I primi 100 giorni

luglio 30, 1994


Pubblicato In: Varie

Intervista di Mario Rodriguez
Allora, senatore debenedetti, come sono stati questi primi 100 giorni da parlamentare all’opposizione?

Nonostante il clima di forte scontro politico che c’è stato e tutt’ora c’è nel Paese, prima ancora che nel Parlamento, vorrei partire da una considerazione un po’ sfumata. Guardi, anche se il voto ha diviso gli italiani ritengo che ci sia qualcosa che li unisce indi­pendentemente dal voto. Ritengo che la maggioran­za dell’elettorato italiano condivida un progetto di risanamento del Paese.

Questo progetto si basa principalmente sull’introduzione nella nostra società di una reale mentalità di mercato che sappia supe­rare le mediazioni politiche che spesso si sono tra­sformate in mediazioni clientelari facendo da antica­mera all’affarismo e alla corruzione. Più mentalità di mercato significa liberare forze produttive da vin­coli, stimolare la crescita attraverso la concorrenza, liberare anche gli industriali dalla tentazione di cer­care la protezione dei politici piuttosto che il succes­so competitivo, introdurre nella pubblica ammini­strazione e nella gestione dei servizi pubblici effi­cienza mettendo al centro la soddisfazione dei biso­gni del cittadino. Questo progetto rappresenta lo spazio di lavoro sia per il Governo che per l’opposi: zione, rappresenta il terreno di confronto.

Non la vedo troppo preoccupata per quello citi; succede, anzi la vedo quasi pronto alla collaborazione!

Con calma. Distinguiamo tra lo scontro politico molto duro di queste settimane e i profondi cambiamenti che si stanno realizzando in Italia come nel resto dei Paesi industrializzati. Anzi, solo se inqua­driamo le vicende italiane nel più profondo rivolgi­mento in atto in occidente comprendiamo l’inade­guatezza del governo Berlusconi. Anche l’Italia deve passare dalla fase in cui si sono assicurati a tutti i diritti fondamentali di cittadinanza ad una nella quale si devono ampliare le possibilità di scelta in modo economicamente più efficiente: più qualità a minor costo. E nella qualità c’è anche la giustizia! Questi non sono temi di destra o di sinistra. Questa è la sfida. La mia preoccupazione quindi è che que­sto Governo non sia adeguato a rispondere a questa sfida. Che non riesca a rappresentare quella svolta liberista di cui ha parlato! Magari avessimo un effi­cace governo liberista che scende in campo a viso aperto per risolvere (a suo modo!) i problemi del Paese! L’opposizione dovrebbe far valere le sue ragioni e vincere il consenso dell’opinione pubblica con le proprie proposte alternative.

E invece?

Invece, questo Governo improvvisa e vive alla gior­nata dilaniato dal protagonismo dei suoi ministri tutti concentrati a far parlare di sé dai media! Guardi, le faccio un paio di esempi: è toccato a me, parlamentare dell’opposizione, far ritirare un emen­damento della maggioranza (della maggioranza!) che avrebbe fatto ritardare la quotazione in borsa dell’INA, causando una grave perdita per le finanze pubbliche. E di nuovo, nella legge a favore della siderurgia privata (si tratta di impianti e di capitali ma anche migliaia di occupati!) ho fatto togliere con­traddizioni che rischiavano di vanificare i benefici voluti. Sono stati il senatore PDS Cavazzutti ed il sot­toscritto a presentare un disegno di legge per l’isti­tuzione di “regolatori” nei servizi di pubblica utilità.

Ma non dovrebbero essere questi gli argomenti di un governo liberista?

Appunto, non c’è coerenza. Mi creda, nel dibattito sulla legge sulle privatizzazioni gli emendamenti da me proposti cercavano di limitare i vistosi aspetti statalistici e centralistici della legge. Li hanno respinti e adesso più che privatizzazioni il governo Berlusconi porta avanti pubblicizzazioni. Potrà sem­brare una stranezza ma oggi in Italia è la sinistra, siamo noi Parlamentari dell’opposizione a portare avanti il tema centrale della crisi italiana: la lotta alle posizioni dominanti, l’introduzione di una mentalià di mercato. Lotta alle posizioni dominanti significa stimolo della concorrenza per far ripartire la crescita e migliorare l’efficienza anche nei servizi pubblici (più qualità a minor costo).

E l’antitrust, senatore?

Si, ormai si usa questa definizione imprecisa. Il rilancio dello sviluppo italiano passa dal supera­mento di tutte le posizioni dominanti, siano esse nel­l’editoria, nell’industria, ma anche nei servizi di pub­blica utilità. E’ in questa luce che va affrontato anche il problema scuola. Ben vengano i privati che vogliono innovare e investire in formazione e che possono rappresentare con il loro impegno uno sti­molo per le istituzioni scolastiche pubbliche. Ma non smerciamo queste posizioni con cedimenti a posizio­ni confessionali o ad accordi di bassa cucina per dare più denaro pubblico a chi gestisce Istituti priva­ti. L’unica soluzione a lungo termine del problema della disoccupazione sta in un gigantesco investi­mento in formazione, che consenta di attingere e di valorizzare il patrimonio di intelligenza e di capacità potenziali della popolazione, indipendentemente dalle posizioni di partenza. Non per magnanimità o bontà d’animo, ma perché è un patrimonio comune.

Dalle sue considerazioni emerge un governo Berlusconi liberista solo a parole ma molto accentratore e statalista nei fatti, una sorta di riedizione dei governi dc?

