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→  giugno 24, 2015


articolo collegato di Carlo De Benedetti

Ragionando in termini finanziari il problema dell’Europa con la Grecia è uno solo: «non dovevate farla entrare». Difficile dare torto a uno come Lloyd Blankfein, il ceo di Goldman Sachs, uno che solo nell’investment banking mobilita 1,6 miliardi di dollari all’anno. Quando un mese fa l’ho incontrato a New York la nostra discussione è andata, direi naturalmente, su quello che entrambi consideravamo il problema dei problemi: un’Europa che non solo non riesce e fare passi avanti, ma ne sta facendo più di uno indietro. A cominciare proprio dalla Grecia.

In termini finanziari Lloyd ha senza dubbio ragione. Nessuna unione monetaria può reggere su differenze così macroscopiche tra economie nazionali. La Grecia, al di là della falsificazione dei parametri sull’indebitamento, non era in grado di stare insieme alla Germania nella stessa moneta.

E a nulla potevano servire i numeri e i numeretti, i parametri e vincoli, dietro ai quali si è voluto nascondere questa realtà. Oggi le Borse festeggiano un possibile accordo, ma tutta la questione greca – come sottolineava oggi Gideon Rachman sul Financial Times – è un lose-lose qualsiasi sia l’esito della trattativa perché le premesse sono sbagliate.
L’Europa finanziaria, l’Europa dei numeri, è un dead man walking, un brutto sogno che non avremmo mai dovuto concepire. E non ce ne tireremo fuori con altri numeri, altri vincoli, altre regolette. L’Europa esiste, ed è un grande progetto per il futuro, se torniamo a considerarla prima di tutto una comunità di valori e di cultura. E in questo contesto la Grecia è un pilastro del nostro futuro comune, il fondamento stesso – indispensabile – dell’Europa. Ma allora va cambiato completamente il paradigma. Va preso atto del fallimento del disegno a trazione tedesca che da 25 anni produce solo danni. Siamo il continente che cresce meno in tutto il globo, conosciamo una disoccupazione che mai avevamo avuto, demograficamente arretriamo e, soprattutto, ogni giorno vediamo crescere al nostro interno le forze distruttive disgregatrici del populismo anti-europeista e razzista.

È vero, c’è stata la crisi finanziaria. Ma come abbiamo risposto? L’epicentro della crisi c’è stato negli Stati Uniti, loro inizialmente ne hanno vissuto l’impatto più drammatico, ma hanno reagito subito. Chi ha sbagliato ha pagato e si è fatto da parte. Le banche sono state nazionalizzate e poi rimesse sul mercato. La Banca federale non ha mai smesso di pompare liquidità nel sistema. In pochi anni l’economia è tornata a girare e a crescere, la disoccupazione è scesa dal 12 al 5,5 per cento.

È vero, c’è stata la crisi finanziaria. Ma come abbiamo risposto? L’epicentro della crisi c’è stato negli Stati Uniti, loro inizialmente ne hanno vissuto l’impatto più drammatico, ma hanno reagito subito. Chi ha sbagliato ha pagato e si è fatto da parte. Le banche sono state nazionalizzate e poi rimesse sul mercato. La Banca federale non ha mai smesso di pompare liquidità nel sistema. In pochi anni l’economia è tornata a girare e a crescere, la disoccupazione è scesa dal 12 al 5,5 per cento. Intanto abbiamo il record di produzione di progetti per la “nuova Europa”. Pieni sempre di numeri, di parametri, di regole. Avevamo provato a darci una Costituzione e l’avevamo fatta di 370 pagine. Un orrore. Se poi abbiamo provato ad essere ambiziosi, abbiamo prodotto il libro dei sogni che si chiama Lisbona: tanti obiettivi meritori senza una road map che fosse minimamente credibile.

E così siamo qua. Siamo qua a vedere crescere in tutta Europa l’onda dei partiti della rabbia e della protesta. In Francia, in Spagna, in Italia (da noi ce ne concediamo addirittura due), in Grecia. È con vero dolore che ho visto raddoppiare i consensi delle forze anti-europeiste anche in Danimarca, un Paese che amo da sempre, per il suo spirito di libertà, tolleranza, apertura, un Paese anche ben governato. Ma fino a quando la regola dell’Europa sarà quella dei vincoli e dei parametri numerici andrà così.

