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Archivio per il Tag »pluralismo«

→  settembre 18, 2010

di Giovanni Valentini

Gli uomini del centrosinistra hanno commesso gravi errori che hanno agevolato l’ ascesa di Berlusconi. (da “Berlusconi e gli anticorpi” di Paolo Sylos Labini Laterza, 2003 – pag. 28) Diversi lettori hanno scritto piuttosto allarmati al Sabato del Villaggio, dopo aver letto la rubrica della settimana scorsa intitolata “Se il Cavaliere compra il Corriere della Sera”, in cui si annunciava che il 31 dicembre prossimo scadrà il divieto stabilito a suo tempo dalla legge Mammì di acquisire il controllo di quotidiani per chi possiede già tre reti televisive. E si ricordava contemporaneamente che giace in Parlamento una proposta di legge, di cui il primo firmatario è l’ ex ministro Paolo Gentiloni, per prorogare ulteriormente questa eventualità al 2015. L’ articolo non è piaciuto, invece, all’ ex senatore Franco Debenedetti che in una lettera esprime il suo “netto disaccordo”.

E l’intervento merita un chiarimento e una replica: non solo perché proviene da un personaggio che è stato parlamentare per tre legislature (1994, ‘ 96 e 2001), prima nelle liste del Pds e poi in quelle dei Ds. Ma soprattutto perché, al di là delle migliori e più rispettabili intenzioni, rivela una sconcertante disinformazione e una sostanziale indifferenza sul tema nevralgico del conflitto di interessi, entrambe diffuse purtroppo anche in una parte dell’opinione pubblica di sinistra. “Dalla Mammì – scrive Debenedetti – sono passati 20 anni, nel mondo dei media è successo di tutto. Che la Repubblica Italiana anno 2010 stabilisca per legge che il matrimonio tra televisione e giornali non s’ ha da fare, mai, in nessun caso, mi pare un’idea assai poco illuminata, proprio da non andarne fieri”. In realtà, la legge Mammì non stabiliva affatto un divieto assoluto di incrocio fra tv e giornali. Quella legge, approvata dal Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) dopo l’occupazione selvaggia dell’ etere da parte Di Sua Emittenza, era una legge-fotografia che si limitava a ratificare l’esistente, cioè il fatto compiuto. Tuttavia, per un minimo di pudore o di decenza, all’articolo 15 introduceva un “Divieto di posizioni dominanti”, fissando appunto una griglia nell’incrocio fra tv e carta stampata: chi deteneva già il 16 per cento della tiratura complessiva dei quotidiani italiani, non poteva avere neppure una concessione televisiva nazionale; chi deteneva l’8 per cento della tiratura dei quotidiani, poteva avere una sola concessione tv; e infine chi deteneva una quota di tiratura inferiore, poteva averne al massimo due. A quell’epoca, come si ricorderà, la Fininvest possedeva già Canale 5, Italia Uno e Retequattro. Per cui, non solo non avrebbe potuto ottenere una terza concessione nazionale, come la Corte costituzionale ha più volte sancito in nome del pluralismo e della libera concorrenza: tant’è che siamo arrivati fino al cosiddetto “decreto salva-reti” nel 2004 e alla legge-vergogna che porta la firma dell’ ex ministro Gasparri. Ma, proprio in forza di quella timida normativa anti-trust, il Cavaliere non poteva mantenere la proprietà del Giornale, ceduto infatti al fratello Paolo con gli esiti che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Sorprende e sconcerta, perciò, che un ex parlamentare del centrosinistra non conosca o non ricordi bene il testo della legge Mammì. Certo che il “matrimonio fra televisione e giornali”, come lo chiama Debenedetti, s’ha da fare: tanto più nell’ era della convergenza e della multimedialità. Il punto non è questo, bensì il livello di concentrazione che si realizza nel campo dell’informazione e della raccolta pubblicitaria, a danno di tutti gli altri media. Ma ancor più sorprende e sconcerta che un ex parlamentare del centrosinistra difenda perfino la legge Gasparri che, dietro il paravento del digitale terrestre, di fatto ha consolidato e rafforzato il duopolio di Rai e Mediaset nel settore della televisione generalista, in chiaro, quella che più fa opinione e influisce più ampiamente sulla formazione del consenso. Eppure, una recente indagine del Censis documenta che i telegiornali restano il mezzo principale per orientare il voto, soprattutto fra le casalinghe (74,1%), i meno istruiti (76%) e ancor più trai pensionati (78,7%). Per l’ex senatore Debenedetti, una concentrazione come quella che si realizzerebbe nell’ipotesi che Berlusconi comprasse il Corriere della Sera, o qualsiasi altro quotidiano, “non è neppure fantapolitica, è surreale”. E comunque sarebbe impedita dal decreto legislativo del 31 luglio 2005 (n. 177 – art. 43). Ma abbiamo già visto fin troppo in passato come si aggirano o si eludono le leggi anti-trust in questo campo. La proposta presentata dall’ex ministro Gentiloni resta perciò quantomai valida e attuale.

