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Archivio per il Tag »Eurozona«

→  aprile 16, 2019


Tutte le formazioni politiche che si presenteranno alle elezioni di maggio hanno «Europa» nel loro programma. I seguaci di Emma Bonino l’hanno perfino nel nome, “Più Europa”, secco, senza condizionali. Gli altri invece vogliono l’Europa sì, «ma un’Europa diversa», differenziando, secondo la propria natura, le auspicate “diversità”.

I gialloverdi al governo, in tema di Europa, hanno molto da far dimenticare. Per cui i “piani B” sono stati riposti nei cassetti e le simulazioni che vorrebbero dimostrare il vantaggio di un’uscita dall’euro sono stati declassati a studi accademici, anche se personaggi con ruoli istituzionali continuano imperterriti a sostenerlo. E poi, replicano, si sa che questa eventualità non è nel programma: che volete di più? C’è un’ulteriore ragione per i gialloverdi di calcare la mano sulla «Europa diversa»: perché quanto più diverso è ciò che vogliono, tanto più giustificate sono le critiche che hanno mosse e muovono all’Europa che c’è. E al contrario, tanto più diverso è quel che vogliono e tanto più possono indicare ai loro elettori la causa delle critiche in arrivo da Bruxelles: ci attaccano solo perché noi vogliamo cambiare!

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→  novembre 19, 2018

Italy is, according to David Folkerts-Laundau (“Europe must cut a grand bargain with Italy”, FT November 13, 2018), a “frugal country”: and not because of its private savings, but because of its legacy debt predating the euro, and of its long history of primary budget surplus. Is it really?

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→  maggio 16, 2017


Porta il momento di ottimismo che tutti attendevano: questa, ancor più che l’aver scampato il pericolo che per due volte ci aveva tenuti col fiato sospeso, è la posizione di forza con cui Emmanuel Macron arriva al tavolo europeo. Adesso tutti attendono che si riequilibri il rapporto tra Francia e Germania, che in passato aveva garantito il buon funzionamento dei meccanismi europei, comunitari prima e intergovernativi poi: questa è la priorità.

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→  dicembre 17, 2016


Al direttore.

Succede un fatto che suscita emozioni e preoccupazioni; si chiede al potere pubblico di porvi rimedio; e i mezzi con cui si chiede di farlo sono quelli che, usati in passato, ne sono stati la causa. Succede anche nella vicenda Mediaset-Vivendi: anch’essa riguarda il presente ma non può dimenticare il passato, e per questo “non è legata semplicemente alla conquista di una delle più grandi aziende italiane”, come scriveva giovedì il direttore. Si determinano quindi due ambiti di discorso, che conviene tenere separati: uno dei fatti che “semplicemente” sono, e uno di quelli che “non semplicemente” potrebbero essere e forse saranno: e del perché lo sono. Il discorso del “semplicemente” è quello che sta facendo il presidente Gentiloni, e di cui è doveroso dargli atto: questa operazione, ha detto a Class Cnbc, non coinvolge lo Stato.

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→  giugno 26, 2015


Troppo impegnati a inseguire Tsipras, i leader europei non si lascino sfuggire Londra mercatista, liberale e filoamericana

Non è ancora successo, ma so come andrà a finire: il solito papocchio, la Grecia resta nell’euro. Non è ancora successo, ma temo come andrà a finire: nessun compromesso, l’Inghilterra uscirà dell’Unione europea. I due fatti non sono uno conseguenza dell’altro, ma sono conseguenza di un terzo a monte di entrambi: una gestione politica dell’Europa che non esita a perdere la faccia per far restare la Grecia, e che non esita a perdere l’anima anche a rischio che ci lasci l’Inghilterra. Lloyd Blankfein ha detto che l’errore era stato accettare l’entrata della Grecia: impedendone l’uscita, si raddoppia. Allora Atene aveva falsificato i conti consuntivi, adesso falsifica quelli preventivi. Impressiona la manifestazione di debolezza: che cosa si teme? Se è per le drammatiche conseguenze per la Grecia, l’Europa – rectius la Banca centrale europea – ha risorse sufficienti per tenere a galla un paese che ne è qualche punto percentuale. Se è per le conseguenze geopolitiche per l’Europa, già ci è già stato preannunciato il ricatto a cui oggi, cedendo, ci consegniamo. Se le conseguenze temute sono poi quelle per il resto dei paesi dell’euro, è impressionante la manifestazione di debolezza che implica: i conti pubblici italiani, spagnoli, eccetera, hanno dunque la solidità delle promesse greche? Non volendo riconoscere che la rigidità rende i sistemi fragili, si pensa di rimediare alla fragilità del sistema irrigidendolo: guai se uno esce dell’euro, avanti a testa bassa, fiscal union, political union. Una situazione di insolvenza è stata trattata come crisi di liquidità, i finanziamenti sono stati spostati dalle banche agli organismi istituzionali, cioè dal privato al pubblico, eliminando la possibilità che l’aumento dei tassi segnali il rischio. Un problema economico è stato reso politico.

