Business d’azzardo tra regole e illeciti

gennaio 15, 2008


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Scommesse, il riciclaggio corre in sala

di Claudio Gatti

Le puntate raccolgono 3,7 miliardi di euro e la legge prevede bassi livelli di sorveglianza – Stratagemmi: gli scontrini sono al portatore e l’unico limite è il tetto di vincita di diecimila euro ma nulla impedisce di frazionare su più giocate e più punti di raccolta.

Che gioco d’azzardo e scommesse clandestine siano terreno d’azione della criminalità organizzata lo si sa da tempo. L’anno scorso, in un suo documento di denuncia intitolato «Sos impresa», la Confesercenti ha calcolato che quei due settori generano, per i sodalizi criminali, 2,5 miliardi di euro di fatturato annuo.
Nessuno si è perciò sorpreso più di tanto quando dagli archivi segreti di Salvatore Lo Piccolo, l’erede di Provenzano arrestato il 5 novembre scorso, si è scoperto che soltanto dalle scommesse clandestine il boss incassava dai 140mila ai 200mila euro a settimana. La novità è piuttosto emersa da un pizzino sequestrato, dal quale è risultato che Lo Piccolo era anche interessato al controllo di sale Bingo. Insomma, oltre il gioco illegale, puntava a controllare quello riconosciuto e governato dallo Stato.
Sul fronte delle scommesse, l’attenzione di tutti è rimasta finora sempre concentrata sulle attività clandestine, ma un’inchiesta de «Il Sole 24 Ore» porta a concludere che è bene guardare al settore legale nato per contrastare la rete di raccolta abusiva. In particolare, ai risultati del bando di gara svolto a fine dicembre 2006, con il quale l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato ha quasi decuplicato i punti di accettazione per le scommesse ippiche e non, passati da 1.500 a 14mila.

Lacune normative

L’obiettivo di quel bando era far emergere dalla clandestinità un business da miliardi di euro l’anno (e parallelamente rimpinguare le casse dell’erario.) Esattamente come era successo con le sale Bingo. «Le persone che scommettono sono numerose, meglio lasciarle giocare alla luce del sole, e del fisco, piuttosto che renderle involontari strumenti del riciclaggio in bische clandestine» aveva scritto il senatore Franco Debenedetti nel 2001 spiegando il suo voto a favore del provvedimento che regolamentava il Bingo. Argomentazione applicabile anche alle scommesse.
Il problema è che il settore ha una vulnerabilità normativa che permette a chiunque di puntare anonimamente decine di migliaia di euro ogni giorno per poi incassarne più o meno altrettanti. Puliti e dichiarabili. Nonostante Governo e Parlamento siano stati impegnati per mesi nello studio e nella stesura del testo del decreto legislativo con cui il 16 novembre scorso il nostro Paese ha formalmente recepito la terza direttiva europea sulle misure di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio, il settore delle scommesse in sala è infatti rimasto immune da qualsiasi obbligo di sorveglianza.

A rischio quasi 4 miliardi

Pur avendo imposto regole più stringenti e allargato il ventaglio dei settori interessati a categorie professionali quali i notai e i commercialisti, il decreto approvato il 16 novembre scorso dal Consiglio dei ministri non ha cambiato la normativa che governa le scommesse in sala. Gli scontrini rimangono anonimi e al portatore. L’unico limite è il tetto di vincita di 10mila euro. Ma non c’è niente che vieti ai giocatori di frazionare puntate e vincite in più scontrini, distribuiti su una o più agenzie. Il risultato è che, di fatto, le sale scommesse sono escluse dalle norme antiriciclaggio e possano essere usate per “lavare” centinaia di migliaia di euro al giorno senza che scommettitori o esercenti trasgrediscano alcuna norma (l’esercente ha l’obbligo di segnalare il gioco sospetto, ma la legge non specifica il significato del termine «sospetto»).
Una svista? «Su una questione come questa, con oltre 3,5 miliardi di euro in ballo, non possono esserci sviste. Si può solo condividere o meno le preoccupazioni sul rischio di riciclaggio» sostiene Fabrizio D’Aloia, presidente di Microgame Spa, principale provider di gioco online (che invece è nominativo e sotto obbligo di tracciabilità).
«Il Sole 24 Ore» ha effettivamente accertato che non c’è stata alcuna svista. Al contrario, i membri di due commissioni parlamentari alle quali era delegata la responsabilità di sviscerare il problema hanno ricevuto, in tre modalità e due occasioni, diverse segnalazioni tanto specifiche quanto allarmanti sul rischio di lasciare una falla normativa da miliardi di euro in un settore storicamente infiltrato dalla criminalità organizzata (il tema sarà al centro della seconda puntata della nostra inchiesta, che verrà pubblicata domani).
«Che le sale scommesse siano oggi la più grande lavanderia di denaro alla luce del sole, tra chi opera nel settore del gioco è un segreto di Pulcinella. Tutti sanno che è il miglior sistema per riciclare soldi sporchi senza correre praticamente alcun rischio» dice un imprenditore del settore che ha partecipato alla gara dei Monopoli di Stato sui punti scommesse e chiede l’anonimato.
«Poiché nelle sale scommesse il gioco è anonimo e al portatore, il rischio di riciclaggio di proventi illeciti è altissimo» conferma D’Aloia. La vulnerabilità normativa consiste proprio nella garanzia di anonimato offerta dalle sale scommesse. E con il bando del 2006, oltre al numero di agenzie si è moltiplicato anche il rischio che gli stessi gestori e non più solo i clienti siano collusi, o peggio organici a formazioni criminali. Il che vanifica l’unica argomentazione spendibile contro la regolamentazione del settore, e cioè che tale metodo di movimentazione del denaro sarebbe troppo dispersivo perché le cifre giocate con una singola scommessa sono relativamente basse. Quando si va a guardare il volume di talune agenzie si scoprono infatti cifre di tutto rispetto.
«Tutte le attività finanziarie, anche quelle di rilievo minore, sono sottoposte a vigilanza. Eccetto la rete dei punti di vendita a terra delle scommesse. Il che non può che renderla estremamente appetibile a chi ha interesse ad attività di riciclaggio» insiste l’avvocato Fernando Petrivelli, presidente di Sistel, l’associazione di categoria degli imprenditori del gioco telematico.

