Ladri

novembre 30, 1995


Pubblicato In: Varie


Dopo Tangentopoli, affittopoli, invalidopoli, e poi concorsi univer­sitari, e militari quanto basta per un paio di reggi­menti. Aumenta il numero delle persone coinvol­te, fino a com­prendere conoscenti, amici: chi, in cuor suo, può dir­si completamente innocente? Chi può pensare di processare 10 mi­la invalidi o 5 mila militari? E allora c’è sempre qualche nobile spirito che invita alla flagellazione: non c’è nulla da fare, siamo un paese di ladri e di corrotti, geneticamente diversi dagli altri popoli, usi a sotterfugi e furberie. A parte il fatto che, se così fosse dav­vero, neppure la flagellazione ci ri­scatterebbe, né qualche tonante artico­lo ci farebbe cambiare abitudini, è poi vero che siamo diversi? Non si vogliono certo né negare né assolvere certi comportamenti: ma le autocondan­ne generiche servono a poco.

Quello che sembra essere peculiare del­la situazione italiana è la diffusione a basso livello di favori, complicità, da propiziare con raccomandazioni o da acquistare con corruzione. La ‘grande’ corruzione, quella tra mondo degli af­fari e mondo della politica, non pare essere prerogativa nostra. Il segretario della Nato Claes è stato costretto alle dimissioni da accuse di bustarelle: cer­to, di provenienza dell’italiana Agusta, ma proprio in Olanda la Lockheed a­veva già procurato qualche imbarazzo. Noi abbiamo avuto lo scandalo Atlan­ta, ma un giovanotto ha fatto fallire la banca della regina d’Inghilterra. Noi abbiamo avuto il crack Ferruzzi, altri quelli Maxwell, BCCI, Metallgesell­schaft, Credit Lyonnais, Alcatel: è con riferimento a essi che il Financial Ti­mes ha ammonito: «C’è qualcosa di marcio nelle società europee».

Da noi è l’inefficiente onnipresenza dello Stato a propiziare una diffusa corruzione. Il circolo tra prelievo fiscale e servizi erogati è talmente lungo e tor­tuoso, che si perde la percezione della relazione tra i due momenti. Con il che si ritorna alla necessità di una riforma in senso federalista e decentrato del­l’amministrazione. Soluzione sulla qua­le tutti sono d’accordo, salvo poi op­porsi alla sua applicazione. Certo, a molto serviranno le privatizzazioni, che riducono l’area di attività economica di pertinenza dello Stato e dell’ammi­nistrazione.

Nel frattempo dobbiamo proprio solo accontentarci di appelli moralistici, di nobili prediche e di pubbliche autofla­gellazioni?

In attesa di riforme strutturali, molto potrebbe fare l’esempio. E l’esempio, come si dice, vien dall’alto: una clas­se dirigente che sappia cambiare i suoi comportamenti, una squadra di gover­no coesa potrebbe modificare i comportamenti collettivi senza dover cac­ciare e infierire. L’efficienza, da parte di chi ha la responsabilità ministeriale dell’amministrazione, non ha solo con­seguenze economiche sui bilanci del­lo Stato, ma anche morali sui compor­tamenti dei cittadini. William Pitt riu­scì in cinque anni, a metà del Settecento, a ridare spirito nazionale all’In­ghilterra: e tutto si basò sull’esempla­re onestà con cui amministrò, nello stu­pore generale, le magre casse dell’e­sercito affidatogli.

Senza voler con questo giustificare nes­suno, chi può sostenere che le racco­mandazioni e la ricerca di complicità non abbiano finora pagato?

Ministri che consentono una tale de­generazione della vertenza nel trasporto aereo, ministri che mostrano di aver più a cuore gli interessi del monopoli­sta telefonico anziché i vantaggi per u­tenti e imprenditori dell’apertura di nuovi mercati, costano alla collettività anche in termini di perdita di fiducia nell’amministrazione. Una squadra di governo che fosse composta tutta da persone serie e coerenti come il mini­stro Frattini, che esibisse la professio­nalità del Tesoro, e che durasse quat­tro-cinque anni, farebbe di più per la moralità pubblica che non grida, ap­pelli e inapplicabili sanzioni.

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