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→  gennaio 16, 2008


di Alberto Arbasino

Gadda che, com’è noto era un «celibatario solo come uno stecco», non ha mai proliferato né intrattenuto progenie alcuna, neppure in senso lato. Chi, d’altra parte, potrebbe immaginarlo organizzare un cenacolo in pizzeria o fondare una rivista di tendenza o piazzare rampanti discepoli nella redazione di un giornale o alla Rai?
Eppure il destino letterario sembra averlo, per vie misteriose, risarcito. Negli anni Cinquanta, quando ancora non aveva pubblicato il Pasticciaccio e molti critici lo consideravano solo un «eccentrico» o un umorista «cincischiato», Gadda trova improvvisamente, in una piccola schiera di scrittori ‘irregolari’ e ‘sperimantali’ che hanno adorato L’Adalgisa, dei giovani ammiratori disinteressati ed entusiasti. Fra quei ‘nipotini’ c’è soprattutto Alberto Arbasino, che, come provano L’Anonimo Lombardo e poi Fratelli d’Italia, dal grande macaronico sembra avere ereditato non solo la derisoria violenza della scrittura, ma anche la cultura cosmopolita ed eclettica, lo humour travolgente, l’insofferenza per il «tritume delle correnti obbligative».

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→  gennaio 15, 2008


Scommesse, il riciclaggio corre in sala

di Claudio Gatti

Le puntate raccolgono 3,7 miliardi di euro e la legge prevede bassi livelli di sorveglianza – Stratagemmi: gli scontrini sono al portatore e l’unico limite è il tetto di vincita di diecimila euro ma nulla impedisce di frazionare su più giocate e più punti di raccolta.

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→  novembre 13, 2007

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Partecipazioni

di Federico De Rosa

MILANO — Tornano in alto mare le nomine al vertice di Telecom Italia. Il nuovo giro d’orizzonte fatto da Mediobanca e Intesa Sanpaolo dopo l’incontro di mercoledì scorso tra Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli non avrebbe prodotto risultati. L’accoppiata Gabriele Galateri di Genola-Franco Bernabè, su cui sono orientati i sondaggi, continua a incontrare resistenze sia dentro sia fuori Telco, e per uscire dall’impasse i soci della cassaforte avrebbero iniziato a valutare altre alternative.
Ma la possibilità di scelta sono ridotte e al momento non si vede ancora una via d’uscita. Anche l’unico punto fermo, almeno così sembrava finora, quello di Galateri alla presidenza, è tornato in discussione e si sta facendo sempre più largo l’ipotesi di confermare Pistorio fino alla fine del mandato. Una scelta gradita a Intesa Sanpaolo e condivisibile per Mediobanca. Da sola, tuttavia, non basterebbe a sbloccare l’impasse. Manca infatti il nome dell’amministratore delegato che, vuoi per i giochi di posizione vuoi per i veti, difficilmente potrebbe essere sempre Bernabè. Fonti vicine al dossier parlano di sondaggi in corso su Paolo Dal Pino. Il nome dell’ex amministratore delegato di Wind, in passato numero uno di Telecom in America Latina, era già circolato nelle scorse settimane incontrando, secondo le voci, resistenze da parte di Intesa Sanpaolo, più orientata a cercare un accordo su Bernabè. Ora sarebbe stato riproposto in ticket con Pistorio.
Tra le possibili alternative è circolata anche quella di ampliare le deleghe dell’attuale presidente e di superare l’impasse sull’amministratore delegato facendo crescere i due manager interni, Luca Luciani e Stefano Pileri, Lo schema, tuttavia, non convince soprattutto chi tra i soci di Telco ritiene sia necessario un segnale di discontinuità con il passato. E tra questi ci sarebbero gli spagnoli di Telefonica, che pur non avendo formalmente voce in capitolo sulle nomine seguono con grande attenzione le mosse dei compagni di cordata. Per la società spagnola, d’altra parte, la partita Telecom è fondamentale. Proprio ieri il direttore generale Julio Linares ha parlato di possibili sinergie con la società milanese per 500 milioni l’anno, rivelando che i due gruppi ne stanno parlando già da tempo, «sono in corso dall’inizio dell’anno discussioni esplorative con Telecom per identificare le potenziali aree e il loro ammontare», e che insieme «abbiamo identificato fino a 500 milioni le sinergie annue per entrambe le compagnie. Ora, dopo che si è finalizzato l’accordo, si andrà più in profondità».

