«Il Sic così non va, il governo lo lasci cadere»

ottobre 1, 2003


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Il dibattito sulla Legge Gasparri

Uno degli elementi più criticati della legge Gasparri è il SIC, il Sistema Integrato delle Comunicazioni. Il ministro lo difende sul Corriere del 26 Settembre, con l’argomento, invero debole, che sarebbe l’evoluzione naturale di norme precedenti. Invece, a ben vedere, la legge può essere depurata, senza modificarne l’impianto, almeno da questa ingombrante, inefficiente ed inutile invenzione: semplicemente eliminandola.

Per garantire il pluralismo, la legge individua un settore economico (il Sistema Integrato delle Comunicazioni, SIC) e pone limiti alle dimensioni delle imprese che vi operano, come già facevano la legge Mammì del 1990, e Maccanico del 1997. In ogni passaggio le dimensioni del settore sono andate aumentando: partite dalle TV e dalla carta stampata, ora includono praticamente tutte le spese di tutte le imprese destinate a promuovere i propri prodotti. Un coacervo incommensurabile, che non servirà al suo scopo, garantire il pluralismo. Infatti, l’Autorità delle Comunicazioni aveva già dovuto arrendersi di fronte alle difficoltà di misurare le risorse del settore ben più ridotto definito dalla Maccanico: figurarsi con il SIC della Gasparri, le cui stime svariano da 20 a 32 miliardi di euro. Per contro esso renderà più difficile individuare i mercati rilevanti per giudicare il potere di mercato delle imprese e l’eventuale posizione dominante. Così commenta l’Antitrust: “Una definizione per via legislativa di settori, più o meno ampi, di beni e di servizi appare priva di fondamento giuridico ed economico”.

Il pluralismo dell’informazione è cosa diversa e distinta dalla concorrenza. In un regime concorrenziale il potere di mercato di ciascuna impresa è controllato dall’azione disciplinatrice dei concorrenti; in un regime pluralistico conta la disponibilità effettiva per l’utente di fonti di informazione alternative e diverse. Ci può essere pluralismo anche quando alcune imprese detengono una quota di mercato elevata: è solo necessario che lo spettatore TV o l’acquirente di giornali abbia a disposizione varie e distinte alternative. Peraltro un regime concorrenziale potrebbe non essere pluralistico, quando le diverse fonti d’informazione fossero tutte ispirate da una medesima impostazione politica. Anche se la larghissima maggioranza della popolazione la pensasse allo stesso modo, potrebbe essere necessario, ai fini del pluralismo, mantenere aperta una voce per l’esigua minoranza. La legge non può andare oltre, non può imporre il raggiungimento di una certa audience, o limitare la tiratura di un giornale. Era dunque corretta l’impostazione della Mammì, stabilire vincoli senza fare riferimento alle quote di mercato degli operatori, ma in termini di numeri, per ogni soggetto non più di tre, tra canali televisivi e giornali a diffusione nazionale; limite che poi la Corte giudicò eccessivamente largo.

Il SIC serve almeno a Mediaset per evitare di mandare sul satellite una rete entro il termine – certo e non prorogabile e che comunque non oltrepassi il 31 Dicembre 2001- stabilito dalla Consulta? Neppure: la Corte parla del 20% del numero delle frequenze, la legge invece del 20% delle risorse di un settore, il SIC appunto, allargato a dismisura affinché quella quota possa contenere i ricavi, attuali e prospettici, di Mediaset e Mondadori. E non è una legge ordinaria che può valere a superare un giudizio di incostituzionalità. Un appiglio lo offre l’undicesimo “considerando” della sentenza: “è appena il caso di precisare che la presente decisione [...] non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare della tecnica di trasmissione digitale terrestre[...]“. Per questo la Gasparri impone alla RAI di garantire la copertura del 50% del territorio nazionale entro la data fissata dalla Consulta; per questo, per arrivare in tempo, il Ministro, ha già da tempo chiesto alla RAI di acquistare frequenze; per questo verranno distribuiti 300.000 decoder. I risultati di questa corsa contro il tempo, la diffusione di Sky, l’eliminazione degli steccati tra TV e carta stampata: sostenere che queste novità hanno modificato la struttura del settore, potrebbe essere per il Governo la linea difensiva su cui attestarsi.

Inadeguato a garantire il pluralismo, ingombrante per la garanzia della concorrenza, insufficiente ad assicurare Mediaset: il governo lasci cadere il SIC, e lo sostituisca con limiti quantitativi su numero di frequenze, di giornali, di periodici ecc., rafforzando semmai quanto già previsto all’art. 14. E speri che la Corte accolga la sua tesi.

E la concorrenza? Solo la RAI può essere, in tempi accettabili, un reale concorrente di Mediaset; una RAI privata, dato che una RAI pubblica si giustifica solo se è diversa da Mediaset, e non le fa concorrenza nella rincorsa all’audience. Inutile aspettarsi che il Governo metta un termine certo e prossimo alla sua totale dismissione. La concorrenza dovremo ancora attenderla.

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