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→  marzo 25, 2019


Mente, comunicazione e algoritmi. Come cambiano norme e valori, su cui si giocano sfide legali ed economiche.
Una “storia critica” delle grandi piattaforme del web e delle relazioni sociali nella cultura della connettività

Sono dei monopoli; sono troppo grossi, guadagnano vendendo i nostri dati; non pagano tasse; minacciano la democrazia; alterano le personalità: i social media sono sotto il tiro incrociato di politici e sociologhi. Eppure i social media, intesi come il gruppo di applicazioni basate su Internet, hanno formato la struttura online sulla quale la gente organizza le proprie vite. Originariamente ad attirare gli utenti fu il desiderio di essere connessi; la crescente richiesta di connettibilità attirò le imprese, interessate a fornire connettività. In pochi anni si passa da una cultura della partecipazione a una “cultura della connettività”: è questo il quadro concettuale in cui José Van Dijck inserisce la sua “storia critica dei social media” (The Culture of Connectivity, Oxford University Press)passaggio ineludibile se si vuol capire le tensioni nell’ecosistema in cui operano le grandi piattaforme e gruppi sterminati di persone. Anzi connective media invece di social media: perché l’essere social è il risultato di un input umano che diventa output digitale e viceversa, in un costrutto sociotecnologico di cui è difficile separare i componenti.

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→  febbraio 27, 2019


Dare al Consiglio Europeo il potere discrezionale di disattendere le decisioni della Commissione: la proposta del ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire parve dettata da risentimento per lesa maestà. Come osava la Commissione Europea bocciare il progetto, sponsorizzato dai rispettivi governi, di fondere le attività ferroviarie di Alstom e Siemens? Ma quando dopo soli 15 giorni, la proposta la si ritrova nel Manifesto franco-tedesco per una politica industriale europea adatta al 21esimo secolo è chiaro che essa fa parte di un progetto più ampio, concordato con il collega tedesco, volto a “modificare le regole della concorrenza per consentire alle imprese europee di competere su scala mondiale”. Con il che passano in secondo piano i principi che consideravamo consustanziali all’idea stessa di unione sovranazionale, fare dell’Europa uno spazio economico aperto alla concorrenza, avendo il beneficio per il consumatore come metro di giudizio.

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→  febbraio 15, 2019


Economia e politica

Caro Direttore,

La decisione del Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager che ha vietato la fusione delle attività ferroviarie di Alstom e di Siemens, perché così si ridurrebbe la concorrenza nel mercato europeo dei materiali rotabili, è stata, per alcuni, una sanguinosa ferita. Ma la proposta del ministro dell’Economia e delle Finanze francese, Bruno Le Maire, di dare ai Governi nazionali il potere discrezionale di disattendere le decisioni della Commissione equivarrebbe all’amputazione della principale struttura portante dell’Unione Europea. Infatti consustanziale all’idea stessa di Unione sovranazionale è l’esistenza di uno spazio economico aperto alla concorrenza, dove è vietata la costruzione di posizioni dominanti, men che mai se per consenso o volontà dei governi. Tra l’altro la Commissione aveva già fatto circolare alle Antitrust nazionali la bozza di risoluzione, e pare che anche quella francese l’avesse approvata. Non è quindi esagerato dire che abbandonare questo principio comporterebbe la fine dell’idea stessa di Europa. Si usa il condizionale perché, essendo l’indipendenza dell’Autorità antitrust scritta nei trattati ed essendo questi modificabili solo con l’unanimità dei consensi, la proposta Le Maire ha probabilità nulla di essere accettata. Per lo stesso motivo sarebbe stato quanto meno incauto averla avanzata solo per dimostrare che la Francia di Macron è in prima fila nel promuovere le riforme dell’Unione.

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→  febbraio 14, 2019


Al direttore.