→  maggio 27, 2007

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Il ddl Gentiloni rinuncia alla separazione societaria e prospetta una Fondazione: la politica non uscirà di scena

“Va da sé che […] potrebbe e dovrebbe essere messa in vendita ed offerta ad investitori e risparmiatori privati”. Soggetto è la società “a carattere commerciale e tenuta a sostenere le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria”, una delle due in cui avrebbe dovuto essere divisa la RAI. Autore, in una lunga e circostanziata lettera al Corriere della Sera del 30 Dicembre 2004, è Romano Prodi, già in corsa per Palazzo Chigi “ Va da sé – era stata la facile risposta – che lo prendiamo in parola”.

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→  novembre 14, 2006

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La nuova legge considera la pubblicità l’unica fonte d’introito. E così taglia il fatturato del gruppo di Cologno

È raro che chi scrive per criticarti, ti offra papale papale le parole per darti ragione. Ma che gli articoli siano due, di due diversi autori, su due punti diversi, è eccezionale.

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→  ottobre 31, 2006

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Gli obbiettivi sono giusti, ma le norme che dovrebbero raggiungerli producono risultati opposti: che cosa è all’origine di questa contraddizioni? é possibile evitarle?
Il ddl Gentiloni di riforma del sistema televisivo dispone che la “migrazione” alla tecnologica digitale sia per una rete Rai e una Mediaset, anticipata di un anno, ma per la totalità del sistema sia posticipato di 5; dispone inoltre che Mediaset deve ridurre i propri ricavi al disotto del 45% del totale dei ricavi pubblicitari televisivi. Ma ciò produrrà risultati in contraddizione con gli obbiettivi: si vuole più pluralismo, e lo si frena, più concorrenza, e la si riduce: “una legge che ritarda il futuro” ( Il Sole 24 ore del 21 Ottobre).

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→  dicembre 23, 2003

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La Gasparri e il pluralismo

Oltre all’ormai famigerato SIC che tutto consente, e al digitale terrestre che tutto assolve, la legge Gasparri contiene anche una norma di cui finora si è parlato poco. Sta nascosta nell’art. 8, dove si parla di “diffusioni interconnesse” tra le tv locali: il comma 3 le consente per 12 ore al giorno, mentre ora il limite è di 6 ore.

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→  ottobre 1, 2003

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Il dibattito sulla Legge Gasparri

Uno degli elementi più criticati della legge Gasparri è il SIC, il Sistema Integrato delle Comunicazioni. Il ministro lo difende sul Corriere del 26 Settembre, con l’argomento, invero debole, che sarebbe l’evoluzione naturale di norme precedenti. Invece, a ben vedere, la legge può essere depurata, senza modificarne l’impianto, almeno da questa ingombrante, inefficiente ed inutile invenzione: semplicemente eliminandola.

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