Everybody lies.
Big Data, New Data, and What the Internet Can Tell Us About Who We Really Are.
di Seth Stephens-Davidowiz
HarperCollins, 2017
352 pagine
“Non è che Internet ci fa vivere in una bolla cognitiva, con pareti sempre meno porose alle influenze esterne, dove diventiamo sempre più chiusi sulle nostre idee?” In modo dubitativo, me lo sentii chiedere da uno studente, alla fine di una lezione nell’àmbito del programma dell’Istituto Bruno Leoni per le scuole. In modo assertivo, è quello che sostiene Salvatore Bragantini sul Corriere della Sera del 30 Luglio: per lui “Internet mette a rischio la nostra democrazia”. Dubbio o una certezza che sia, il modo per verificare se hanno qualche fondamento nei fatti, era finora l’indagine demoscopica: si seleziona un gruppo di persone in modo che formino plausibilmente un campione della società che si vuole analizzare, gli si fanno delle domande e se ne studiano le risposte. Il metodo è costoso, tanto più quanto più cerca di essere preciso, e soprattutto è esposto a un rischio inevitabile e non misurabile: ciò che l’interrogato risponde (ad esempio sulle proprie intenzioni di voto), è altro da ciò pensa, e questo da ciò che realmente farebbe. Perché mentiamo tutti, mentiamo agli altri perché mentiamo a noi stessi. “Everybody lies” è il titolo del libro di Seth Stephens-Davidowiz, 300 pagine di esempi di come l’analisi dei dati, una disciplina che richiede solide competenze statistiche e matematiche unite a intelligenza sociologica, consenta di rispondere a questo genere di domande: risposte quantitative, mirate per categorie di persone (età, sesso, luogo, religione, educazione), e scevre dal rischio della menzogna. Quando, protetti dall’anonimato della ricerca su un motore di ricerca, invece di rispondere a domande di altri, cerchiamo risposta a domande nostre, noi lasciamo tracce di desideri e di preoccupazioni, di associazioni di idee e di istinti. Big Data è il siero della verità, a volte rivela verità di cui neppure siamo coscienti.
Vediamo come funziona nel caso della “bolla di Internet”. Si immagini di scrivere una lista di indicatori che consentano di dividere gli individui in due categorie, democratici e repubblicani (noi diremmo progressisti e conservatori). Se due soggetti visitano lo stesso sito web, che probabilità c’è che siano uno sia progressista e l’altro conservatore? Cioè con che frequenza un progressista e un conservatore si “incontrano” nello stesso sito? Se internet fosse interamente segregato, cioè se il progressista visitasse solo siti progressisti e il conservatore siti conservatori, la probabilità sarebbe nulla. Se invece entrambi visitassero siti di entrambi gli orientamenti, cioè se internet fosse completamente desegregato, la probabilità sarebbe del 50%. Nella realtà, incrociando i siti visitati con le caratteristiche che definiscono il “colore politico” della persona, si trova che questo numero, negli USA, è circa 45%. In base ai dati del General Data Survey che l’Università di Chicago raccoglie dal 1972, le probabilità che nella vita normale si incontrino persone di “fede politica” opposta sono nettamente minori: 41% tra i colleghi di lavoro, 37% in famiglia, 35% tra amici). La cosa si spiega. Primo, perché la gente visita anche siti di opposte tendenze politiche perché gli piace infuriarsi – e magari rispondere- a quelle che gli sembrano le scemenze altrui. Secondo, perché abbiamo molti più amici su Facebook di quelli che frequentiamo nella vita di tutti i giorni; ed è maggiore la probabilità che il vecchio amico di scuola abbia sviluppato nel frattempo idee diverse da quelle nostre e degli amici di tutti i giorni. Terzo: perché anche se ci sono siti per tutti i gusti, chi li visita sono numeri piccoli: l’informazione internet è dominata da pochi grande aggregatori, e questi per forza devono rivolgersi a una platea politicamente diversificata.
Chi, come il sottoscritto, continua a informarsi sui giornali (rigorosamente di carta) e ha il vizio di scriver sui giornali, ha più di una ragione per rattristarsi quando vede le edicole chiudere. Leggendo che l’analisi dei dati ha anche provato che l’anno più importante per sviluppare le proprie idee politiche è (negli USA) 18 anni, ne trae motivo per cercare di intensificare il programma IBL per le scuole. Quanto alla democrazia, sono i regimi totalitari che bloccano Internet, perché temono che la favorisca; nelle democrazie la concorrenza produce sempre più siti che cercano di conquistare visitatori. Quanto poi alla bolla cognitiva, il vero pericolo sembra essere piuttosto di restar chiusi in quella dei propri pregiudizi.
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