E saranno Cesar Alierta e Linares a occuparsene. I due manager, rispettivamente numero uno e due di Telefonica, sono infatti appena entrati nel consiglio di Telecom, sebbene con qualche difficoltà «tecnica». Il loro arrivo ha costretto gli altri soci di Telco a regolarsi di conseguenza per le nomine. Con due dei migliori manager mondiali del settore nel board, infatti, chi guiderà Telecom dovrà essere all’altezza e tener testa agli spagnoli. Cosa non facile, soprattutto dopo aver visto i numeri di Telefonica che, unica tra le società telefoniche europee, ieri ha rivisto al rialzo i target per l’intero anno dopo aver annunciato 7,9 miliardi di utile nei primi nove mesi, con una crescita del 51% grazie soprattutto all’effetto Endemol, a fronte di 42 miliardi di ricavi (+8,6%).
I soci di Telco hanno dunque la necessità di trovare interlocutori «autorevoli». Non solo per Telefonica, ma anche per gestire le altre partite che il nuovo vertice si troverà di fronte. A partire dallo scorporo della rete. Proprio ieri il presidente dell’Authority per le comunicazioni, Corrado Calabrò, ha esortato dì nuovo Telco a fare in fretta: Telecom «deve uscire dall’attuale guado in cui si trova perché siamo arrivati al capolinea», ha detto Calabrò, spiegando che adesso che si è concluso il confronto tecnico «servono le scelte politiche che solo il management della società può fare».

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Telecom a governance duale
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2007

→  novembre 10, 2007

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Nel corso della tavola rotonda che concludeva il convegno Glocus di Frascati, dopo che il segretario del PD Walter Veltroni aveva elencato i requisiti fondamentali a cui dovrebbe rispondere la legge elettorale, Franco Debenedetti ha posto a Walter Veltroni la domanda diretta. Se cioè il Governo dovrà essere scelto dagli elettori, o se dovrà trovare la propria maggioranza in Parlamento. “La risposta che ho ricevuto dal segretario Veltroni, ha detto Franco Debenedetti, e cioè che indicare la maggioranza sarebbe fare rientrare dalla finestra quello che si era fatto uscire dalla porta, non va certo nella direzione che io auspico e che credo goda di largo consenso tra gli elettori. Ma almeno si è così fatto chiarezza su un punto su cui si esercitavano le interpretazioni, e che è di fondamentale importanza nel programma del PD.”

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Veltroni: sì al proporzionale senza premio di maggioranza
di Franco Debenedetti – Il corriere della sera.it, 14 luglio 2008

→  novembre 5, 2007

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Lettere a Corriere Economia

di Stefano Marchettini

Egregio direttore,

la ringrazio per lo spazio dato alle fondazioni di origine bancaria (fondazioni) sul Corriere Economia di lunedì 22 ottobre. Dal quadro tratteggiato emergono, come è giusto, oltre a valutazioni positive anche aree di possibile miglioramento, nonché interessanti quesiti sull’evoluzione futura del ruolo delle fondazioni; si tratta, in alcuni casi, di questioni a cui le stesse fondazioni cercano risposte.

