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→  novembre 8, 2007

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Geronzi e i “piani alti”

C’é un problema Geronzi? Lo sostiene, senza punto interrogativo, “Report” di domenica scorsa. Secondo la sua conduttrice Milena Gabbanelli, dopo la condanna in primo grado per insider trading, con le nubi delle vicende legate al crac Cirio, da quanto emergerebbe da indagini interne sull’uso di fondi per iniziative promozionali, Cesare Geronzi non dovrebbe sedere sulla poltrona di Presidente del Comitato di Sorveglianza di Mediobanca.

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→  novembre 5, 2007

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Lettere a Corriere Economia

di Stefano Marchettini

Egregio direttore,

la ringrazio per lo spazio dato alle fondazioni di origine bancaria (fondazioni) sul Corriere Economia di lunedì 22 ottobre. Dal quadro tratteggiato emergono, come è giusto, oltre a valutazioni positive anche aree di possibile miglioramento, nonché interessanti quesiti sull’evoluzione futura del ruolo delle fondazioni; si tratta, in alcuni casi, di questioni a cui le stesse fondazioni cercano risposte.

Rispetto a questo quadro, vorrei però fare alcune precisazioni, in particolare in merito ad affermazioni di Debenedetti. Riguardo all’accusa di autoreferenzialità, ricordo che le fondazioni sottostanno alla vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che assicura il rispetto della legge e degli statuti, ma hanno piena autonomia statutaria e gestionale; inoltre la loro governance è periodicamente rinnovata in base alle indicazioni dei soggetti rappresentativi dei territori in cui operano. Quanto agli interventi delle fondazioni in Cassa Depositi e Prestiti e nel fondo F2i, essi rientrano appieno nelle loro finalità istituzionali, fra cui c’è la promozione dello sviluppo economico, e quindi la crescita delle infrastrutture:

Riguardo, poi, a presunte inefficienze delle fondazioni, queste sono state confutate dall’Acri oltre un anno fa, ma è opportuno ricordare alcuni dati. Nel 2006 gli oneri di gestione delle 88 fondazioni, al netto dei costi per la gestione del patrimonio, se rapportati alle erogazioni deliberate (1,52 miliardi di €), sono stati pari all’11,9%; il dato scende all’8,6% se si considerano le 18 fondazioni più grandi, il cui patrimonio medio di 2 miliardi di € è comunque pari a meno di un decimo del patrimonio della fondazione Gates. Nel 2006 la fondazione Gates ha effettuato erogazioni per 2,84 milioni di dollari, con spese (program and administrative expenses più parte delle direct charitable expenses) pari al 5,5% circa. Si tratta di differenze spiegabili con la diversa dimensione, fiscalità e struttura di governance (assai leggera pure rispetto ad altre fondazioni americane nel caso della fondazione Gates); conta anche che, mentre le fondazioni hanno vincoli di conservazione del patrimonio, dal 2006 la fondazione Gates è vincolata ad erogare in tempi rapidi l’ingente apporto di Warren Buffett.
Un’ultima notazione: Debenedetti propone un’idea rovesciata della sussidiarietà quando afferma che è mancato un progetto sistemico per far fare un passo indietro allo Stato nell’erogazione di alcuni servizi (al fine di ridurre spese e pressione fiscale). Certamente non è pensabile che le fondazioni, dato il loro ruolo e date le grandezze in gioco, possano, anche solo in parte, sostituirsi al pubblico nei loro settori di intervento, a partire dai due citati nell’intervista (istruzione e sanità).

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Ritorno al passato (con troppa fretta)
di Alberto Alessandri – Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2007

→  ottobre 31, 2007

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I PUNTI A FAVORE: Il progetto di legge mira a superare la normativa del 2002 che era sprovvista di razionalità – GLI ELEMENTI CRITICI: L’iniziativa ripristina vecchie impostazioni senza proporre una strategia di revisione complessiva

