Euro, che giro fanno i debiti

gennaio 30, 2014


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Nell’Unione monetaria i poveri finiscono per salvare i ricchi? O sono i ricchi a cadere in una trappola? Analisi di un meccanismo che fa litigare stati e banchieri.

Le tensioni del 2012, apice della crisi finanziaria, sono diminuite: per il debito sovrano si sono ridotti gli spread, per le banche può partire la verifica della loro solidità. Si sono abbassati i toni della contrapposizione politica tra chi ha visto nella crisi la dimostrazione dell’urgenza di andare subito verso l’unione fiscale e chi invece è fermo nel considerare il rispetto dei trattati esistenti come la base di legittimità dell’Unione europea. Vivace continua invece la polemica tra economisti sulla politica monetaria: non solo sugli interventi della Bce, ma addirittura sul sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione europea, che pure le Banche centrali hanno il compito primo di assicurare. Succede che venga messo in discussione perfino Target2, lo strumento del Sistema delle Banche centrali con cui funziona il sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione monetaria: per alcuni sarebbe il mezzo con cui i poveri finiscono per salvare i ricchi, per altri la trappola in cui sprofonda la ricchezza dei cittadini. Bloccata la strada della mutualizzazione dei debiti, impraticabile quella dell’uscita dall’euro, gli exit sono preclusi.

La crisi ha rivelato le divergenze delle economie, ma anche la resistenza dell’euro: i rischi o le impreviste conseguenze di Target2 dimostrano, per absurdum, che la sola via d’uscita sono le riforme che ogni stato deve attuare. La strada è già imperimpervia, ma gli argomenti “morali” si elidono a vicenda, addurli rischia di renderla anche sconnessa.
Immanente alla costruzione europea è da sempre il dibattito sul proprio futuro. Con la doppia crisi dei debiti, sovrano e bancario, l’orizzonte si è venuto ravvicinando, il futuro è diventato più prossimo fino a confondersi con il presente. Se i problemi politici sembrano avere l’oggettività dei problemi economici, i politici chiedono agli economisti, che rispondono offrendo appassionata disponibilità, il supporto della loro razionalità: finisce che si dividono e si contrappongono perfino più dei politici. A un appello del luglio dello scorso di economisti in sostegno dell’Omt di Mario Draghi (acquisto straordinario di titoli di debito sovrano da parte della Bce), è seguito a settembre un incontro a Berlino, in cui si sono confrontati i due campi, di chi difende l’Europa dei trattati esistenti e sospetta che si vogliano mutualizzare i debiti, e di chi ne richiede l’evoluzione e sogna gli Eurobond. La scorsa settimana venti economisti si sono incontrati a Ginevra per approfondire le ragioni di queste divisioni ed eventualmente avvicinare le posizioni. Ieri a Milano è stata presentata una proposta di modifica del sistema dei pagamenti (nel circuito dell’euro).
Se il dibattito economico si infiamma di passione politica, al dibattito politico tocca acquisire familiarità con costrutti di tipo economico. Uno di questi è Target2, un innocuo strumento contabile, finito invece al centro di una polemica degna del suo bellicoso nome. Per Hans-Werner Sinn, presidente di Ifo, uno dei più importanti think tank tedeschi, Target2 è “una trappola, un pericolo per il nostro danaro e per i nostri figli” (come nel titolo di un suo libro recente). Per Antonio Foglia, un banchiere con il gusto e la competenza per l’analisi economica, è lo strumento con cui “i paesi deboli hanno salvato le banche tedesche” (come nel titolo di un suo recente articolo sul Corriere della Sera). Chi, come il sottoscritto, economista non è, prova a spiegare i termini del dibattito.
Nell’Unione europea gli stati conservano la loro identità, sono responsabili della propria politica economica, mantengono le loro banche centrali. Queste, tra le altre attività, contribuiscono al corretto funzionamento del sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione monetaria. Il pagamento che un cittadino ordina alla sua banca su quella di un altro paese dell’Unione, avviene in realtà per il tramite delle rispettive Banche centrali avendo come controparte la Bce: Target2 ogni sera provvede a fare il saldo addebitando o accreditando le posizioni delle singole banche centrali verso la Bce.

