Pay tv,i demoni del Cardinale

febbraio 4, 1999


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Silvio Berlusconi ha perso un primato: non è più lui la be­stia nera, il nemico pubblico numero uno ora ha il nome e l’in­quietante sorriso di Rupert Murdo­ch. Che il padrone di Fininvest condivida stabilmente con la Rai il mercato della televisione genera-lista (e con il centro-sinistra la scena politica) è ormai acquisito: ma che nessuno pensi di ripetere quella storia nella televisione satel­litare. Non ci devono essere sor­prese. Non ci saranno sorprese: parola di Salvatore Cardinale.

Così, appena Murdoch si è affac­ciato, via con la demonizzazione: è uno squalo che usa tecniche omici­de verso la concorrenza, un oppor­tunista australiano-americano-in­glese, ubi bonum ibi patria. E, al­ternando insulti a blandizie: il satel­lite richiede enormi investimenti in marketing, se il mercato italiano si divide tra due concorrenti, avranno vita grama tutti e due. Perché farsi del male? Salga dunque anche la sua BSkyB sulla piattaforma satel­litare insieme a Canal Plus, Tele­com, Rai, Fininvest, tutti in un’uni­ca azienda che acquisti i diritti di trasmissione e venda gli abbona­menti. Inoltre i messaggi, neppure tanto in codice, a Telecom: mai le venisse in mente di vendere la mag­gioranza di Streani, si ricordasse che gli utili si fanno con le tariffe.

Ma visto che Murdoch va avanti e che Telecom non si tira indietro, arriva la legge: nessuno potrà comperare i dirit­ti di trasmissione di più del 60% delle partite di calcio di serie A. «Straordinarie ragioni di necessità e urgenza», il de­creto legge ha iniziato ieri il suo iter al Senato.

Vi ricorrono le parole dette e ridette nelle passate settimane: i diritti dei consumatori, gli in­teressi delle società di calcio, il pluralismo, la concorrenza. Tante parole lanciate per evoca­re, nessun argomento sviluppa­to per convincere.

Consumatori. Che ci guada­gnano i consumatori da un fra­zionamento dei diritti di pay tv tra due operatori? Solo maggio­ri costi e minore comodità: sia che abbiano una squadra del cuore e vogliano seguirla in ca­sa e in trasferta, sia che preferi­scano scegliere volta per volta la partita più interessante, devo­no comunque farsi due abbona­menti.

Società di calcio. I club pro­ducono spettacoli, e questa leg­ge vorrebbe espropriarli del di­ritto di trarne il massimo rica­vo: una volta aggiudicato il 60%, il restante 40% possono solo regalarlo o non venderlo affatto. Dalle risorse economi­che dipende la qualità degli spettacoli. In tutta Europa, dal­la Spagna alla Svezia, dalla Francia alla Germania, all’In­ghilterra, è una sola pay tv ad avere i diritti di tutte le partite. E dicevano che il nostro era il più bel campionato del mon­do!

Pluralismo nell’informazio­ne. Tra Rai, Mediaset, Cecchi Gori, la televisione generalista offre una varietà di programmi tale da ridurre l’attrazione della tv a pagamento. La tv digitale terrestre è un’altra temibile concorrenza. Tant’è che Mediaset si è chiamata fuori, per lei la tv generalista sarà sempre in testa.

Della fetta di mercato che, se va bene, la pay tv prenderà tra mol­ti anni, già la legge 249 stabili­sce che nessuno potrà a regime avere più del 30%. Ora al vinco­lo di spartirsi i clienti si aggiun­ge il catenaccio di spartirsi i prodotti da vendergli. Blinda­to….gong!

Concorrenza. Canal Plus ha portato la tv a pagamento nel nostro Paese, le posizioni di for­za se le è conquistate sul campo e le ha assicurate da contratti di non breve durata nei settori pre­mium: se è il pluralismo ciò che si vuole, è delle condizioni del nuovo entrante che ci si dovreb­be preoccupare non di quelle dell’incumbent. Che concorren­za ci sarebbe se nessuno se la sentisse di investire e Canal Plus restasse da sola? Concor­renza è scoperta: se il mio con­corrente ha il calcio, prenderò la Formula uno e lo sci, finanzierò il rugby, farò conoscere la palla­volo. Concorrenza è lottare per acquisire un vantaggio competi­tivo, non coltivare il campicello ricevuto in dotazione. E invece si teorizza un decubertinismo te­levisivo, competizioni in cui l’unico risultato è il pareggio. Ma già che ci siamo, perché non vietare le posizioni domi­nanti anche alle squadre, e met­tere un limite ope legis ai cam­pioni che si possono ingaggia­re?

Consumatori, sportivi, club, pluralismo, concorrenza, non c’entrano nulla. C’entra solo neutralizzare il nuovo pericolo pubblico e assicurare sempiter­na (e possibilmente poco costo­sa) centralità alla Rai. A parte lo scambio di persona Berlusco­ni-Murdoch, déjà vu: la sola novità è che questa volta si gioca d’anticipo.

È lecito sperare che il decre­to legge sarà modificato in questa sua parte (anche sul de­coder ci sarebbe da discutere). Ma resteranno le tossine che questa vicenda ha sparso, i danni che hanno fatto non so­no facilmente reversibili.

È stato recato danno alla cul­tura delle concorrenza. Scam­biare la concorrenza per la spar­tizione del mercato decisa dall’alto è una mistificazione; degradare il ruolo del garante a quello del protettore è un attac­co — un altro attacco — porta­to alle autorità, sia Antitrust che di settore.

È stato recato danno alla cultura legislativa. Questa leg­ge ha un nome e un cognome, e non è necessario citare gli argomenti di Hayek o Rawls per ricordare che un velo di Ignoranza deve proteggere la maestà della legge dagli inte­ressi di una parte; che le leggi ad personam sono la negazio­ne della giustizia, minano l’au­torità del Governo, ne danneg­giano la credibilità. Alla fine è quello di chi le ha proposte il nome che viene ricordato: con disdoro.

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