Precari, il grande equivoco

ottobre 20, 2007


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Analisi

La cosa politicamente più rilevante della manifestazione di oggi a Roma sembra essere se parteciparvi o non parteciparvi. All’inizio la questione riguardava i membri del Governo e i leader della coalizione: i ministri no, i sottosegretari ni, i segretari dei partiti forse. Poi, con l’andar dei giorni il dilemma si è esteso ai singoli parlamentari, alle sigle sindacali, alle bandiere e perfino gli angoli della piazza in cui stazionare. Fino al “TRA di voi in piazza, ma non CON voi in piazza”, che candida il Ministro Ferrando (o per l’occasione solo Marco Ferrando?) al Nobel dell’ossimoro.

Fin dall’inizio ho creduto che questa manifestazione fosse un gran bene. Le polemiche e lo sventagliarsi delle posizioni sul partecipare sì o no, hanno messo in luce come non mai la cifra politica di questo Governo, quella della coalizione che è stato necessario assemblare, e il costo politico delle mediazioni a cui è obbligato. Costi di tempo e di energie, costi di ambiguità, costi di compromessi. Non è questa la sede per analizzarli, ma non si può non ricordare almeno gli ultimissimi, quello su definizione e numero di precari, e quello- gravissimo- di aver indicato l’obbiettivo di pensioni pari al 60% dello stipendio. Un obbiettivo oggi, un “diritto” domani. E’ per la valutazione dei costi impliciti in questo modello che Veltroni fin dal suo primo discorso al Lingotto ha messo in chiaro che il modello politico del PD sarà quello di una coalizione formata su un programma e non, come è accaduto con l’Unione, il contrario. Si tratta di impegni della massima rilevanza per il futuro: e se la manifestazione contribuisce a metterli in luce, viva la manifestazione.

Il male sta nel significato delle parole: la parola “precario”; e la parola “diritto”, diritto al lavoro. Basta definire come “precaria” ogni condizione di lavoro non retta da un contratto a tempo indeterminato, e come “diritto” quello soggettivo, inderogabile ed immediatamente esigibile, e il gioco è fatto: ad ogni individuo spetta un contratto a tempo indeterminato, dall’inizio dell’età lavorativa alla pensione. Come farlo, è secondario: lo Stato ha il potere di fare la legge, lo Stato ha il potere di produrre gli effetti. E’ secondario che un siffatto progetto abbia incontrato –come dire?- qualche difficoltà anche nelle repubbliche dei soviet, sicchè neppure i più convinti partecipanti alla manifestazione ambirebbero a vedere soddisfatti i propri “diritti” in quel tipo di società.

L’uso ambiguo della parola “precario”, ha spinto qualcuno a vantare la partecipazione ideale del Papa alla manifestazione di oggi. Se precarietà significa insicurezza per il proprio presente e incertezza sul proprio futuro, si comprende la sollecitudine del Pontefice per una condizione che genera sofferenze, che impedisce lo sviluppo dell’individuo e della famiglia, dunque “una mina per la società”. Non diversamente, vien da aggiungere, da come era (è) il lavoro ripetitivo e alienante, seppure “protetto” dal contratto a tempo indeterminato. Dal punto di vista degli economisti questo “precariato” non promuove investimenti in capitale umano, impiega in modo non ottimale le risorse: il sistema economico che vi ricorre sistematicamente denuncia specializzazioni arretrate e organizzazioni inefficienti. Un problema reale, quindi, anche se i numeri dei precari, già di per sé non diversi da quelli di altri Paesi europei, si riducono ancora quando si sottraggano quanti stanno acquisendo le competenze iniziali , e quanti, già forti di competenze proprie, trovano nei contratti a tempo determinato possibilità di maggiori soddisfazione e vantaggio personale.

L’uso ambiguo della parola “diritto” fa pensare che il problema si risolva con i divieti: invece gli irrigidimenti del quadro legale e delle aspettative individuali rendono più difficile la soluzione, danneggiando proprio coloro che a parole si vorrebbe proteggere. Sono le flessibilizzazioni delle leggi Treu e Biagi ad aver prodotto un grande aumento dei posti di lavoro, la maggioranza dei quali si è risolta in contratti a tempo indeterminato: ecco il modo di “dare valore al lavoro”, come recita il titolo del convegno organizzato dalla Fondazione “Difendiamo la legge Biagi”, che si tiene in concomitanza con la manifestazione di Piazza San Giovanni. E’ anche l’occasione per riprendere il tema della rigidità in uscita, ancorato all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Da un po’ si è smesso di parlarne. Ma una norma di legge che non consente ad un imprenditore di conoscere in anticipo il costo economico di un investimento non riuscito, o di un ciclo economico negativo, produce un di più di riluttanza al ricorso al contratto a tempo indeterminato, agisce da freno alle iniziative, è un potente ostacolo allo sviluppo dell’occupazione e dell’economia.

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