DC e PSI. Scusi, da dove vengono i voti di Forza Italia? C’è una differenza, anche grossa: al posto dei partiti laici è stato rimesso in pista l’elettorato fascista. Non sorprende quindi che le aspirazioni dei seguaci di Bossi, decentramento amministrativo, federalismo e anche un certo liberismo, vadano deluse. Bossi lo sa. Sa che il suo elettorato è scon­tento e per questo le cerca tutte per tener alta la polemica con Berlusconi anche se non mette mai in discussione il Governo: uniti ma distinti soprattutto nella percezione dell’elettorato. La ragione di fondo che rende affini Forza Italia e AN è la ricerca ed il consolidamento di un potere che, evidentemente, sentono precario. Intercettano una reale volontà di cambiamento, la deviano resuscitando il fantasma del comunismo, cercano continuamente legittimazio­ne dai sondaggi, elevando la vox populi a vox dei: occupano posizioni di potere per indebolire quelli autonomi e potenzialmente non allineati. In mezzo a tante “parole in libertà” questa è l’unica costante. Il consiglio di amministrazione della RAI, vertici dei servizi di sicurezza (mettendo a capo di quello che risponde al ministro Maroni un Carabiniere che dipende gerarchicamente dal Ministro Previti, l’av­vocato personale di casa Berlusconi), i vertici IRI, Bankitalia, il decreto sulla carcerazione preventiva che non era solo salva amici, ma soprattutto un segnale preciso contro la Magistratura. Si va dun­que verso un regime? Credevamo di esserne appena usciti: contano sul fatto che una certa abitudine dovremmo averla già fatta. E poi oggi il regime potrebbe anche prendere una forma virtuale, la con­sapevolezza che il regime potrebbe esserci. D’altron­de, ricordiamo quando Berlusconi si vantava di la­sciare libertà ai suoi giornalisti? La libertà come gra­zioso dono del principe e non come diritto dei cittadini.

Adesso mi pare eccessivamente pessimista. davvero lei pensa che il governo Berlusconi possa rappresentare l’amo di un regime?

Credo di si. Ma non per malvagità del soggetto. Per spinta oggettiva dei suoi comportamenti. Un indicatore assai importante è la pretesa di Berlusconi di saper interpretare il desiderio di cambiamento della gente (categoria tutta berlusconiana!) di saper con­segnare loro quello di cui hanno bisogno basandosi sulle indagini di opinione. In una tale concezione della democrazia, la mediazione politica, il confronto tra partiti politici che organizzano interessi e li rap­presentano (badi, è il cuore dei regimi democratici!) non sono più necessari. Da qui una spinta oggettiva al plebiscitarismo, l’ossessivo ripetere “non mi lasciate governare (cioè vi opponete) allora si ritorna al voto!” Mi viene in mente una citazione di Buchanan, il premio Nobel per l’economia, uno dei padri della scuola di Chicago, che difficilmente può essere considerato la bibbia dei progressisti: “coloro che cercano di imporre soluzioni preferite lo fanno senza la pretesa di superiorità morale: un continuo disaccordo con l’opinione della maggioran­za non può essere ritenuto in alcun modo indice di ragionevolezza”.

Non c’è nulla da fare, allora? dopo quarant’anni di dc avremo quarant’anni di Berlusconi?

Vede, facciamo lo sforzo di dimenticare il basso livel­lo di questa compagine ministeriale, con pochissime eccezioni. In fondo nemmeno Rumor era la Tacher o Kennedy. Qualcosa faranno: un pò di flessibilità del mercato del lavoro, qualche riforma delle pensioni, qualcosa nella pubblica amministrazione, un pò di privatizzazioni mal fatte, forse qualcosa sul fisco. Meglio che niente. E’ facile, il mondo va in quella direzione. E il ciclo economico positivo dei prossimi 3-4 anni li aiuterà a stare a galla, nonostante le con­traddizioni: si voleva la fine dell’assistenzialismo e si assiste alle contorsioni sulle pensioni, si volevano le privatizzazioni e sono stati dati pieni poteri al Ministro del Tesoro che non ha ancora fatto alcun­ché, si voleva un Governo autonomo dai partiti e andiamo avanti a colpi di vertice, si voleva delimita­re l’influenza dei partiti e Bossi, segretario di un par­tito con l’8% dei consensi!, accompagna i ministri ai vertici politici, si voleva equità fiscale e si fa un ennesimo condono, si voleva un primo ministro forte e assistiamo a continue gaffe e conseguenti richieste di scuse per la propria inesperienza politica. Queste contraddizioni, e me lo lasci dire, l’iniziativa dell’op­posizione, che su questi punti è assai meno morbida di quanto si voglia far credere, impediranno forse a Berlusconi di trasformare il suo Governo in regime. Ma eluderemo ancora una volta i veri problemi nostri, ed alla prossima crisi ci troveremo più distanti dall’Europa e più vicini al Nord Africa. Perché i nostri problemi, a differenza di quando governavano Rumor e compagni, sono un debito pubblico del 125% ed una disoccupazione strut­turale. E ciò proprio mentre la transizione dell’e­conomia manifatturiera ad una economia di ser­vizi richiede colossali investimenti in capitale. E per questo obiettivo le regole non sono un optional, l’illusione di qualche vecchio democra­tico. Alla fine, sono certo, Berlusconi deluderà i propri elettori: non terrà fede alle aspettative … richiede troppo tempo.

La risposta a quando?

A quando avremo convinto anche la borghesia italiana che solo affrontando e risolvendo questi problemi potrà non essere marginalizzata e in fondo usata. E che questa battaglia si vince solo con le forze di sinistra. Intanto ci sono molti pro­blemi da risolvere: la regolamentazione del siste­ma televisivo, le privatizzazioni, la riforma delle pensioni e il risanamento del debito pubblico. E qui prima di poter dire Fatto ce ne vuole!

 

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