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→  agosto 31, 2008

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I rischi di Tremonti Andrebbe ridisegnato il welfare da cima a fondo. In Italia ancora troppa protezione verso i soggetti forti

Giulio Tremonti ha annunciato per l’autunno un’ampia discussione sull’economia sociale di mercato. Poichè questa espressione ha subito negli anni mutazioni e perfino metamorfosi, c’è da chiedersi che cosa con essa si intenda, oggi, in Italia.

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→  agosto 22, 2008

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di Mariastella Gelmini

Caro direttore Giusto e ingeneroso. Così mi appare l’editoriale di ieri di Ernesto Galli Della Loggia sulla scuola italiana e la sua crisi. Giusto nell’analisi sulla condizione della scuola di oggi, nel cogliere la sua «perdita di senso». Dal 1968 a oggi la scuola è diventata quello che non può e non deve essere: un ammortizzatore sociale, una macchina erogatrice di stipendi per giunta inadeguati per gli insegnanti. Una tipografia di diplomi inutili e inutilizzabili per gli studenti. Un mostro burocratico produttore di normative e circolari che si contraddicono l’una con l’altra. In quarant’anni di ideologia «politicamente corretta», di dominio ideologico della sinistra, la scuola è diventato tutto questo e ha perso il senso della sua missione: la formazione culturale e professionale dei giovani e, insieme, la costruzione del futuro di una nazione. Galli della Loggia è però ingeneroso quando accusa il governo di considerare la scuola niente più che un inutile costo da tagliare. Da quando ho assunto la responsabilità di ministro ho avanzato alcune proposte per cambiare uno stato di cose non più tollerabile. Voglio ricordarne alcune. Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell’educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave della scuola che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana. Idee che anche il ministro Tremonti ha esposto in una recente intervista. Tutto questo passa per un’indispensabile e difficile ristrutturazione della scuola, di cui il governo, e in particolare chi scrive, si sono assunti la responsabilità.

Ho condiviso finalità e misure della manovra economica del governo per i prossimi tre anni, oggi legge dello Stato; quella manovra prevede di ridurre il numero degli insegnanti e del personale ausiliario di meno del 10% entro il 2011. In un Paese che ha oggi il più elevato numero di addetti della scuola ben un milione e 300mila in rapporto al numero degli studenti, è la prima cosa da fare per riorganizzare la scuola. Non possiamo pensare di cambiare fino a quando ci rassegneremo all’idea che il 97% delle risorse destinate alla scuola serve a pagare stipendi bassi e appiattiti. Inoltre abbiamo introdotto un principio nuovo e virtuoso: un terzo dei risparmi sarà destinato a investimenti per migliorare la scuola, per cominciare a spargere i semi del merito e dare un senso alla parola autonomia. Sta in queste considerazioni la nostra visione di una scuola che riconquisti il senso della sua missione, che restituisca al futuro la parola speranza, che rimetta al centro il merito e la responsabilità. Nella mia audizione alle commissioni parlamentari ho parlato della necessità di tornare alla «quarta I» di italiano, intesa come letteratura, storia, tradizione, cultura. Noi vogliamo una scuola che insegni a leggere, scrivere e far di conto. Una scuola in cui si torni a leggere I Promessi Sposi e dove non si dica più che lo studente dovrà «padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti». Ringrazio Galli della Loggia per avermi riconosciuto buona volontà, e nel ringraziarlo gli chiedo di riconoscere a me, a tutto il governo e alla maggioranza una visione, una cultura, un’idea dell’Italia e del suo futuro, e, insieme, un progetto per la scuola italiana. Un progetto che, non mi stancherò mai di ripeterlo, è aperto a tutti i contributi e vorrei vedesse tutti i protagonisti della scuola studenti, insegnanti, famiglie consapevoli del fatto che è impossibile difendere lo status quo e partecipi di un corale impegno, un impegno nazionale, per restituire alla scuola il senso della sua missione, ministro dell’Istruzione

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di Ernesto Galli Della Loggia – Il Corriere della Sera, 21 agosto 20088

Il passato e il buon senso
di Giulio Tremonti – Il Corriere della Sera, 22 agosto 20088

UK schools need Swedish lessons
Financial Times, 14 agosto 20088

→  aprile 2, 2008

La crisi dei mercati finanziari – Il ruolo della politica

Massimo D’Alema
Matteo Colaninno
Marco Onado
Milano, Palazzo Clerici – 2 aprile 2008

Intervento di Franco Debenedetti

Alcuni giorni fa leggo su Repubblica online: Il PIL italiano dimezzato. Ho avuto un soprassalto, un calo del 50% del PIL non è neppure da paese africano. Telefono e faccio correggere. Il clima creato dai catastrofisti, accorsi come mosche sul miele della crisi subprime, aveva colpito ancora.

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→  marzo 28, 2008

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Analisi. Il dibattito sul protezionismo

Papa Paolo III Farnese scomunicava tutti quelli che comperavano allume che non proveniva da Allumiere. Voleva proteggere non la fede dei bravi cristiani, ma i proventi delle sue cave, scoperte da Giovanni di Castro nel 1460 sui Monti della Tolfa, e di cui nel 1500 diede l’appalto ad Agostino Chigi. Noi ricordiamo l’allume dei bastoncini emostatici che usavamo quando ci si tagliava radendosi: ma a quei tempi era indispensabile nella tintura di tessuti e pelli. L’appalto di quella materia prima ricercata fece ricchi, oltre ai Chigi, i Medici e i Grimaldi. E i papi.

