Al telefono con Mario Deaglio

luglio 30, 1994


Pubblicato In: Varie


Intervista di Franco Debenedetti a Mario Deaglio

D.: Professor Deaglio, lei è attento osserva­tore della situazione nazionale, che riesce sempre a guardare dal punto di vista di 7brino. Lei è stato, tra l’altro, uno dei primi a parlare apertamente del declino della nostra città, quando ancora nessuno sem­brava accorgersi della gravità della situa­zione. Quali attese e quali timori dovrebbe­ro attualmente nutrire Torino, la sua eco­nomia e le sua realtà sociale, verso il nuovo clima politico italiano?

R.: Premetto innanzitutto che parlo da eco­nomista, e dunque le mie attese e i miei timori riguardano principalmente la situa­zione economica.

Ora il principale timore in questo momento è che le conseguenze di una situazione politica disordinata e confusa possano influenzare negativamente la congiuntura economica nazionale con riflessi negativi su quella di Torino, da sempre molto sensibile a svolte e oscillazioni: stia­mo andando incontro al pericolo di una “gelata” politica che rovini le gemme di una ripresa che non è ancora sbocciata.

D.: Quali sono quindi, secondo lei, i nodi cruciali, le scelte principali da compiere nel Parlamento e quali contatti specifici posseggono con la realtà torinese?

R.: Esistono dei nodi problematici e delle scelte di tipo congiunturale che saranno affrontati nella nuova Finanziaria, una legge difficile che dovrà essere calibrata molto attentamente. Credo’ che rivesta un’importanza veramente cruciale il modo in cui il Parlamento riuscirà a mettere assieme, se ci riuscirà, risanamento della finanza pubblica e ripresa. Poi però sarà necessario andare a toccare dei nodi strutturali, il più impor­tante dei quali, per quanto riguarda Torino, è quello relativo alla politica industriale: occorrono nuove regole e una serie di interventi specifici che interessano direttamente l’area torinese. Il principale di questi è relativo alle infrastrutture e in particolare ai tra­sporti: l’alta velocità, ad esempio, per noi avrebbe delle altissime economie esterne (collegamento con Lione, ecc.). Per quanto riguarda le regole, queste attengono princi­palmente alla distribuzione delle risorse finanziarie e quindi si collegano al grande tema del federalismo. Io sono contrario a forme di federalismo accentuato che potrebbero mettere seriamente in pericolo, come mi sono sforzato di dimostrare in un recente saggio sull’argomento, l’unità nazionale e la situazione finanziaria del nostro Paese. Ciononostante, è necessario avviare un mutamento nelle regole distri­butive delle risorse pubbliche sul territo­rio, ma con molta cautela e in maniera gra­duale, dal momento che un federalismo che trasferisca immediatamente quote importanti delle risorse nazionali dal Sud al Nord, scompensi tali da innescare subito una nuova immigrazione.

D.: Lei sembra dunque mostrare interesse più ad un’ipotesi di radicale decentramen­to amministrativo, che non a una prospetti­va rigidamente federalista.

R.: Un decentramento amministrativo che può essere realizzato in due modi: esiste un decentramento territoriale, che si realiz­zerebbe, ad esempio, facendo “dimagrire” la città di Roma di tutta la “concrezione” dei Ministeri che, pur rimanendo centrali, sarebbero però localizzati fisicamente in varie parti del territorio, sul modello tede­sco. I tedeschi hanno la Banca Centrale a Francoforte, la Corte Costituzionale a Karlsruhe, il Parlamento a Bonn. Una parte delle istanze federaliste potrebbero poi essere realizzate da un decentramento amministrativo che conferisca un’autonomia maggiore ai singoli organi dello Stato, rendendoli in tal modo più vicini alle esi­genze locali, ma senza mettere in pericolo l’unitarietà dello Stato medesimo. Significherebbe semplicemente conferire, pur all’interno di un contesto di ammini­strazione unitaria, una maggiore libertà d’azione ai vari direttori degli ospedali, ai presidi delle scuole, ai rettori delle Università che vedrebbero così aumentato il proprio potere decisionale.

D.: Arriviamo così alla quarta e ultima domanda: cosa può fare, Professore, Torino per contribuire a raggiungere quegli obiettivi del Governo che sono condivisibili da parte di tutti, perché rappresentano delle necessità oggettive per il Paese?

R.: Torino è storicamente un grande laboratorio politico e ne ha dato prova in varie occasioni, anche recentemente con l’elezio­ne Castellani al governo locale e poi con i risultati elettorali che hanno consentito coalizioni che si sono caratterizzate come progressiste, ma con una certa qual varietà di uomini. Torino potrebbe poi diventare il posto dove l’opposizione impa­ra veramente a fare l’opposizione: essa, a mio parere, ha il compito di elaborare un’analisi critica e sobria dell’operato del Governo, senza pretendere di volerlo imita­re. Io sono contrario a che le opposizioni presentino una loro Legge Finanziaria alternativa, mentre invece sarebbe utile rilevare le eventuali carenze e contraddizio­ni della Finanziaria che verrà presentata. Torino, come laboratorio politico in cui si sono realizzate alleanze non dogmatiche e in cui gli elettori hanno dimostrato di ave re la capa­cità di de­cidere so­briamente, potrebbe diventare il punto di partenza di questo tipo di politica d’opposi­zione.

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