Fino al 2007 i saldi di Target2 avevano modeste oscillazioni intorno allo zero; con la crisi dell’euro, si sono gonfiati a dismisura. Nell’estate 2012 i debiti delle banche dei paesi della periferia e i corrispondenti crediti dei paesi del centro, in particolare Germania e Olanda, hanno raggiunto la impressionante cifra di quasi 1 trilione di euro.

Target2 registra saldi tra entrate e uscite. Invece la bilancia dei pagamenti registra i movimenti in entrata e in uscita con la loro causale: forniture di beni e servizi, investimenti di portafoglio, transazioni tra intermediari finanziari, tipicamente sul mercato interbancario. L’art. 3 del trattato di Maastricht mette in capo agli stati membri l’obbligo di mantenere oltre a prezzi stabili e finanze pubbliche sane, anche una bilancia dei pagamenti “sostenibile”. Ma mentre sui famosi parametri “stupidi” di debito e deficit ci si accanisce fin dal primo giorno (il “Drei Komma Null” di Theo Waigel, ovvero il 3 per cento virgola zero), di bilancia dei pagamenti non si parla più fino al 2011. Solo a buoi abbondantemente scappati viene emanata la Macroeconomic Imbalance Procedure, che indica livelli di guardia, pone limiti, prevede sanzioni per eccessivi squilibri della bilancia dei pagamenti. Fino al 2007, il mercato aveva creduto nella convergenza delle economie dell’Eurozona, e chiesto spread sul debito pubblico minimi, in funzione solo della diversa liquidità dei rispettivi mercati. Come sempre, con tassi bassi si finanzia di tutto, investimenti buoni e meno buoni; con l’eccessivo ottimismo sulla crescita di reddito e profitti si fa in fretta a formare debiti sia interni sia verso l’estero. In un sistema di cambi fissi, se il cambio reale è sopravvalutato, i deficit delle partite correnti e dei capitali producono il deficit della bilancia dei pagamenti, che viene finanziato da acquisti esteri del debito sovrano e da prestiti sul mercato interbancario. Ma mentre uno stato che ha la sua moneta può sempre garantire che la sua banca ne stamperà in quantità sufficiente da pagare i suoi creditori, per un paese dell’Eurozona emettere debito denominato in euro è come indebitarsi in una valuta straniera. E’ andato avanti per un decennio: finché, a fine 2011, la Spagna si accorge di essere come la Thailandia del 1997, senza però poter svalutare.
La crisi dell’euro inizia nel 2010, innescata dalla crisi Usa del 2007-2008, e alimentata dalla generale fuga dal rischio. Quando nell’ottobre 2009 la Grecia dichiara che i suoi bilanci sono falsi e il debito molto più alto di quanto si credeva, ci si rende conto che il rischio del debito sovrano dei paesi periferici è stato sottostimato. Le politiche anticicliche e i salvataggi peggiorano i bilanci pubblici, il debito sovrano del paese di residenza è sempre sovrarappresentato nell’attivo delle banche: la crisi del debito sovrano diventa crisi bancaria. L’uscita di qualche paese dall’euro, e perfino il break-up dell’euro appaiono eventi possibili, addirittura inevitabili per qualche commentatore pessimista. Nell’arco di un anno, tra l’estate del 2011 e quella del 2012 gli intermediari esteri disinvestono per oltre 100 miliardi dall’Italia, sia vendendo titoli del debito pubblico sul secondario, sia non rifinanziando i titoli in scadenza; il finanziamento sull’interbancario si riduce di 130 miliardi di euro.
Per effettuare questi pagamenti le banche dovrebbero aumentare le proprie riserve, ma i canali per farlo sono diventati impraticabili: è a rischio la possibilità di effettuare pagamenti all’interno dell’area, cioè la ragione d’essere dell’euro. L’art. 105 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e l’art. 3 dello Statuto dell’eurosistema impegnano la Bce a “promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento”. La Bce fornisce la liquidità necessaria: tra fine 2011 e inizio 2012 mette a disposizione delle banche in due tranche da 500 miliardi di euro l’una (Ltro) danaro a tasso fisso scadenza 3 anni, contro collateral accettati con criteri molto ampi. Dal punto di vista contabile, sul conto Target2 i paesi che dovevano pagare vedono formarsi saldi negativi, quelli che dovevano ricevere pagamenti saldi positivi. Dal punto di vista economico c’è stato un passaggio del rischio dal settore privato dei paesi meno colpiti dalla crisi alle banche centrali nazionali secondo la capital key.