Abbiamo litigato per niente: l’analisi costi benefici ha decretato che questi ultimi sono maggiori, e che quindi nulla più si oppone a terminare l’opera. Infatti l’errore che ha portato a una diversa lettura delle risultanze deriva non da una valutazione tecnico-politica di dati materiali, ma da una errata imputazione bilancistica. Mi riferisco ai €1,6 miliardi di riduzione delle accise sui carburanti, ed ai €2,9 miliardi di riduzione dei pedaggi autostradali, secondo quanto ricavo dall’articolo di Alberto Brambilla del 13 febbraio. La somma, pari a €4,5 mld, più che annulla lo scarto di €2,7 che appare dal rapporto. Infatti il conto costi benefici si riferisce al Paese, non è il conto finanziario del Tesoro. Questo incassa 4,5 miliardi di meno, ma per il Paese non cambia di un €. Le minori entrate del Tesoro sono un minor costo per i cittadini, che quindi si trovano più soldi in tasca. Quei €4,5 miliardi non sono un costo. E prescindo dai vantaggi per così dire di secondo livello di quello che equivale a un taglio delle imposte. Tutto a posto dunque, tutti d’accordo: il conto è stato fatto, gli ingegneri avevano ragione, hanno sbagliato i ragionieri.

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→  febbraio 5, 2019


Se il titolo affonda ancora non è per colpa dei capitalisti privati ma per l’intesa tafazzista tra Elliotte CDP. Memento

Alla presentazione de “L’Italia: molti capitali , pochi capitalisti” il libro scritto da Beniamino Piccone per Guido Roberto Vitale, svoltasi giovedì 24 a Milano, sono risuonate le note accuse al nostro capitalismo: familistico, opportunista, incapace di grandi progetti, come dimostrato dal fatto di non aver costruito grandi imprese. Nessuno ha però indicato che le prossime settimane potrebbero segnare la fine di una delle poche che son rimaste: se TIM perderà il controllo della propria rete, rimarrebbe solo più un rivenditore di servizi con una rete di negozi, in Italia alla pari degli altri operatori, WIND, 3, Vodafone e oggi anche Iliad. E questo sarà stato ad opera della politica, alla fine di una battaglia durata vent’anni.

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→  dicembre 27, 2018


È naturale che, come scrive Franco Bassanini (Il Sole 24 Ore, 21 Dicembre 2018), “molte disposizioni del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche tendano a favorire investimenti nelle infrastrutture di tlc di ultima generazione”. Però esso preserva il principio della neutralità tecnologica, le autorità nazionali non possono discriminare tra tecnologie. Per il consumatore quello che conta, più del punto di arrivo, è il transitorio: quanto tempo? quanti soldi? chi paga? Dipende da politiche fiscali, di competenza degli stati sovrani, non della Commissione. I nostri vicini europei intendono effettuare il passaggio alla rete tutta ottica con gradualità (2025 – 2030): per Deutsche Telekom la copertura universale FTTH a breve nel Paese sarebbe impossibile, costerebbe €70 mld; il Presidente Macron ha rivisto il piano FTTH del precedente governo aprendo a tutte le tecnologie d’accesso. Esclusa la Spagna (dove i cabinet non esistono, i cavi in rame sono interrati in trincea) l’Italia è l’unico Paese dell’Europa Occidentale ad aver dichiarato di voler realizzare una copertura FTTH «universale»; gli altri per ora prevedono di accelerare i collegamenti a 100 Mbit/s e la predisposizione di connessioni FTTH per utenti affari e pubblica amministrazione e per le stazioni radio del futuro sistema 5G. I molto citati casi di passaggio diretto dal rame a FTTH hanno tutti motivazioni specifiche: in Giappone le linee sono aeree e le interferenze elettromagnetiche non consentono altro mezzo; in Corea FTTH è usato nei condomini delle tre più grandi città (quasi l’80% della popolazione); altrove si usa il rame potenziato su rete esistente rinunciando alla rete tutta ottica subito, quindici anni fa obiettivo del governo.

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