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→  novembre 5, 2015


Che cosa vuole Xavier Niel e perché sta investendo in Telecom? Che abbia scelto di fare un investimento nell’azienda puntando sul suo potenziale di crescita, è del tutto incredibile. Che voglia prendere il controllo a suon di aumento della sua quota azionaria, meno ancora. Che ci sia concerto con Vivendi è da escludere dopo le pubbliche dichiarazioni di entrambe le parti: raccontare storie all’autorità di controllo può costare molto caro. Che chi mette i soldi in un’azienda ha una sua strategia è naturale; e avrebbe interesse a palesarla per trovare alleati, anche se per ora non l’ha fatto. Comunque, se fosse per una qualsiasi di queste ragioni, non ci sarebbe motivo di agitarsi. Se Niel vuole superare Vivendi quale primo azionista, dato che non abbiamo fatto obiezioni quando Vivendi ha arrotondato la partecipazione che le risultava dagli accordi con Telefònica, non c’è ragione che si discrimini tra un francese e un altro. Che la sua strategia possa comportare anche spezzatini, fusioni, vendite, è normale, come pure che queste possano essere giudicate contrarie all’interesse nazionale: se ne parlerà quando si saprà in che consiste. E il giudizio non dipenderà dalla nazionalità del proponente: anche perché non c’è nessuna ragione per cui un italiano faccia sempre l’interesse del paese.

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→  settembre 18, 2015


Oggi, ha scritto Stefano Firpo sul Foglio in “Come evitare che la politica industriale rimanga chiacchiera da bar”, “è possibile disegnare un’azione di politica industriale senza che questo comporti un maggiore intervento dello stato nell’economia”. La “politica industriale” consisteva nello scegliere chi doveva giocare e vincere nella gara competitiva. Il governo era come l’allenatore della squadra di calcio, decideva lui chi giocava e chi no, e, dato che aveva buone relazioni con gli arbitri, chi vinceva e chi perdeva. Solo che in Champions si perdeva secco, e pure ci multavano. Adesso oltretutto avere una squadra è diventato troppo caro: invece che avere una squadra, il governo fa lo sponsor, vorrebbe finanziare un po’ tutti. O magari solo la domenica andare in tribuna a fare il tifo, e per tutta la settimana discutere con gli amici sulle scelte dell’allenatore: al bar.

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→  settembre 8, 2015


Al direttore.

Perché mai la posizione di Angela Merkel sulla Siria dovrebbe essere una “conversione” rispetto quella che aveva avuto sulla Grecia, metafora di un cambio sia di rotta su una “strada lastricata di buone intenzioni” sia, Dio ne scampi, di confessione religiosa, proprio non lo capisco. Se a dirlo sono quelli che, se neghi gli eurobond sei un sadico strangolatore dell’Europa del sud, e se hai il bilancio in pareggio hai tendenze naziste, non ci sarebbe da spenderci tempo: ma nell’articolo di Giuliano Ferrara quella parolina mi ha colpito. Che sia per contrasto con la soddisfazione di vedere (ancora una volta) tanto autorevolmente espressa la necessità di intervenire là dove divampano gli incendi che fanno fuggire la gente, come avevo azzardato sul Foglio fin dall’inizio di maggio? Neppure a Franco Venturini possono essere attribuiti pregiudiziali antitedesche, ma è esplicito: “Berlino”, scrive, sul Corriere di venerdì, “riconquista la sua credibilità morale messa a dura prova dalla linea intransigente nei confronti del dramma socio-finanziario greco”.

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→  agosto 25, 2015


Fughe lontane di ebrei, fedeltà sabaude. Avvocature, eserciti e visite in Monferrato. La lirica e Torino, le belle calligrafie. Storia di un’educazione non solo sentimentale.

Venivano entrambi da gente che era dovuta fuggire, i miei due nonni. Quello paterno si chiamava Israel, era uno dei quindici figli di nonna Dolcina, la sorella di Isacco Artom. Il diminutivo Lilin doveva portarselo dietro dall’infanzia, se lo trovò lì bell’e pronto per quando il suo nome vero sarebbe suonato un po’ troppo esplicito. Me lo ricordo, il nonno Lilin, quando andavamo a trovarlo ad Asti: non mi piacevano tanto i suoi baffi un po’ umidi quando mi salutava con un bacio.

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→  luglio 15, 2015


Adesso che il gioco di Tsipras e Varoufakis è stato visto, tutto appare chiaro: hanno puntato sul fatto che l’Eurozona non potesse accettare il Grexit; hanno anche provato a rovesciare il tavolo con il referendum; ma alla fine hanno dovuto scoprire le carte. E i debiti di gioco, tra gentiluomini, si pagano nelle 24 ore.

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→  luglio 7, 2015


Tutto sommato meglio così. Con un “sì” stiracchiato a un quesito mal posto, oggi staremmo a elucubrare su sviluppi politici, dimissioni, rimpasti, elezioni, coalizioni. La scelta del popolo greco è per tutti una scelta di fare chiarezza. Da oggi pensare all’euro e pensare alla Grecia sono due cose, entrambe necessarie ma distinte.

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