Flessibilità nel lavoro e minore pressione fiscale le due terapie più urgenti per il Sud

luglio 28, 1998


Pubblicato In: Varie


Qualcuno prima di me ha menzionato la verifica di maggioranza: non è la sola verifica, dato che nello stesso periodo di tempo dovrà partire la verifica degli accordi del 1993, conclusi da Ciampi a seguito dell’accordo del 1992 di Amato, cui sostanzialmente siamo debitori del successo dell’entrata in Europa. I temi delle due verifiche sono connessi per più ragioni: in primo luogo perché — come è stato più volte ricordato — il problema del Mezzogiorno riguarda tutto il Paese e gli strumenti di intervento mirati diventano sempre meno praticabili. In secondo luogo perché l’emergenza occupazione, che è la parte più visibile dei problemi del Mezzogiorno, è legata secondo i più al reperimento delle risorse, e questo problema è necessariamente connesso ad uno dei temi centrali della verifica dell’accordo del ’93, ovverosia la riforma della previdenza.

Si tratta di problemi su cui in realtà, non si dovrebbe più discutere di che cosa fare, ma del perché si sceglie di non fare le cose che si sanno necessarie. Su queste vorrei concentrarmi, riassumendo gli interventi che si devono fare, su cui esiste d’altra parte largo consenso.
Ma non senza una premessa che riguarda ciò che sappiamo che non si deve fare: sappiamo che la politica di “buttare soldi ai problemi”, la politica che si suole identificare con quella della Cassa del Mezzogiorno è stata una delle cause del problema. Ci vorranno probabilmente un paio di generazioni per riparare i danni provocati da quelle politiche, per sradicare le aspettative che hanno indotto, i comportamenti che ne discendono.
Lo strumento a cui ci affidiamo è il nuovo Dipartimento per la Coesione e lo Sviluppo. Esso dovrà promuovere la conoscenza delle condizioni per gli investimenti al Sud, e dovrà aiutare le amministrazioni locali a progettare. Ma ci sono dati, che provengono dal Dipartimento stesso, che inducono più che perplessità sconforto. Si viene a sapere, ad esempio che relativamente ai cantieri la cui apertura è prescritta dal programma pluriennale sanitario al 31/12/97, risultano effettivamente aperti a fine maggio, al Nord 1’83,3%, al Centro il 53,5%, al Sud il 32,8%, di cui in Campania zero. E si trattava, sempre per la Campania, di mutui per 1054 miliardi! Di fronte a questi fatti viene da chiedersi: ma a che cosa serve promuovere? E’ utile insegnare? E’ possibile un’azione che parta dal centro?
Perché non solo non ci sono più soldi, ma non c’è più il rapporto centro-periferia a giustificare e legittimare gli interventi. “Non ci sono più i piemontesi” si potrebbe dire, alludendo a cento o duecento ingegneri laureati al Politecnico di Torino che Quintino Sella mandava a mettere i contatori sulle macine per la tassa sul macinato. Quei pochi che restano li
mandiamo — scusate se lo ricordo proprio qui a Napoli, nella città che ha visto un dei più gravi fenomeni di mala gestio bancaria degli ultimi anni- li mandiamo all’Associazione delle banche, all’ABI. Analogamente, a chi, all’interno della maggioranza, lamenta che Ferrovie ed Enel — e per abitudine includono anche Telecom — non investano abbastanza al Sud, bisogna ricordare che Demattè, e Cimoli hanno già sufficienti problemi a far arrivare a destinazione i treni in tempo e possibilmente interi.
Ma ritorniamo alle cose da fare. La prima si chiama flessibilità, cioè, per parlare chiaramente, stabilire regole e costi certi per licenziare. Il divieto ai licenziamenti è ormai un reliquato ideologico, che non é più utile a nessuno: non al Nord, dove c’è piena occupazione, non al Sud, dove incrementa il lavoro nero.
La seconda cosa è la riduzione della pressione fiscale, che è la più alta d’Europa: lo dice l’Ufficio Studi della Banca d’Italia. Perché le imprese investano al Sud, occorre diminuire la pressione fiscale e attirarle con la prospettiva di maggiori profitti. Ma per ridurre le imposte bisogna ridurre la spesa corrente, e per farlo bisogna rivedere l’intero sistema delle assicurazioni, di cui la previdenza è una parte: occorre valutare se i rischi che era giusto assicurare cinquanta anni fa convenga assicurarli oggi e a che prezzo. Questo, lo ripeto, lo dice Fazio, lo sostiene la Confindustria. E questa, ricordiamocelo anche a proposito di recenti polemiche, non è un’associazione eversiva o anti-governativa, ma ha per sua natura una naturale, logica, vocazione governativa. Romiti, Fossa, la Confindustria a chi guardano? Solo a La Malfa e Cossiga?
Proprio ieri in Confindustria è stato presentato il Seminario di previsione sull’economia italiana. Al tavolo tra i discussant non c’erano Tremonti o Martino, ma personaggi come Morcaldo, Masera, Pedone: critici ma non certo oppositori!
E qui veniamo alle considerazioni politiche: la maggioranza si sta sfilacciando, da un lato nei confronti delle pretese ricattatorie di Rifondazione, dall’altro verso formazioni esterne alla maggioranza. Chi sostiene, all’interno della maggioranza, i temi che ho prima ricordato, sulle spese e sulle pressioni fiscali, in generale sugli strumenti a cui oggi guardare per una politica del Mezzogiorno? Io credo che questa domanda si imponga in modo particolare a chi ha promosso questo convegno. Perché penso, e lo dico con grandissimo rispetto ma con chiarezza, che la cultura politica a cui si richiama chi ha organizzato questo convegno abbia verso il Mezzogiorno una responsabilità particolare. Bisogna oggi riconoscere che le politiche di intervento diretto — Cassa del Mezzogiorno o Partecipazioni Statali —erano sbagliate in sé, nella loro fase buona e non solo nelle manifestazioni della loro degenerazione. Voi siete storicamente legati a questa fase buona, che ha creduto nella pianificazione, nella valutazione critica, nel rigore tecnico. Ma a quel tempo esisteva quantomeno un
impianto teorico che godeva di largo credito, su cui quasi tutti giuravano, esisteva un clima politico che se ne avvaleva. Oggi tutto questo non esiste più: le basi teoriche allora considerate certe si sono rivelate fragili se non errate, e la politica virtuosa si è presto persa per strada.
Le certezze da riconsiderare, il patrimonio culturale da ridiscutere non riguardano solo l’economia e il Mezzogiorno. Un discorso analogo potrebbe farsi per altri temi: la scuola, la pubblica amministrazione, le riforme costituzionali, la giustizia, la legge elettorale. Il vostro contributo all’Ulivo o alla Cosa2 non può essere solo quello di traslocare i Lari e i Penati. Il rigore logico, la buona amministrazione, il senso dello stato, i valori che sono il vostro patrimonio più autentico non significano il mantenimento di posizioni ideologiche o più semplicemente programmatiche adottate in un recente passato. Proprio i problemi del Mezzogiorno ce lo ricordano. Il programma politico che Ciampi è riuscito parzialmente ad imporre con il vincolo esterno, che Fazio ripete ogni volta che parla, è anche il programma che reclama quella parte di elettorato che dobbiamo conquistare. Mi auguro che Bogi, al tavolo della verifica, fra pochi giorni, ricordi che il suo compito non sono solo i Rapporti con il Parlamento, ma anche i rapporti con quella parte di elettorato che ha visto, e vede tutt’ora, in voi il proprio interlocutore all’interno di questa maggioranza.

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