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→  giugno 25, 2015


articolo collegato di Pietro Reichlin

Lo spettro della Grexit ha il merito di avere acceso un dibattito ampio sul destino politico ed economico dell’Europa. Siamo usciti a fatica dalle secche di una controversia tra specialisti sui pro e i contro delle politiche di austerità fiscale e sulla misura dei moltiplicatori della spesa pubblica. Il dibattito è sterile perché non tiene conto della situazione concreta in cui si trova la Grecia e l’Europa. Non si può ragionevolmente pensare che le politiche di rientro da un disavanzo (fiscale e commerciale) eccessivo possano avere effetti positivi sul Pil del paese, ma è altrettanto vero che una politica espansiva avrebbe l’effetto di riportare a livelli insostenibili il disavanzo commerciale e il debito pubblico greco, riaccendendo la speculazione contro i debiti sovrani. Secondo il gergo corrente, la Grecia non ha «spazio fiscale»: ogni euro di spesa pubblica in più va cercato fuori dal mercato, cioè presso i contribuenti europei ed è, di fatto, un finanziamento a fondo perduto. La crisi economica della Grecia non si risolverà in tempi brevi e qualunque accordo con l’Europa sarà solo un progresso temporaneo.
Data questa necessaria premessa, quali insegnamenti possiamo trarre dal dramma greco? Secondo un’opinione comune, la vicenda dimostra che l’Europa ha bisogno di istituire meccanismi più robusti di solidarietà e aumentare il bilancio federale per consentire maggiori aiuti ai paesi in difficoltà. Secondo altri, la vicenda dimostra che l’Europa ha finora scelto di difendere i creditori e le banche a discapito dei popoli e della democrazia. A me sembra che queste tesi siano, in buona parte, infondate. In primo luogo, vale ricordare che, dal 2010, la Grecia ha ricevuto dalle istituzioni internazionali risorse ingenti (in rapporto a qualunque esperienza passata di crisi dei debiti sovrani), e che essa è tuttora ampiamente sussidiata tramite tassi d’interesse artificiosamente bassi, liquidità emergenziale della Bce, fondi strutturali e ulteriori promesse di allungamento delle scadenze. Il fatto che tutto ciò non sia bastato ha molto a che fare con i problemi strutturali dell’economia greca, la cui soluzione richiede tempi lunghi e sacrifici. Non si capisce, inoltre, perché, come spesso si dice, la vicenda sia il sintomo di un “deficit democratico”. Se le politiche proposte dal governo greco si basano sul denaro dei contribuenti degli altri paesi europei, è logico che questi ultimi abbiano voce in capitolo. A scanso di equivoci, non intendo negare che l’Europa abbia bisogno di meccanismi di assicurazione più estesi per risolvere crisi nazionali. Questi ultimi sono necessari per fronteggiare problemi di natura temporanea e crisi di liquidità, ma non sono risolutivi di fronte a problemi fiscali di carattere strutturale, cioè legati a difetti istituzionali e di lunga durata (evasione fiscale, squilibri nel sistema previdenziale, bassa partecipazione al lavoro, ecc.) e all’indisponibilità dei governi di fare scelte politicamente costose. Se anche avessimo un bilancio federale ampio e gli strumenti adatti per correggere le crisi di liquidità degli Stati, il dramma della Grexit sarebbe esattamente dov’è ora (come ha sostenuto recentemente su questo giornale Franco Debenedetti).
È paradossale che chi sostiene le ragioni del governo greco sia anche sostenitore di una maggiore integrazione federale. Le federazioni sopravvivono solo se riescono a risolvere il rischio morale legato alla coesistenza di garanzie a livello centrale e decentramento del potere di spesa a livello sub-nazionale (che Rodden ha definito “il paradosso di Hamilton”). Per risolvere tale problema c’è bisogno di maggiore (e non minore) disciplina fiscale e più vincoli sulle deliberazioni democratiche a livello locale. D’altra parte, l’inopportunità della disciplina fiscale è proprio il primo punto del programma elettorale di Syriza, secondo cui l’austerità è l’origine di tutti i mali. È vero che l’austerità fiscale non aiuta a uscire dalla crisi, ma l’idea che i debiti si ripagano da soli è una strada che porta all’uscita dall’euro. D’altra parte, nessun meccanismo istituzionale può risolvere completamente il paradosso di Hamilton. Serve una forte reciproca fiducia tra gli stati membri, una visione comune ragionevolmente condivisa e la necessità che i governi nazionali siano parzialmente vincolati alle promesse dei governi precedenti. Il caso greco ha molto da insegnare su questo piano. Syriza ha vinto le elezioni anche perché ha promesso di rinnegare gli accordi sottoscritti dal governo Samaras e rinegoziare gli accordi con la Troika minacciando l’uscita dall’Euro. Il fatto che una rinegoziazione fosse opportuna o che il governo Samaras fosse incapace non cancella la natura del problema politico: chi garantisce che un eventuale accordo europeo con Syriza non possa essere rinnegato nel futuro? Ora una parte di Syriza preferisce andare alle elezioni anticipate piuttosto che accettare un compromesso che verrebbe votato dai partiti moderati del parlamento greco. Il costo di perdere la credibilità politica è maggiore del vantaggio di salvare il paese? Com’è stato detto giustamente da alcuni commentatori, la ragione per cui il negoziato è così difficile è che l’Eurogruppo e il Fmi non hanno fiducia nei confronti del governo greco. Forse è un atteggiamento sbagliato, ma senza questa fiducia la costruzione di un’Europa integrata non potrà andare avanti.