E se lo Stato vendesse la Rai?

aprile 1, 1995


Pubblicato In: Varie


Il mio amico benpensante lo incontro in libreria, reparto saggi. Passeggiamo tra i titoli: Bobbio l’ha già letto, Napolitano e Occhetto pure. Frodi lo conosce da Micromega. Divertito davanti a Ricossa, si fa serioso per Lunghini. Si porta via Berselli e Salvati. Gli offro Liberai.
Arriva puntuale la domanda: «Quando andremo a votare? Ho letto che lei voleva andarci a giugno prossimo: ma come si fa con questa situazione delle Tv?»
Io: «Già: e il guaio è che più si prova a metterci mano, più il problema sembra ingarbugliarsi».

Lui: «Ma così è immorale!»
Io: «Oltretutto c’è un intero settore industriale che ne risulta inquinato e ne soffre. Con il bisogno che abbiamo di creare nuove occasioni di lavoro!»
Lui: «Ma che cosa vuole che gliene importi a quello: lui ha già vinto un’elezione con le televisioni: se non si fa qualcosa, con le televisioni vincerà anche queste».
Io: «Vedo che lei conosce lo studio secondo il quale la Tv avrebbe spostato il 10 per cento dei voti. Ma ammetterà che senza Berlusconi il quadro politico oggi sarebbe ancor più simile a una riedizione della prima Repubblica. Non le pare che la vera anomalia è che un padrone di televisioni si debba candidare a capo del governo per modificare un quadro politico, esso pure diventato anomalo?»
Lui: «Ma c’è una clamorosa ingiustizia: lui ha le televisioni e gli altri no. In nessun paese liberista un proprietario di televisioni potrebbe assumere posizioni di governo. Speriamo almeno che passi la proposta del suo collega Passigli: così chi possiede aziende in settori strategici sa che, se vuole governare, dovrà venderle».
Io: «Su quella proposta ci sarebbe molto da discutere, non per nulla io non l’ho firmata. Non voglio farle fare tardi a cena, ma le faccio notare che potrebbe essere una vittoria di Pirro: una legge ad personam potrebbe far guadagnare voti a Berlusconi, quindi favorirne il successo; giunto al potere, avrebbe buon gioco di farla subito abrogare, o di renderla inefficace governando per interposta persona. Non pensa che sarebbe ancora peggio?»
Lui: «Mi sembra che l’aria di Roma non le faccia bene. Almeno sarà d’accordo sulla proposta Veltroni: Fininvest e Rai vendano ognuna una rete».
Io: «Certamente; ma non vedo come questo di per sé risolva il problema che sta a cuore a lei, e, se ancora mi crede, anche a me. Berlusconi dovrebbe scegliere tra Fede e Liguori: contento lei… Provo invece a farle una domanda: lei è liberista, no? E quando Agnelli, all’epoca di Pomigliano, se la prendeva con la concorrenza a suo dire sleale dell’Alfa Romeo, lei da che parte stava? E nella disputa tra Telecom e Omnitel sui telefonini? E nel momento alto del sogno di Gardini, era dalla parte dell’Eni o di Montedison?»
Lui: «Sa benissimo che io ho sempre voluto che lo Stato non rubasse il mestiere agli imprenditori, dilapidando i nostri soldi in fondi di dotazione. Ma che c’entra?»
Io: «E allora, nel settore televisivo italiano, qual è la presenza anomala, quella di Berlusconi o quella della Rai?»
Lui: «Vuol dirmi che la Rai è il lupo e Fininvest l’agnello?»
Io: «Ma almeno non avremmo il lupo con pelle d’agnello: Berlusconi non avrebbe potuto mettere i suoi uomini nel consiglio Rai. Vede, si parla di privatizzare, perché non si mette in lista anche la Rai, tenendo in mano pubblica solo una rete, con compiti istituzionali e culturali?»
Lui: «E se la compera un socio occulto di Berlusconi?»
Io: «Può succedere, ma sui mercati normali già vigilano l’ Antitrust e Bruxelles. Invece che fare una seconda An-titrust, perché non fare il mercato? Dimentichi per un momento il ruolo politico di Berlusconi: c’è un settore industriale con una presenza pubblica e una privata: lei vorrebbe ridurre quella privata o quella pubblica? È questa anomalia pubblico-privato che dà armi a Berlusconi: tre reti lui perché tre ne ha la Rai, monopolio pubblicitario lui perché la Rai ha il canone. Invece in un mercato normale, numero di reti, tetti pubblicitari, incroci di partecipazioni, tutto sarebbe più semplice da regolare. Un concorrente vero di Fininvest avrebbe tutto l’interesse a differenziarsi, per non alienarsi fasce di spettatori, deludendo gli sponsor: forse che i progressisti non mangiano pasta Barilla o i prosciutti Ravagnati?»
Lui: «Ma chi vuole che comperi quel carrozzone che è diventata la Rai? E poi: quanto tempo ci vuole? Proprio lei che voleva votare a giugno: giugno di che anno?»
Io: «Che l’eccesso di personale in Rai sia un problema lo so bene. Vogliamo tenercelo, o vogliamo affrontarlo? Quanto al tempo, temo proprio che nell’immediato non ci sia altro che questa grottesca par condicio. D’altra parte, nel paese che ha messo i braghettoni a Michelangelo… Anche se un’elezione non è il giudizio universale!»
Lui: «Da quando si è messo in politica lei è sempre più paradossale: prima le pensioni, poi il voto, poi Prodi a Mi-lano, adesso l’antitrust contro la Rai!»
Io: «Non son tanti quelli che vogliono comprare televisioni: perché lasciare che quei pochi risolvano i problemi di Berlusconi, e non i nostri?» Lui: «Dovremo quindi ancora avere un padrone di televisioni presidente del Consiglio?»
Io: «Io lavoro perché si viva in un paese che non voglia avere un presidente del Consiglio padrone di televisioni: che oltretutto ha dimostrato di non saper governare. Dato che noi le televisioni non le abbiamo, dobbiamo supplire con la coerenza: e ammetterà che la mia proposta almeno è coerente».
Lui: «La saluto, sennò mi perdo Biagi».
E se ne va scuotendo la testa.

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