di Alberto Alessandri

Se si ricostruiscono gli articoli 2621 e 2622 del Codice civile con le modifiche che il Governo è intenzionato ad apportare, si ha la sensazione di un complessivo ritorno alle origini, a prima della riforma del 2002.
Nel Ddl del Governo di quell’intervento non è rimasto nulla. È sparita la degradazione a illecito contravvenzionale della fattispecie base prevista dall’articolo 2621, tanto teoricamente ingiustificabile quanto chiaramente spiegabile con una volontà di mascherata (ma non troppo) depenalizzazione sostanziale. È scomparsa l’altrettanto incomprensibile procedibilità a querela nella figura intermedia che poteva essere letta solo come strumento di ulteriore deflazione della punibilità. Ma, soprattutto, è scomparso il riferimento al danno patrimoniale, la cui assunzione a nocciolo duro dell’evento nella figura delittuosa costituiva il tratto distintivo della riforma: la trasformazione del falso in bilancio (e degli altri reati societari) da figura a tutela di interessi collettivi a presidio, parziale, degli interessi patrimoniali di soci e creditori (solo nel 2005 si sarebbe aggiunta anche la società). Il danno era la chiave di volta della frammentazione del falso in bilancio in tre ipotesi distinte e l’autogiustificazione della procedibilità a querela. La marcata patrimonializzazione costituiva la rampa d’accesso alle soglie quantitative. Se quel falso era solo un modo di aggressione al patrimonio, poteva aspirare a qualche comprensibilità che il legislatore ponesse limiti dimensionali, al di sotto dei quali non c’era un’offesa tale da legittimare l’intervento penale.
Gli interventi successivi, apportati con la legge 262/2005 (a tutela del risparmio) sono stati tanto maldestri quanto inefficaci. L’apoteosi della frammentazione, raggiunta con un falso in bilancio colpito, se inferiore alle soglie, con una sanzione amministrativa, tocca il culmine dell’inefficacia mediante l’impiego di “quote” che la legge prevede solo per le persone giuridiche e non per gli individui mentre le sanzioni amministrative accessorie colpiscono più duramente delle sanzioni per i falsi penalmente rilevanti.
La costruzione normativa era sprovvista di razionalità punitiva. Ancor meno tollerabile quando si mantengono elevatissimi livelli sanzionatori per la bancarotta e si insegue un facile successo popolare con inasprimenti draconiani in materia di abusi di mercato.
Il provvedimento del Governo riporta un minimo di equilibrio nel sistema, quasi che il pendolo, esaurita la sua spinta (maliziosamente: anche la sua efficacia?), si voglia che ritorni al suo vecchio punto di origine.
Tuttavia, così non è, poiché il pendolo torna più indietro dell’antico punto di partenza, indifferente alla storia. Si possono trascurare le scorie visibilmente dovute alla fretta. Si può anche tacere sull’aggravante specifica, costruita in termini inaccettabilmente generici e sulla grottesca formula dei «fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni».
C’è piuttosto da segnalare la volontà di inasprire la figura (al puro servizio della prescrizione) per le società quotate e, con approssimativo parallelismo, alle società soggette a revisione obbligatoria. Nella fretta demolitrice scompare anche l’intenzionalità del falso (mentre per i revisori si richiede che agiscano “consapevolmente”).
Possono apparire segnali di poco conto. Ma testimoniano, ancora una volta, la grave mancanza di una riflessione seriamente riformatrice.
Nessuno dovrebbe dimenticare, tanto meno il legislatore (anche se affannato), alcuni dati. Era diffusa l’opinione che il vecchio falso in bilancio fosse urgentemente da riformare, anche per le intollerabili deformazioni giurisprudenziali che aveva subito; che il primo passo in questa direzione fosse quello di conferire certezza alla fattispecie; che di conseguenza occorreva ritagliare con attenzione, guardando anche al versante civilistico, l’area di rischio penale, soprattutto all’interno dei Cda (l’intenzionalità voleva essere un argine per i consiglieri non operativi), a fronte di una giurisprudenza quasi totalmente insensibile alle trasformazioni dei flussi informativi nelle società; che si dovesse inquadrare la riforma in una revisione complessiva, indispensabile per una risposta sanzionatoria equilibrata e per evitare che l’intervento sui singoli tasselli aumentasse la pressione su aree più cedevoli.
Alla fine, nel progetto del Governo, l’unico filtro selettivo è affidato all’idoneità ingannatoria, elemento nel quale anche chi scrive aveva creduto, all’epoca della commissione Mirone. L’esperienza successiva ha affievolito quell’opinione, vista la polverizzazione che di quel requisito ha compiuto la giurisprudenza, mentre ha confermato che le riforme parziali sono un sacrificio rituale sull’altare del diritto penale simbolico, che si fa ornamento di riforme epocali e cucina in fretta modifiche di piccoli frammenti. Il quadro d’insieme continua a essere eluso.

Alberto Alessandri, Università Bocconi

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Le ragioni dell’Acri e Debenedetti
di Stefano Marchettini – Corriere Economia, 05 novembre 2007

→  ottobre 22, 2007

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L’economista: "Sono diventate stabilizzatori del capitale e fornitrici della patente di "privato"

Da lunga mano della politica a potere autonomo e autoreferenziale che la condiziona. Netta la critica dell’economista Franco Debenedetti che in Parlamento si era battuto affinché le Fondazioni uscissero definitivamente dal capitale delle banche, recidendo un cordone ombelicale «che risponde ad altre logiche, e non certo a quella di allargare l’area del non profit».

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→  ottobre 20, 2007

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Analisi

La cosa politicamente più rilevante della manifestazione di oggi a Roma sembra essere se parteciparvi o non parteciparvi. All’inizio la questione riguardava i membri del Governo e i leader della coalizione: i ministri no, i sottosegretari ni, i segretari dei partiti forse. Poi, con l’andar dei giorni il dilemma si è esteso ai singoli parlamentari, alle sigle sindacali, alle bandiere e perfino gli angoli della piazza in cui stazionare. Fino al “TRA di voi in piazza, ma non CON voi in piazza”, che candida il Ministro Ferrando (o per l’occasione solo Marco Ferrando?) al Nobel dell’ossimoro.

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→  ottobre 10, 2007

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Le sfide del PD

“Il PD, ha detto lunedì Walter Veltroni, dovrà elaborare una strategia di abbattimento del debito pubblico, non solo legata all’avanzo primario , ma a qualche manovra straordinaria che consenta di liberare risorse”. Alla vigilia delle votazioni che costituiscono l’atto di nascita del PD, il futuro segretario del nuovo partito stabilisce così uno stretto nesso tra il rinnovamento della politica italiana, che egli ha fiducia ne deriverà , e la liberazione del Paese da un vincolo, in cui individua la causa principale della mancanza di fiducia e del declino costante degli ultimi anni.

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