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→  maggio 3, 2021


Presentazione del nuovo libro di Franco Debenedetti “Fare profitti. Etica dell’impresa”, che si è tenuta mercoledì 28 aprile alle ore 18:00 in collaborazione con Luiss Guido Carli.

Sono intervenuti con l’autore, Enrico Giovannini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Veronica De Romanis, Docente Politica Economica Europea, Stanford University di Firenze e Università Luiss Guido Carli, Marcello Messori, Professore di Economia, Università Luiss Guido Carli, Giovanni Orsina, Direttore Luiss School of Government, Paola Severino, Vice Presidente Università Luiss Guido Carli.

→  aprile 27, 2021


Dott. Franco Debenedetti, Lei è autore del libro Fare profitti. Etica dell’impresa edito da Marsilio: quali responsabilità hanno le imprese per i grandi problemi sistemici della nostra epoca?
Le imprese hanno una responsabilità che sovrasta tutte le altre. quella di fare ricchezza: è il compito che assegna loro la società, se non lo fanno loro, chi d’altro lo fa? Questo vale anche per i Paesi a cui arrivavano o argento dalle colonie, come fu la Spagna, o che estraggono il petrolio dal loro sottosuolo: consumano ricchezza, non la creano.
Nel farlo le imprese impiegano ricchezze finanziarie, risorse umane, consumano beni comuni. Sono quindi corresponsabili dei grandi problemi sistemici della nostra epoca, come lo sono tutti, dagli Stati alle persone.

Con differenze sostanziali. Gli Stati non dànno nessun contributo attivo alla soluzione, possono solo fissare obbiettivi, e sanzionare chi non li rispetta. Le famiglie possono contribuire modificando i propri consumi e le proprie abitudini individuali. Le imprese sono le sole che possono dare un contributo attivo e significativo: chi se no?

Quali sfide pongono alle imprese crisi ambientale e pandemia?
Come le imprese hanno la responsabilità di creare ricchezza, così compito dello Stato è garantire le condizioni perché possano farlo: fare leggi ed amministrare la giustizia perché il mercato sia libero e concorrenziale. Sono le condizioni necessarie per produrre innovazioni. Queste aumentano la produttività, che è la chiave della “Ricchezza delle Nazioni” come aveva già capito il padre della moderna teoria economica, Adam Smith. E rispondono alle sfide, come lei le chiama. Per quelle ambientali, per trovare fonti di energia non inquinanti e rinnovabili, per produrre i mezzi che le usino, per ricatturare parte del CO2 che è stato prodotto nei secoli passati. Quanto alla pandemia le imprese rispondono producendo oggetti che riducono la probabilità di infettarsi, proponendo servizi che consentano di individuare e di isolare chi potrebbe portare il contagio, sviluppando i vaccini per immunizzare la popolazione. Mi sembra che abbiano dimostrato di saperlo fare: non altrettanto si può dire della capacità degli Stati di usarli e di dispiegarli.

In cosa consiste un’etica per le imprese?
Come dice il titolo del mio libro, nel “Fare Profitti”, e come precisa il testo usando le parole di Milton Friedman, impegnandosi in concorrenza corretta, senza frodi, e rispettando le leggi, quelle scritte e quelle incorporate nei costumi etici.

Quale ruolo dunque per le imprese nella società?
Ripeto, producendo ricchezza e risolvendo i problemi man mano che essi si presentano. Ho risposto per quello che riguarda i due problemi che ci sovrastano, il cambiamento climatico e la pandemia. Per entrambi non ci sono solo le mosse difensive, inquinare di meno e vaccinarsi, ma anche quelle in positivo: penso al lavoro in remoto, che consente di risparmiare tempo, di inquinare di meno; ma anche alle possibilità di confrontare caratteristiche e prezzi di oggetti che possiamo comperare senza muoverci da casa. In entrambi i casi, non sostituendo integralmente, ma integrandosi con i metodi tradizionali di studiare, lavorare, acquistare.

Quali rischi per la democrazia nel monopolio dei giganti del Web?
Le imprese del web sono un pericolo quando sono possedute dai governi di Paesi dove non c’è democrazia. In quel caso forniscono i mezzi per sorvegliare i cittadini e per punire quelli che, potrebbero rappresentare un pericolo al potere. I giganti del web si sono conquistate posizioni di mercato molto importanti, ma sono in concorrenza tra di loro, anche da prima che fossero minacciate dalla Cina. Condivido tuttavia l’opinione di chi avrebbe preferito che non venisse concesso a Facebook di comperare Instagram: però capisco che i contatti di Facebook trovino molto comodo potersi scambiare fotografie senza bisogno di passare su un’alta piattaforma.

