Una legge vessatoria per la sola Mediaset

ottobre 31, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Gli obbiettivi sono giusti, ma le norme che dovrebbero raggiungerli producono risultati opposti: che cosa è all’origine di questa contraddizioni? é possibile evitarle?
Il ddl Gentiloni di riforma del sistema televisivo dispone che la “migrazione” alla tecnologica digitale sia per una rete Rai e una Mediaset, anticipata di un anno, ma per la totalità del sistema sia posticipato di 5; dispone inoltre che Mediaset deve ridurre i propri ricavi al disotto del 45% del totale dei ricavi pubblicitari televisivi. Ma ciò produrrà risultati in contraddizione con gli obbiettivi: si vuole più pluralismo, e lo si frena, più concorrenza, e la si riduce: “una legge che ritarda il futuro” ( Il Sole 24 ore del 21 Ottobre).

Il presupposto da cui parte il progetto Gentiloni è che il sistema televisivo italiano rappresenti un’anomalia, e che, senza un intervento preventivo sugli assetti della attuale televisione analogica, questa anomalia ce la ritroveremo anche quando le trasmissioni saranno tutte in tecnologia digitale.
Domanda: in che consiste questa anomalia? Per la letteratura economica, quello in cui opera l’impresa televisiva è un tipico esempio di “mercato a due versanti”, in questo caso il versante dei telespettatori e il versante degli inserzionisti pubblicitari. Chi di loro si lamenta? Non i telespettatori, stando ai livelli di audience. La qualità, mediocre secondo alcuni, è senza rapporto con la struttura del settore: semmai, per chi crede alla popperiana “televisione cattiva maestra” sarebbe la conseguenza di una forte concorrenza. Il ministro Gentiloni, quest’estate è stato contestato da villeggianti cortinesi che si lamentavano perché la RAI non trasmette film d’autore: ma possono vederli dal satellite. Non si lamentano le imprese, che hanno un’offerta abbondante, a un prezzo per punto di ascolto che è il più basso d’Europa. Si lamentano, eccome, gli editori della carta stampata, e molte delle 700 televisioni locali: ma non vogliono più concorrenza, vogliono tetti. Mentre le Antitrust proteggono la concorrenza, non i concorrenti. Potrebbero avere di che lamentarsi gli operatori che volessero entrare in un mercato e che ora ne sono ostacolati da una norma della legge Gasparri. Questa favorisce indebitamente chi già oggi possiede una rete analogica nazionale (tecnicamente: è titolare di un’autorizzazione generale) e non consente a chi non ce l’ha di iniziare un’attività nella TV digitale. E’ su questo punto che l’Unione Europea (il 19 Luglio!) ha messo in mora l’Italia. Il Governo potrebbe ancora modificare l’articolo 23 della Gasparri, con un emendamento alla Finanziaria, risparmiando soldi e brutte figure.

L’anomalia, posto che non sta in nessuno dei due versanti del mercato che la Tv mette in relazione, non sta nella concorrenza. Sta allora nel pluralismo? Sta lì la malattia genetica che si trasmetterebbe al futuro mondo digitale? Ma con 100 canali a disposizione, problemi di pluralismo sono impossibili; e che una rete Rai e una Mediaset siano entrate in quel mondo 3 o 4 anni prima degli altri non fa nessuna differenza.

L’anomalia è tre reti ciascuno a Rai e Mediaset? In nessun altro Paese europeo c’è una TV pubblica generalista, con tre reti, col canone, che raccoglie il 30% circa della pubblicità televisiva, e così può fare il 45% circa degli ascolti. Se questa è l’anomalia, il progetto Gentiloni non la elimina, tre reti sono, tre reti resteranno. Entreranno altre Tv generaliste? Quanto si dovrebbe investire e per quanti anni di fila per arrivare anche solo al 10% di share? Provate a chiedere a La7. E’ probabile che in un Paese delle dimensioni del nostro con due gruppi con tre reti ciascuno più il satellite non ci sia spazio per un terzo gruppo grande. La risorsa scarsa non sono (mai state) le frequenze, bensì i contenuti. Andiamo al dunque: si dice anomalia e si pensa terzo polo. Ma questo non corrisponde a un’esigenza delle imprese inserzioniste, è sempre meno (con satellite e digitale) un’esigenza degli spettatori, forse neppure dei potenziali concorrenti, che solo nel gran mondo del digitale hanno la possibilità di inventarsi modelli di business diversi da quello di combattere a testa bassa contro due colossi. Il terzo polo é un’ideologia, che come tale non è né giusta né sbagliata: ma è certo sbagliato chiamare anomala una realtà che non si conforma a un modello ideologico. Tutta la storia economica sta lì a dimostrare che è la tecnologia a modificare le strutture dei mercati: invece ci sono ancora Governi che vogliono farlo con politiche costruttiviste. Il modello è pronto, togliere una rete a testa a Rai e a Mediaset, al tempo del Governo dell’Ulivo si chiamava “disarmo bilanciato”. Conviene ancora oggi? Conviene a questa esile maggioranza mettersi contro il partito Rai? Conviene offrire all’avversario l’argomento dell’esproprio proletario? E, per dirla tutta, la scelta del titolare di questo terzo polo non provocherà tensioni laceranti proprio all’interno del futuro Partito Democratico? Nei tagli si perde molto sangue, ancor più quando i rami sono fortemente imbricati; la successiva fusione è ad alto rischio, ancor più quando le culture sono diverse e i business sovrapposti. Bertelsmann è tre volte Mediaset o RAI: conviene ridurle quando si lamenta del nanismo delle nostre imprese?

Il ddl Gentiloni pensa di evitare almeno i rischi politici di quel modello. Lo fa in modo strabico, lasciando indenne la RAI e imponendo alla sola Mediaset di fare spazio; lo fa in modo subdolo, non imponendo il taglio di una rete, ma mettendo un tetto ai ricavi. Una legge dell’Ulivo, la Maccanico, aveva chiarito che “risorse” sono tutti i proventi afferenti a un’impresa, da pubblicità, canone, abbonamenti. Il ddl Gentiloni deve per forza ignorare i modelli economici dei “mercati a due versanti”, e considerare Rai e Mediaset come due agenzie di pubblicità, a cui imporre un rozzo limite. Amputare a uno dei due concorrenti, proprio a quello privato ed efficiente, un quarto del suo fatturato, è un intervento inaudito in una economia di mercato, desterebbe scandalo perfino nella Russia di Putin. Farlo in nome della concorrenza aggiunge al sopruso l’ipocrisia. Consola la persuasione che ci sia un giudice a Berlino e che un’operazione così vessatoria venga impedita.

Le considerazioni svolte in questo e nel precedente articolo attengono al funzionamento delle aziende e dei mercati, e prescindono dall’indubbia anomalia del proprietario di Mediaset che entra in politica e conquista il governo il Paese. Ma volerla risolvere in modo indiretto, è un atto politicamente sbagliato. Farlo agendo su un mercato a cui partecipano tutti gli italiani come spettatori e larga parte dell’industria italiana come inserzionisti, è un atto politicamente autolesionistico. Dimostra a tutti che il conflitto di interessi è un’idra a molte teste.

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di Antonio Sassano – Il Sole 24 Ore, 02 novembre 2006

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