Un escamotage conveniente

Quello delle sale scommesse potrebbe essere non solo il metodo più sicuro per ripulire denaro sporco. Ma anche il più economico. «Il costo del riciclaggio del denaro varia, ma in media si stima intorno al 30%» spiega Donato Masciandaro, ordinario di regolamentazione finanziaria alla Bocconi, uno dei più attenti studiosi del fenomeno e membro della commissione istituita dal ministero dell’Economia il 3 aprile scorso, con il compito di procedere alla stesura di un testo unico delle disposizioni legislative antiriciclaggio.
Riciclare attraverso le scommesse può costare meno della metà della media. Ci sono infatti programmi di software che permettono a chi gioca di quantificare le cifre da scommettere sulle partite di calcio distribuendole tra 1, X e 2, in modo tale da non perdere più del 12% della cifra totale. E se a riciclare fosse lo stesso esercente che gestisce il punto vendita, il costo si ridurrebbe a un decimo di quello medio. «Essendo le quote stabilite dallo stesso gestore, si può tranquillamente fare in modo di vincere tanto quanto si gioca» spiega D’Aloia. A quel punto l’unico costo sarebbe dato dal 3% di tassazione sul volume giocato nelle scommesse singole.
«Già si sapeva di organizzazioni criminali interessate a biglietti o schedine vincenti. Nel 2003, a Locri, alcuni affiliati di un clan della ‘ndrangheta contattarono il titolare di un biglietto vincente del superenalotto per convincerlo a farsi corrispondere la somma vinta, pari a oltre otto milioni di euro, in cambio dello scontrino al fine di riciclare proventi del narcotraffico» ci dice un magistrato della direzione antimafia a cui abbiamo descritto il fenomeno. «Con le sale scommesse si fa però un enorme salto qualitativo. E quantitativo, essendo ormai le sale distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale».
È ovviamente impossibile stimare quanto dei circa 3,7 miliardi di euro giocati ogni anno entri nel circuito delle sale scommesse a scopi di “lavanderia”. «Come addetto ai lavori credo di avere il polso della situazione e mi sento di dire che la percentuale di denaro immesso per riciclare non è irrilevante. Se fosse anche solo il 10%, si parlerebbe di 370 milioni all’anno, ma secondo me è più del 10%» ci dice l’imprenditore anonimo. Forse è allarmismo. Ma quale altra attività finanziaria ha un giro d’affari in contanti di questa portata senza obblighi di tracciabilità? «Non mi risulta che in Italia ve ne sia alcuna» risponde il professor Masciandaro.

La ricca gara dei Monopoli

Una cosa è certa: alla gara per le agenzie scommesse non ippiche tenuta nel dicembre 2006 dai Monopoli di Stato hanno concorso soggetti che pur di aggiudicarsi un punto vendita erano pronti a pagare cifre inimmaginabili. «Sono arrivate offerte con cifre sproporzionate» conferma Fabio Felici, uno dei maggiori esperti del settore, direttore di Agicos, l’agenzia giornalistica specializzata nel settore del gioco.
«Il Sole 24 Ore» ha chiesto all’imprenditore che ha partecipato alla gara dei Monopoli di condurre un’analisi tecnica delle offerte più alte. Applicando la griglia parametrica da lui sviluppata per la gara, che prendeva in considerazione sia aspetti territoriali, quali il numero di abitanti o la loro propensione al gioco, che valutazioni sullo sviluppo del settore, l’imprenditore ha concluso che alcune offerte in città come Lecce, Palermo, Catania e Napoli o in piccoli comuni di quelle province erano prive di senso economico. «Con quei numeri e in quelle dislocazioni» conclude l’imprenditore, «la griglia parametrica dimostra che è impossibile rientrare con l’investimento».

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