Anche sulla questione immigrati abbiamo risposto con la stessa logica, con lo stesso stile: lentamente, impiccati dalla mancanza di una policy comune sull’immigrazione e sull’asilo. Secondo le Nazioni Unite i rifugiati nel mondo del 2014 sono stati 59,5 milioni, niente di simile è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Una situazione eccezionale che richiederebbe risposte eccezionali. Le soluzioni esistono (così dicono gli esperti), ma occorre cambiare il linguaggio politico e di conseguenza è necessario coraggio e visione di lungo termine. Come ricorda Silvia Kaufmann, i 28 capi di Stato e di Governo che si incontreranno questa settimana a Bruxelles dovrebbero avere in mente un precedente tragico: la conferenza di Evian del luglio 1938. Convocata dal Presidente Roosevelt, aveva lo scopo di trovare una soluzione per le centinaia di migliaia di ebrei tedeschi e austriaci disperati dopo che Hitler li aveva espulsi. La conclusione della conferenza fu una catastrofe: né l’Europa, né il Nord America, né l’Australia accettarono di dare asilo a numeri significativi di questi rifugiati. Anche allora le due parole più usate furono “densità” e “saturazione”. Auguriamoci che l’Europa, che ha già vissuto anni fa questa tragedia, non dia una risposta che ha già avuto in passato conseguenze così catastrofiche.
Ma tutto fa pensare che non accadrà. Che l’Europa continuerà la sua deriva.
Andrà così. Andrà così fino a quando non saremo in grado di darci regole capaci di far nascere leader politici europei. Dove pensiamo di andare con l’Europa così com’è? Perciò serve una rifondazione. E non basterà di certo l’aspirina prevista nel documento dei cinque presidenti.

Dobbiamo ricorrere a dosi massicce di politica per restituire l’Europa agli europei. Dobbiamo prendere coscienza che l’Europa esiste se torniamo a concepirla come una piattaforma unica di valori e cultura. Anche gli Stati Uniti, in fondo, funzionano così. Nessuno si immagina di far diventare l’Arkansas una Silicon Valley. L’Arkansas viene sovvenzionato, perché è parte di un sentire comune.

L’Europa così com’è ha fallito. O ne prenderemo rapidamente atto, e saremo capaci di cambiare, oppure saremo travolti dall’onda. Va recuperato l’orgoglio di essere la comunità che ha dato al mondo, proprio partendo dalla cultura ellenistica, il meglio del pensiero e dei diritti dell’uomo. Solo su questa base potremo ancora stare insieme e costruire un futuro comune.

→  gennaio 28, 2015


Bisogna guardare alla crisi greca avendo in mente l’interesse dell’Italia: sembra ovvio al limite della banalità. Ma qual è l’interesse dell’Italia hanno in mente quelli che pensano che con Tsipras abbiamo trovato un alleato? Alleato per fare che?

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→  gennaio 30, 2014


di Riccardo Sorrentino

All’Unione monetaria manca un pezzo. È stata costruita sul presupposto, molto teorico, che le economie reali, convergendo, avrebbero riequilibrato anche gli squilibri finanziari. Non è andata così. Eurolandia convive con forti squilibri tra Paesi creditori e debitori e senza un sistema “simmetrico” per risolverli.

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→  gennaio 30, 2014


Nell’Unione monetaria i poveri finiscono per salvare i ricchi? O sono i ricchi a cadere in una trappola? Analisi di un meccanismo che fa litigare stati e banchieri.

Le tensioni del 2012, apice della crisi finanziaria, sono diminuite: per il debito sovrano si sono ridotti gli spread, per le banche può partire la verifica della loro solidità. Si sono abbassati i toni della contrapposizione politica tra chi ha visto nella crisi la dimostrazione dell’urgenza di andare subito verso l’unione fiscale e chi invece è fermo nel considerare il rispetto dei trattati esistenti come la base di legittimità dell’Unione europea. Vivace continua invece la polemica tra economisti sulla politica monetaria: non solo sugli interventi della Bce, ma addirittura sul sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione europea, che pure le Banche centrali hanno il compito primo di assicurare. Succede che venga messo in discussione perfino Target2, lo strumento del Sistema delle Banche centrali con cui funziona il sistema dei pagamenti all’interno dell’Unione monetaria: per alcuni sarebbe il mezzo con cui i poveri finiscono per salvare i ricchi, per altri la trappola in cui sprofonda la ricchezza dei cittadini. Bloccata la strada della mutualizzazione dei debiti, impraticabile quella dell’uscita dall’euro, gli exit sono preclusi.

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→  gennaio 12, 2014


di Antonio Foglia

Con un efficace paragone, l’economista Luigi Zingales ricorda che l’euro è un progetto analogo alla Conquista del Messico da parte di Cortes che si bruciò le navi alle spalle per impedire ogni tentazione di ritirata ai suoi uomini. Quando partì l’euro, chi lo volle sapeva che si trattava di un progetto incompleto che avrebbe probabilmente avuto bisogno di importanti aggiustamenti. Il vertice europeo del giugno 2012 mise a fuoco quelli più urgenti.

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→  dicembre 5, 2012


di Simon Nixon

La grande storia del 2012 è stato il rifiuto dell’Eurozona di collassare, con annessa frustrazione di quanti avevano scommesso molto o comunque legato la loro credibilità professionale al crollo della moneta unica. E’ impressionante, se uno pensa a soltanto un anno fa, quanto fosse diffusa la convinzione di un imminente “eurogeddon”. Numerosi ed esperti banchieri, soprattutto a Londra e a Francoforte, ritenevano in cuor loro che la Grecia sarebbe finita fuori dall’euro nel corso del 2012; il presidente della Royal Bank of Scotland addirittura lo disse in pubblico.

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