→ marzo 24, 2020

PER IL SOLE 24 ORE, NON PUBBLICATO
di Franco Debenedetti e Francesco Vatalaro
The Hammer and the Dance è il titolo di un articolo di Tomas Pueyo su Medium, in cui spiega le strategie contro il Coronavirus. Il martello è la strategia che ormai i paesi occidentali hanno abbracciato per invertire la curva dell’epidemia: distribuire gli ammalati su tempi più lunghi per evitare che il sistema sanitario ne sia stritolato. Il “martello” comporta il distanziamento sociale per tutti, l’isolamento domiciliare dei casi sospetti e la quarantena anche dei conviventi, la chiusura di scuole e università e via restringendo.
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→ marzo 13, 2020

Intervista di Gianluca Zapponini a Franco Debendetti
Il problema non è fare o non fare la banda ultralarga, ma a chi affidare il controllo della futura società. Difficilmente la telco guidata da Gubitosi e il campione pubblico rinunceranno alla guida. E del partner scelto da Tim, Kkr, non si può fare a meno. E allora, perché non fare due reti, magari in concorrenza tra loro?
Tim spinge forte sulla rete unica. Ma la partita con Open Fiber è apertissima. Ieri il ceo della compagnia telefonica, Luigi Gubitosi, ha presentato alla comunità finanziaria le linee strategiche aggiornate al 2022, imperniate sulla nascita di una società per la rete unica, con cui portare la banda ultralarga in tutto il Paese.
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→ marzo 4, 2020

Quando si chiamava Telecom, innumerevoli erano stati gli interventi pubblici nella vita dell’ex monopolista delle telecomunicazioni. Da quando si chiama TIM sembrava che non ce ne fossero stati di nuovi. Con preoccupazione si è quindi appreso che, avendo il fondo KKR manifestato l’interesse a prendere una partecipazione fino al 49% nella rete secondaria di TIM per contribuire a finanziarne la transizione dal rame alla fibra, il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha tenuto a ricordare a TIM che la rete è “strategica”, come è dimostrato dal fatto che la legge gli conferisce il potere di esercitare la golden power, vale a dire di negare il suo consenso. Se neanche il governo, e neanche il PD, dimostrano di non considerare che la ex-STET è un’azienda privata, non c’è da stupirsi che ancora tanti non perdonino a Ciampi di averla venduta tutta.
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→ marzo 3, 2020

Buona o cattiva che sia l’idea dello stato imprenditore, in Italia l’insana idea ha dato il peggio di sé
Giuseppe Conte ha inserito Mariana Mazzucato nel suo staff in qualità di consigliera: per pensare a un rilancio dell’economia, dice. Dopo il premier protettore che blocca aerei e chiude chiese, dopo il premier taumaturgo che, giorno e notte, dalla Protezione civile, dirige e indirizza prelievi e quarantene, sarà la volta del premier innovatore che trascina l’Italia fuori da una crisi che potrebbe diventare disastrosa? E’ nota la teoria di Mariana Mazzucato, enunciata in un libro di invidiabile successo: l’imprenditore più audace, l’innovatore più prolifico, il finanziatore più lungimirante è lo stato.
L’i-phone, il touch screen, la nanotecnologia, il Gps, le tecnologie rivoluzionarie della nostra epoca non sono che lo sfruttamento commerciale di idee originate in strutture statali o grazie a finanziamenti pubblici. Altro che “insana idea della politica industriale” dei suoi detrattori: il suo “stato innovatore” è “virale”, diffuso in tutto il mondo. Chi meglio di lei, deve aver pensato Conte, può aiutarci a uscire dalle conseguenze dell’epidemia da coronavirus? Apparentemente, una scelta perfetta. Altro che il Piacentini che Renzi aveva sottratto alla Apple per provare a digitalizzare la Pubblica amministrazione: la Mazzucato è il simbolo dell’interventismo, la rabdomante delle innovazioni, l’aquila dello sguardo lungo, il Pindaro dell’investitore paziente: chi meglio di lei per motivare le burocrazie nostrane e rassicurare i capitali stranieri? E, per parlare in prosa, chi meglio di lei per tenere a bada un’irrequieta maggioranza, divisa su quasi tutto, ma, dai Cinque stelle al Pd (per non parlare di LeU), compatta nel pretendere l’intervento dello stato? Perfino Renzi: Openfibre chi l’ha inventata?
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→ novembre 29, 2019

La vicenda della Tirreno Power è davvero lo specchio di quella dell’Ilva, come titola un editoriale del 27 novembre? Se nel senso che entrambe furono bloccate da un “intervento giudiziario paralizzante”, certamente sì. Sì, probabilmente, perché come a Savona, anche a Taranto potrebbe risultare che non sono dimostrabili i nessi causali tra le emissioni, quelle reali e ancor più quelle consentite, e i danni sanitari. Sì, ancora, perché i provvedimenti giudiziari colpirono le aziende in un momento di gravissime crisi di Mercato, a Vado per la concorrenza delle fonti rinnovabili unita al calo della domanda dovuta alla crisi, a Taranto per la concorrenza della sovrapproduzione cinese, che colpa gravemente tutti gli acciaieri europei.
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→ novembre 12, 2019

Se lo stato non fa rispettare i contratti perché mai dovrebbe gestire un’acciaieria che non è il suo mestiere?
L’Ilva, oltre che acciaio, produce dividendi politici. È così fin dalla sua origine, nel 1959, quando Antonio Segni, presidente del Consiglio, per creare posti di lavoro nel Mezzogiorno, e contro il parere dei tecnici dell’Italsider, decide di dare il via a Taranto alla costruzione del quarto centro siderurgico.
Sessant’anni dopo sia la decisione di continuare a produrre acciaio, sia quella di chiudere tutto, pagano ciascuna un dividendo politico a una parte di cittadini. Se si fa la scelta di mantenere l’Ilva si incassa il dividendo da chi era favorevole. Ma poiché il grido di chi si oppone è più forte della voce di chi è d’accordo, diventa più forte il dissenso di chi era contrario, e quindi più alto il dividendo politico che si può incassare rovesciando la decisione.
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