Certo, c’è il problema delle fake news e degli hate speach. Gli OTT continuano a fare investimenti in intelligenze, umane e artificiali, per riconoscerli e rimuoverli, mossi dalla paura del danno reputazionale che potrebbe derivargliene. Non c’è nessuna ragione che lo Stato potrebbe fare meglio, mentre sono evidenti i pericoli di avere Stati padroni della verità e col potere di censurare le opinioni. Guardiamo solo quanto è difficile giudicare le responsabilità per l’assalto al congresso che stava assegnando la vittoria a Joe Biden: e questo in una democrazia come quella americana.

In che modo il successo delle imprese può tradursi in benessere collettivo?
Intanto non è sempre chiaro e univoco in che cosa consista il benessere collettivo. È evidente che nella fornitura di servizi pubblici è meglio se lo Stato fissa le regole e controlla il privato che ha battuto i concorrenti nella gara per aggiudicarsene la fornitura per un tempo definito. Ma la stragrande maggioranza degli italiani ha votato NO al referendum per la possibilità di assegnare ai privati la fornitura di acqua potabile, e a Roma i cittadini hanno preferito che gli autobus continuassero ad esser gestiti dall’ATAC, non certo un modello di efficienza. Un’amministrazione pubblica viene votata in base a un insieme di giudizi: alcuni relativi ai servizi che usano (l’asilo per i bambini o le buche per le strade?) altre relative alle preferenze politiche. Le imprese ogni giorno rischiano la loro reputazione: rovinarla può equivalere a perdere l’azienda. Lo rischiò la Nike quando si venne a sapere che i palloni con cui giocavano i ragazzi americani erano cuciti da loro coetanei in Bangladesh, mantenuti in condizioni di semi-schiavitù. Il giudizio sulle capacità matematiche delle donne è costato il posto al preside di Harward; un’impresa accusata di discriminare per genere, colore della pelle, preferenze sessuali rischia il boycottaggio. Il politically correct arriva agli assurdi della cancel culture.

Benessere collettivo può anche essere la somma di interessi individuali, quelli che derivano dal sapere che i propri risparmi sono investiti in, e i relativi dividendi distribuiti da aziende che non praticano attività giudicate immorali, per alcuni vendere armi, per altri diffondere mezzi anticoncezionali, all’epoca della guerra del Vietnam produrre il defoliante Agent Orange. Anche così il successo, cioè i profitti delle imprese, si traducono in benessere collettivo.

→  aprile 20, 2021

Il primo incontro, martedì 20 aprile 2021 alle ore 15.00, del nuovo ciclo di “Incontri di Primavera” organizzato da Unione Industriale Torino, ha visto ospite Franco Debenedetti a colloquio con Elsa Fornero e Giorgio Barba Navaretti, i quali a partire dal nuovo libro pubblicato da Marsilio Editore “Fare profitti”, hanno discusso sul ruolo dell’impresa nella società. All’incontro è intervenuta anche Anna Ferrino, Vice Presidente Unione Industriale Torino, il tutto moderato dal giornalista de La Stampa Alessandro Barbera.

→  aprile 12, 2021


Andrea Cabrini intervista il presidente dell’Istituto Bruno Leoni Franco Debenedetti a Class CNBC Speciale

→  aprile 6, 2021


How Stakeholder Theory Undermines the Rule of Law



Samuel Gregg, 02 aprile 2021

Whenever I lecture about markets, wealth and poverty, I always make one point which invariably shocks students: if you want to understand why some countries have successfully transitioned from widespread poverty to material affluence, and others haven’t, the rule of law is far more important than democracy.
Part of the stunned reaction flows from the fact that the word “democracy” functions today as a synonym for everything nice and wonderful. Once, however, we get past the inevitable “Are you saying that you’re against democracy!?!” protestations, followed by my assurance that I favor liberal constitutionalism rooted in natural law premises (quite a few students pick up on the nuance), the more the students recognize that while things like universal suffrage have their own worth, they have little to do with economic growth per se. Moreover, as students grasp the meaning of rule of law, they gradually recognize how countries with similar starting points in terms of demographics, natural resources, geography, religion, culture, etc., can end up in very different economic places.