Rispetto a questo quadro, vorrei però fare alcune precisazioni, in particolare in merito ad affermazioni di Debenedetti. Riguardo all’accusa di autoreferenzialità, ricordo che le fondazioni sottostanno alla vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che assicura il rispetto della legge e degli statuti, ma hanno piena autonomia statutaria e gestionale; inoltre la loro governance è periodicamente rinnovata in base alle indicazioni dei soggetti rappresentativi dei territori in cui operano. Quanto agli interventi delle fondazioni in Cassa Depositi e Prestiti e nel fondo F2i, essi rientrano appieno nelle loro finalità istituzionali, fra cui c’è la promozione dello sviluppo economico, e quindi la crescita delle infrastrutture:

Riguardo, poi, a presunte inefficienze delle fondazioni, queste sono state confutate dall’Acri oltre un anno fa, ma è opportuno ricordare alcuni dati. Nel 2006 gli oneri di gestione delle 88 fondazioni, al netto dei costi per la gestione del patrimonio, se rapportati alle erogazioni deliberate (1,52 miliardi di €), sono stati pari all’11,9%; il dato scende all’8,6% se si considerano le 18 fondazioni più grandi, il cui patrimonio medio di 2 miliardi di € è comunque pari a meno di un decimo del patrimonio della fondazione Gates. Nel 2006 la fondazione Gates ha effettuato erogazioni per 2,84 milioni di dollari, con spese (program and administrative expenses più parte delle direct charitable expenses) pari al 5,5% circa. Si tratta di differenze spiegabili con la diversa dimensione, fiscalità e struttura di governance (assai leggera pure rispetto ad altre fondazioni americane nel caso della fondazione Gates); conta anche che, mentre le fondazioni hanno vincoli di conservazione del patrimonio, dal 2006 la fondazione Gates è vincolata ad erogare in tempi rapidi l’ingente apporto di Warren Buffett.
Un’ultima notazione: Debenedetti propone un’idea rovesciata della sussidiarietà quando afferma che è mancato un progetto sistemico per far fare un passo indietro allo Stato nell’erogazione di alcuni servizi (al fine di ridurre spese e pressione fiscale). Certamente non è pensabile che le fondazioni, dato il loro ruolo e date le grandezze in gioco, possano, anche solo in parte, sostituirsi al pubblico nei loro settori di intervento, a partire dai due citati nell’intervista (istruzione e sanità).

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Falso in bilancio, è solo voglia di rivincita
di Franco Debenedetti – Il Corriere della Sera, 31 ottobre 2007

Ritorno al passato (con troppa fretta)
di Alberto Alessandri – Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2007

→  ottobre 31, 2007

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I PUNTI A FAVORE: Il progetto di legge mira a superare la normativa del 2002 che era sprovvista di razionalità – GLI ELEMENTI CRITICI: L’iniziativa ripristina vecchie impostazioni senza proporre una strategia di revisione complessiva

