendere Telecom, e tutta intera, è stato il grande successo di Ciampi; il tentativo di procedere nel modo canonico del nocciolo duro fu un insuccesso ma, dopo di esso, l’OPA su Telecom è stata la più grande operazione di mercato mai vista in Italia. Oggi il settore della telefonia è forse il solo nel quale la concorrenza funziona meglio che altrove: grazie ai passi indietro, non ai passi avanti dello Stato si è potuto creare un mercato competitivo. I danni ambientali prodotti dall’Ilva pubblica non erano affatto minori di quelli dell’Ilva privata. Paradossalmente, solo col cambio di proprietà è stato possibile fare di quei danni un problema da affrontare e non polvere da mettere sotto il tappeto. Il centro-sinistra ha privatizzato gran parte del sistema bancario italiano: piuttosto che polemizzare sarebbe da chiedersi se è un caso che i guai maggiori si sono prodotti nella banca che, derogando alla disposizione di legge, è rimasta sostanzialmente sotto il più stretto controllo politico.

Il ritardo nella banda larga, l’inquinamento dell’ILVA, le sofferenze in MPS erano proprio i problemi che Renzi si era impegnato a risolvere: l’impressione è che il confronto su questo terreno non gli giovi. A sanare il gap nella diffusione della banda larga sta provvedendo Telecom stessa, che nel 2019 avrà collegato in fibra ultra larga il 95% delle abitazioni. I fondi per le aree a fallimento di mercato hanno sicuramente aiutato gli operatori privati a fare la loro parte, ma la minaccia di riportare lo Stato nel settore ha più che altro creato incertezza. Ilva continua a macinare milioni di perdite l’anno, chiunque sia il commissario governativo che deve occuparsene. Quanto a MPS, solo un tardivo intervento dell’attuale Governo ha evitato un disastro, dopo mesi passati a immaginare “soluzioni di mercato” tutte all’interno di una logica di capitalismo di Stato.

Non più appropriate appaiono le critiche all’Europa. Entrare nell’euro ci ha permesso un sostanziale risparmio sulla spesa per interessi sul debito: la colpa non è di Bruxelles se l’abbiamo usato male. Con una spesa pubblica del 51% del PIL, e che la politica dei “bonus” non ha certo ridotto, verrebbe più che altro da chiedersi dov’è l’austerità. C’è poi una questione politica forse più preoccupante. Quello da cui oggi prende le distanze Renzi, era il centro-sinistra del maggioritario. Il Renzi che ci aveva sedotto era quello che affermava risoluto che la legge elettorale doveva consentire agli elettori di sapere la sera stessa delle elezioni da chi sarebbero stati governati. Il suo doveva essere un PD a vocazione maggioritaria, liberato dalle zeppe dell’antiberlusconismo. Oggi, spinto dalla Consulta a ripiegare sul proporzionale, Renzi non ha riproposto il maggioritario che pure dicono essere nel DNA della sinistra. Forse perché dopo la sconfitta del referendum, non avrebbe avuto i numeri in Parlamento per farlo approvare? Certo avrebbe dovuto fare qualche accordo prima del voto. Evidentemente ha ritenuto più sicuro spostare il partito a sinistra per (cercare di) fare il pieno di voti, rimandando le alleanze a quando, in un Parlamento proporzionale, queste saranno giustificate dall’esigenza “repubblicana” di sbarrare la strada ai populismi. Forse più di quello che si muove nel PD, è quello che è stato detto del passato del centro-sinistra, a dire qualcosa per il futuro del Paese.

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