Si vede chiaramente che, nel periodo in cui il saldo Target peggiora sensibilmente, lo squilibrio della bilancia dei pagamenti è dovuto principalmente ai movimenti finanziari: il saldo delle partite correnti, cioè quello che registra sia i pagamenti di beni e servizi, sia i redditi e trasferimenti unilaterali, registra variazioni contenute.

Il nostro saldo delle partite correnti, pagati interessi e trasferimenti, da moderatamente negativo durante la crisi, torna positivo: l’Italia in genere è esportatore netto di beni e servizi. E non credo grazie a un aggressivo vendor financing, per Antonio Foglia all’origine degli avanzi delle partite correnti dei grandi esportatori. Visto dalla parte della Germania, tra il 2008 e il 2013 il saldo Target positivo della Bundesbank è aumentato nel complesso di 476 miliardi, ma allo stesso tempo gli investimenti nel mercato interbancario hanno registrato una riduzione complessiva per 400 miliardi verosimilmente da parte di banche tedesche verso i paesi periferici dell’Eurozona.
Al culmine della crisi, quasi un trilione di euro è stato il debito dei paesi perifeperiferici dell’eurozona registrato da Target2, e lo stesso valore ha registrato il credito dei paesi del centro. Da cui due domande. La prima: il formarsi di questo squilibrio è la conseguenza di un cambiamento della politica monetaria, magari contrario ai trattati? La seconda: l’esistenza di questo squilibrio costituisce un rischio per il creditore, e in tal caso chi lo garantisce?
Quanto alla prima: il debito della periferia non è cambiato, è cambiato il creditore, quindi nessun bailout. E nessun azzardo morale: Ltro non allenta la pressione sui paesi della periferia, che rimangono debitori come prima. La Bce fornendo riserve al sistema bancario ha evitato che un problema di liquidità si trasformasse in un problema di solvibilità dell’intero sistema finanziario: ma i paesi in disavanzo continuano ad avere il problema di come ripagare il debito, quelli in avanzo di come impiegarlo.
Quanto alla seconda domanda, perché il rischio della Bundesbank di non essere ripagata si materializzi bisogna che uno o più paesi periferici escano dall’euro e inoltre che la loro Banca centrale faccia default sul debito. Se un paese esce dall’euro, aumenta la quota di partecipazione dei restanti nella Bce. Per il probabile effetto domino, la capital key della BuBa, oggi del 25 per cento, aumenterebbe a tal punto che garantirebbe se stessa. Ma anche l’euro a quel momento non ci sarebbe più.
I paradossi e i sospetti sui salvataggi che la bolla su Target2 rivelerebbe, e su chi finirebbe per pagare se la bolla scoppiasse, svaniscono di fronte a fatti che tutti dovrebbero poter condividere: l’euro esiste, e può funzionare senza stravolgere i trattati, provvedere liquidità non equivale a finanziare il debito pubblico, il collasso del sistema provocherebbe danni poco calcolabili, ma verosimilmente disastrosi per tutti. Quanto agli economisti, chi economista non è si augura che continuino a discutere, e a dividersi, sul modo di ripagare i debiti facendo crescere le economie, quali con i tagli e quali con le spese, ma tutte, in modi diversi, riformando.

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