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Sorpresa: la finanza non puzza più. Vaccini, ripresa e sogni. Perché saranno le borse a salvare le economie mondiali



Claudio Cerasa, 07 aprile 2021

Lo vedi quando leggi i dati sull’economia, quando leggi i dati sulla crescita, quando leggi i dati delle borse, quando osservi Wall Street, quando osservi la Borsa italiana, quando osservi la Borsa europea, quando osservi le caratteristiche di chi riesce a scommettere sul futuro e di chi invece non riesce a fuggire dal presente. C’è un mondo a due velocità che si prepara ad affrontare le incredibili sfide della stagione post pandemica. Il primo mondo, che è il mondo della cosiddetta economia reale, è quello che soffre, è quello che arranca, è quello che fatica ed è quello che in prospettiva sembra avere maggiori difficoltà per rimettersi in carreggiata e recuperare il tempo perduto durante i mesi più tragici della pandemia. Il secondo mondo, che è il mondo della cosiddetta finanza, è un mondo che invece non soffre, non arranca, non fatica ed è il mondo che in prospettiva sembra avere maggiori possibilità per far tornare rapidamente in carreggiata le economie dei paesi più martoriati.

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Bentivogli: “Cdp troppo presente, lo Stato non è una banca”



Giuseppe Baselice, 05 giugno 2021

L’intervento dell’ex leader sindacale al Festival dell’Economia di Trento: “Abbiamo visto con l’IRI che con uno Stato imprenditore, l’impresa privata non cresce. Oggi il pubblico deve essere abilitatore, non attore”

I soldi del Recovery Plan serviranno a far ripartire l’economia, e in una prima fase (ancora pandemica) sembra necessaria e giusta una regia e anche una presenza dello Stato, attraverso forti investimenti pubblici soprattutto per le infrastrutture e le transizioni energetiche e digitali. Ma fino a che punto è pacifico che sia così, quanto potrà durare e con quali modalità? Di questo si parla al Festival dell’Economia di Trento, il cui titolo è appunto “Il ritorno dello Stato: imprese, comunità, istituzioni” (leggi l’intervista al direttore scientifico Tito Boeri). Partendo dagli spunti offerti dall’ultimo libro di Franco Debenedetti, “Fare profitti: Etica dell’impresa”, su questi temi è intervenuto anche l’ex leader sindacale e oggi politico di area riformista Marco Bentivogli, sottolineando la necessità di uno Stato che sia più “sollecitatore” e “abilitatore” che vero e proprio attore nel fare impresa.

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“L’innovazione nasce dagli insuccessi. Lo Stato cambi approccio”



Senio Carletti, 06 giugno 2021

L’innovazione viene dal saper approfittare dei propri insuccessi e in questo è radicalmente in conflitto con lo Stato, che per definizione non può sbagliare. Dunque, il ruolo dell’istituzione è lasciare che le aziende, a cui la società assegna il compito di produrre ricchezza, si orientino ai valori etici e siano premiate dai consumatori. E se c’è una sfera in cui proprio lo Stato può essere ‘suscitatore’ dell’innovazione, quello è la pubblica amministrazione. È la tesi di Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, espressa al Festival dell’Economia di Trento.

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“Business beware, ‘stakeholder’ capitalism is parasitic progressivism”



George F. Will, 22 giugno 2022

Semantic infiltration is the tactic by which political objectives are smuggled into discourse that is ostensibly, but not actually, politically neutral. People who adopt a political faction’s vocabulary also adopt — perhaps inadvertently, but inevitably — the faction’s agenda. So, everyone who values economic dynamism, and the freedom that enables this, should recoil from the toxic noun “stakeholder.”

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Umanesimo e impresa per la “civitas”. Ecco spiegata l’arte della mercatura.



Flavio Felice, 2 febbraio 2023

Con la pubblicazione del classico di Benedetto Cotrugli: Il libro dell’arte della mercatura, la biblioteca degli studiosi di scienze sociali si arricchisce di uno strumento prezioso e di rara bellezza. Composta nel 1458, l’opera rimase manoscritta per oltre cento anni. È giunta a noi tramite tre copie abbastanza discordanti tra loro; una prima conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, una seconda incompleta è nella biblioteca Marucelliana, sempre a Firenze, e una terza è quella trascritta da Marino Raffaelli nel 1475 e si trova presso la National Library della Valletta. L’edizione che qui presentiamo, impreziosita dall’introduzione di Marco Vitale e dagli scritti di Carlo Carraro, Tiziana Lippiello e Fabio L. Sattin, curata da Vera Ribaudo, consiste nella prima traduzione integrale in italiano moderno con testo originale a fronte.