di Alberto Alessandri

Se si ricostruiscono gli articoli 2621 e 2622 del Codice civile con le modifiche che il Governo è intenzionato ad apportare, si ha la sensazione di un complessivo ritorno alle origini, a prima della riforma del 2002.
Nel Ddl del Governo di quell’intervento non è rimasto nulla. È sparita la degradazione a illecito contravvenzionale della fattispecie base prevista dall’articolo 2621, tanto teoricamente ingiustificabile quanto chiaramente spiegabile con una volontà di mascherata (ma non troppo) depenalizzazione sostanziale. È scomparsa l’altrettanto incomprensibile procedibilità a querela nella figura intermedia che poteva essere letta solo come strumento di ulteriore deflazione della punibilità. Ma, soprattutto, è scomparso il riferimento al danno patrimoniale, la cui assunzione a nocciolo duro dell’evento nella figura delittuosa costituiva il tratto distintivo della riforma: la trasformazione del falso in bilancio (e degli altri reati societari) da figura a tutela di interessi collettivi a presidio, parziale, degli interessi patrimoniali di soci e creditori (solo nel 2005 si sarebbe aggiunta anche la società). Il danno era la chiave di volta della frammentazione del falso in bilancio in tre ipotesi distinte e l’autogiustificazione della procedibilità a querela. La marcata patrimonializzazione costituiva la rampa d’accesso alle soglie quantitative. Se quel falso era solo un modo di aggressione al patrimonio, poteva aspirare a qualche comprensibilità che il legislatore ponesse limiti dimensionali, al di sotto dei quali non c’era un’offesa tale da legittimare l’intervento penale.
Gli interventi successivi, apportati con la legge 262/2005 (a tutela del risparmio) sono stati tanto maldestri quanto inefficaci. L’apoteosi della frammentazione, raggiunta con un falso in bilancio colpito, se inferiore alle soglie, con una sanzione amministrativa, tocca il culmine dell’inefficacia mediante l’impiego di “quote” che la legge prevede solo per le persone giuridiche e non per gli individui mentre le sanzioni amministrative accessorie colpiscono più duramente delle sanzioni per i falsi penalmente rilevanti.
La costruzione normativa era sprovvista di razionalità punitiva. Ancor meno tollerabile quando si mantengono elevatissimi livelli sanzionatori per la bancarotta e si insegue un facile successo popolare con inasprimenti draconiani in materia di abusi di mercato.
Il provvedimento del Governo riporta un minimo di equilibrio nel sistema, quasi che il pendolo, esaurita la sua spinta (maliziosamente: anche la sua efficacia?), si voglia che ritorni al suo vecchio punto di origine.
Tuttavia, così non è, poiché il pendolo torna più indietro dell’antico punto di partenza, indifferente alla storia. Si possono trascurare le scorie visibilmente dovute alla fretta. Si può anche tacere sull’aggravante specifica, costruita in termini inaccettabilmente generici e sulla grottesca formula dei «fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni».
C’è piuttosto da segnalare la volontà di inasprire la figura (al puro servizio della prescrizione) per le società quotate e, con approssimativo parallelismo, alle società soggette a revisione obbligatoria. Nella fretta demolitrice scompare anche l’intenzionalità del falso (mentre per i revisori si richiede che agiscano “consapevolmente”).
Possono apparire segnali di poco conto. Ma testimoniano, ancora una volta, la grave mancanza di una riflessione seriamente riformatrice.
Nessuno dovrebbe dimenticare, tanto meno il legislatore (anche se affannato), alcuni dati. Era diffusa l’opinione che il vecchio falso in bilancio fosse urgentemente da riformare, anche per le intollerabili deformazioni giurisprudenziali che aveva subito; che il primo passo in questa direzione fosse quello di conferire certezza alla fattispecie; che di conseguenza occorreva ritagliare con attenzione, guardando anche al versante civilistico, l’area di rischio penale, soprattutto all’interno dei Cda (l’intenzionalità voleva essere un argine per i consiglieri non operativi), a fronte di una giurisprudenza quasi totalmente insensibile alle trasformazioni dei flussi informativi nelle società; che si dovesse inquadrare la riforma in una revisione complessiva, indispensabile per una risposta sanzionatoria equilibrata e per evitare che l’intervento sui singoli tasselli aumentasse la pressione su aree più cedevoli.
Alla fine, nel progetto del Governo, l’unico filtro selettivo è affidato all’idoneità ingannatoria, elemento nel quale anche chi scrive aveva creduto, all’epoca della commissione Mirone. L’esperienza successiva ha affievolito quell’opinione, vista la polverizzazione che di quel requisito ha compiuto la giurisprudenza, mentre ha confermato che le riforme parziali sono un sacrificio rituale sull’altare del diritto penale simbolico, che si fa ornamento di riforme epocali e cucina in fretta modifiche di piccoli frammenti. Il quadro d’insieme continua a essere eluso.

Alberto Alessandri, Università Bocconi

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di Franco Debenedetti – Il Corriere della Sera, 31 ottobre 2007

Le ragioni dell’Acri e Debenedetti
di Stefano Marchettini – Corriere Economia, 05 novembre 2007