Il “peccato originale” dell’informazione TV

agosto 22, 1999


Pubblicato In: Giornali, La Repubblica


Il Senatore al Direttore di La Repubblica

Caro Direttore,

è stato un vero piacere leggere come Andrea Manzella ( “Spot in TV ed elezioni: il governo ha sbagliato” La Repubblica del 19 Agosto) illustra, con cultura e dottrina, le ragioni dell’opposizione al disegno di legge governativo cosiddetto della “par condicio”. Sullo specifico quindi nulla da aggiungere. Piuttosto c’è un altro tema che viene toccato, non strettamente necessario alla “dimostrazione”, ma che presenta connessioni logiche che val la pena approfondire.

Scrive Manzella:

non si tratta di vietare una forma di comunicazione politica – la pubblicità as opposed alla propaganda – ma di garantire la sostanza di un “diritto comune elettorale per l’accesso alle televisioni, senza distinzione tra proprietà pubblica e proprietà privata […]. La titolarità della rete diventa ininfluente. Tutte le televisioni devono essere considerate […] titolari di un servizio pubblico allargato.” Per tutte, garanzie e controlli devono essere affidati non a un organismo politico quale la Commissione di vigilanza, ma all’Autorità delle Comunicazioni, indipendente dal Parlamento e dal Governo.

Ma allora, dico io, se le televisioni, indipendentemente dalla natura della loro proprietà svolgono un servizio pubblico e devono essere chiamate a svolgerlo; se il controllo politico è contrario alla logica del maggioritario e deve essere sostituito da un controllo indipendente uguale per tutte le reti; se il canone diventa una forma di finanziamento pubblico della politica: allora, di grazia, quale ragione esiste ancora per mantenere la proprietà pubblica della RAI?
C’è una giustificazione nel fermarsi al bordo della questione, nel dibattito politico e nei lavori parlamentari è vantaggioso tenere separati i problemi e separatamente risolverli. Ma se la correzione degli sbagli conduce a un problema – lo status della RAI – è lì che sta la radice degli sbagli.
Bisogna dunque essere coscienti che gli sbagli si possono correggere, ma che rimane irrisolta la distorsione che li produce: quella del nostro sistema televisivo. Perché è già di per sé distorcente la presenza di un operatore pubblico, quando un bene o un servizio può essere offerto dal mercato concorrenziale; nel caso nostro poi, alla distorsione sul piano della concorrenza tra imprese si aggiunge quella sul piano politico, l’inestricabile intreccio tra pubblici poteri e televisione pubblica.

Questa è l’anomalia italiana, e non si giustifica dicendo che è speculare all’altra, quella del maggiore azionista di Mediaset che è capo dell’opposizione. Non si giustifica per motivi storici, perché in principio c’era il monopolio RAI, ed è stata l’opportunità di attaccarlo quella che Berlusconi ha saputo cogliere e che ne ha consentito l’ascesa. Ma soprattutto è ingiustificabile per motivi istituzionali: per garantire la concorrenza, per eliminare posizioni dominanti, per regolare gli intrecci tra politica e media lo Stato deve usare il potere della legge, non contrapporre la propria azienda, la propria dominanza, i propri intrecci.

La commistione politica-televisioni è un’anomalia: ma tocca per primo allo Stato eliminare quella che lo vede protagonista e di cui è responsabile. Tocca alla sinistra al Governo farlo: Berlusconi non potrà mai privatizzare la RAI, vendere il 100% delle reti commerciali del suo concorrente. Al conflitto di interessi di cui è portatore si aggiunge questo, di cui nessuno parla, la sua impossibilità a risolvere il problema televisivo che condiziona la vita politica italiana.
E invece non è ciò che la sinistra al Governo intende fare: il maxi-emendamento, praticamente un nuovo disegno di legge, che il Governo ha presentato sulla regolamentazione nel settore delle comunicazioni, prevede che la RAI sia trasformata in una fondazione, la quale venderà ai privati quote di minoranza delle reti mantenendone il controllo: la solita pubblicizzazione di risparmio privato gabellata per privatizzazione. Con il che la natura pubblica della RAI viene eternata, e un settore industriale di fondamentale importanza vedrà per sempre la pseudo-concorrenza tra un privato che prospera all’ombra di un pubblico inefficiente.
I “quattro punti” indicati da Manzella dànno la traccia del percorso emendativo sulla par condicio . Ma alla ripresa dei lavori si affronterà anche il tema del “peccato originale”, come cioè si è strutturato il nostro sistema televisivo. Sarà allora necessario ricordarsi che lì stanno le contraddizioni logiche e le difficoltà normative che il tema della pubblicità elettorale ha fatto emergere.

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