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→  marzo 26, 2008

corrieredellasera_logoCosa insegna il caso AUDI

di Massimo Mucchetti

Da sei mesi in qua accadono fatti curiosi. A Londra, la Bank of England nazionalizza la Northern Rock dopo averle prestato risorse ingenti senza le usuali garanzie. A New York, la Federal Reserve assicura con risorse pubbliche il salvataggio della banca d’investimento Bear Stearns a opera della JP Morgan per evitare che la sua insolvenza mandi a picco altre banche sue controparti. A Detroit, la General Motors e la Ford licenziano operai e impiegati con salari alti e protezioni pensionistiche e sanitarie per sostituirli con giovani pagati la metà e senza corporate welfare. In Germania, l’Audi dà un bonus di 5.700 euro ai dipendenti, e non è la sola grande impresa a farlo. Sono episodi legati a circostanze specifiche, ma riletti in sequenza sembrano declinare la crisi dell’arciliberismo. Nel suo «Supercapitalism», che l’editore Fazi sta traducendo per l’Italia, Robert Reich, già ministro del Lavoro nella prima presidenza Clinton, sostiene che la supremazia del consumatore finisce per mettere in crisi il cittadino. La concorrenza senza vincoli determina la ritirata del diritto, figlio della politica, a favore di una contrattazione sempre più parcellizzata, nella quale prevale il più forte e la rappresentanza del lavoro dipendente viene sopportata come un cartello residuale. Nella pubblica amministrazione e nei monopoli, in effetti, gli insiders costituiscono spesso corporazioni di fatto. Ma nei settori esposti alla concorrenza gli interessi delle persone si manifestano diversamente. La ristrutturazione dell’industria automobilistica americana è l’esempio classico di quanto costi l’ aumento della concorrenza derivante dalla globalizzazione. E di come questo prezzo venga caricato sulle spalle di lavoratori che credevano di far parte della classe media, architrave delle democrazie. Detroit fa emergere le schizofrenie del cittadino lavoratore. Come produttore, questo cittadino cerca il salario migliore. Come sottoscrittore del fondo pensione, può aver interesse al licenziamento di altri produttori se così salgono le quotazioni dei titoli nei quali il fondo investe per pagargli la pensione domani. Come consumatore, desidera merci e servizi ai prezzi più convenienti, ma non avrà nessuna soddisfazione a vedere scaffali pieni e auto coreane a buon mercato se non ce la fa più a star dietro alle offerte perché, come scrive Reich, al netto dell’inflazione prende la stessa paga oraria di trent’anni prima, ha già rinunciato a 15 giorni di vacanza per arrotondare, la moglie lavora, ha il mutuo, la casa in pegno alla banca, e magari teme pure di perdere il posto. La nuova popolarità del protezionismo non deriva da un errore della storia, ma dai limiti di quello che Giulio Tremonti chiama mercatismo.

Può essere che anche in Italia i dazi, ancorché calibrati, difendano la manifattura di 5 anni fa e non quella attuale che ha imparato a fare i conti con la Cina. Può essere che l’invocazione di un governo sovranazionale della globalizzazione suoni meglio se fatta da un euroentusiasta anziché da un euroscettico. Può essere tutto. Ma può bastare la pedagogia liberista o non serve invece una politica che ricomponga l’Io diviso del cittadino nell’ età della globalizzazione? Chi è sensibile alle sofferenze del mondo può accettare sacrifici, meglio se provvisori, quando l’ apertura dei mercati e le nuove tecnologie offrano occasioni di riscatto a centinaia di milioni di persone. Ma è difficile imporre un prezzo se non è ben ripartito. Negli Usa dove la religione del Pil si è celebrata anche sull’ altare dei subprime, la disuguaglianza è a livelli record. Nell’ Italia della crescita stenta, come la definisce Draghi, i salari restano al palo, mentre i guadagni di top manager e capitalisti volano. Si dice sia il mercato dei migliori, ma forse è soltanto il circolo collusivo al vertice della piramide sociale. E’ in tale contesto che si scopre il vero volto della più globalizzata delle attività economiche, quella bancario-finanziaria: non è la più concorrenziale, e nemmeno la meglio organizzata come si è raccontato fin qui per giustificare i fasti della sua gerenza, ma la più protetta perché non corre il rischio di fallire. E perché a pagare il conto sono i contribuenti, i dipendenti e i soci (fra cui i fondi pensione), assai meno il vertice che conserva retribuzioni, vecchie stock options, consulenze e commissioni fondate su gestioni di cui ora pagano il fio soprattutto gli altri. Se l’ economia in generale rischia una selezione rovesciata con il protezionismo, lasciar fare al capitalismo finanziario e abbandonare a se stesso il lavoro minaccia la coesione della società. Le soluzioni non sono facili per nessuno. Ma, in fondo, il caso Audi qualcosa insegna. La società tedesca paga un premio ai dipendenti per due buone ragioni. La prima è perché guadagna bene grazie ad automobili eccellenti prodotte in modo efficiente, segno di un sistema che sa rinnovare la propria vocazione industriale anche per effetto delle politiche pubbliche. La seconda è perché nel consiglio di sorveglianza dell’ Audi siedono i rappresentanti dei lavoratori: non perché abbiano investito nelle azioni della ditta, ma perché lo stabilisce la legge. Quando Nicolas Sarkozy auspica l’ equa tripartizione del valore aggiunto tra capitale, lavoro e fisco dimostra che anche per un francese di destra la sfida della cittadinanza passa attraverso un’ inversione di tendenza nella redistribuzione. L’ Audi aggiunge che la redistribuzione è tanto più solida quanto più potere e responsabilità sono condivisi per decisione democratica dei cittadini.

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di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2008

→  marzo 5, 2008

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Le Cassandre e la politica

I MUTUI
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