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→  marzo 11, 2021


di Alessandro De Nicola

«The business of business is business » , con questa frase icastica il Nobel Milton Friedman riassunse la missione delle imprese: fare affari, punto e basta. Il libro Fare profitti. Etica dell’impresa di Franco Debenedetti, imprenditore, parlamentare per tre legislature e oggi presidente dell’Istituto Bruno Leoni, prende le mosse proprio dal famoso saggio di Friedman, pubblicato circa 50 anni fa il cui titolo era Le responsabilità sociale delle aziende consiste nel far crescere i profitti.

Debenedetti ricorda che i fautori della dottrina della Corporate Social Responsability sostengono che scopo dell’impresa sia di perseguire anche fini sociali, tal che i manager dovrebbe contemperare l’interesse degli azionisti (espresso dalla locuzione shareholder value) con quello di chi si trova in rapporto con la società, i cosiddetti stakeholders, ossia i dipendenti, i clienti, i fornitori, le comunità locali, la cittadinanza che ha diritto a un ambiente pulito, e così via.

Friedman replicò che il dovere dell’impresa era di produrre ricchezza e quindi profitti, “nel rispetto delle regole fondamentali della società, sia incorporate nelle sue leggi, sia dettate dai suoi costumi etici”. Rispettare le regole del gioco voleva altresì dire “entrare in concorrenza aperta e libera con gli altri soggetti presenti sul mercato, senza inganni o frodi”. Per l’economista fare diversamente avrebbe messo in condizione i manager di “tassare” i soci per perseguire le cause sociali preferite le cause sociali preferite o peggio quelle che avrebbero solo accresciuto il loro ego. Anzi, dovendo accontentare molti padroni e molte finalità, l’amministratore di società avrebbe sempre potuto dire che si era trovato costretto a sacrificare un obiettivo (lo shareholder value) per perseguirne un altro (il reddito del fornitore, la diversity, l’inclusione, il clima). In poche parole, non avrebbe più risposto a nessuno pur agendo con soldi altrui.

Inoltre, gli azionisti di una società sono portatori “residuali” di diritti, vale a dire sono soddisfatti solo dopo tutti gli altri stakeholder. Come nota Debenedetti, ai clienti (e ai fornitori) ci pensa la concorrenza (e i contratti); delle esternalità (l’inquinamento, la più importante) si occupano le norme e la regolazione; dei dipendenti si curano i sindacati e gli accordi individuali o collettivi. È per questo che gli amministratori hanno i cosiddetti “doveri fiduciari” nei confronti dei soci i quali, peraltro, sono coloro i quali li nominano.

Il libro passa in rassegna le critiche nel corso del tempo indirizzate a Friedman, ma alla fine non le trova convincenti. La giurista Lynn Stout, ad esempio, nega l’assunto che gli azionisti siano i proprietari della società e che quindi gli amministratori debbano curarne prioritariamente gli interessi. Ammesso che sia vero, l’obiezione è semplicissima: come si pensa di convincere gli investitori a metter soldi nelle imprese se ex ante sanno che la protezione dell’investimento non è prioritaria? Zingales, poi, riconosce la validità dello shareholer value di Friedman, ma in un contesto in cui non ci siano monopoli e le imprese non si diano a pratiche lobbystiche e quindi propone di instaurare dovrei fiduciari aggiuntivi per gli amministratori, rendendoli responsabili personalmente se l’impresa inquina, influenza i legislatori o abusa del potere di monopolio. Tuttavia, regole simili già esistono e, d’altronde, una necessariamente vaga “proibizione” alle imprese di “influenzare il processo legislativo” pone seri problemi di costituzionalità (per la corruzione c’è già il codice penale).

Il volume di Debenedetti ragiona sul come evitare che in nome di una piuttosto fumosa responsabilità sociale si creino commistioni inutili o dannose. Significative, a questo proposito, le pagine di critica all’intervento delle Banche Centrali nelle questioni climatiche. Il surriscaldamento terrestre è la sfida più importante dell’umanità e le imprese possono influenzare un percorso positivo, ma con che mandato e competenza lo farebbero le Banche Centrali? In conclusione, in questo saggio, in cui la teoria si intreccia all’attualità, domina preponderante il proverbio milanese “Ofelè fa el to mesté!”. Pasticciere, fa il tuo mestiere: se persino un torinese doc lo adotta, un motivo ci sarà.