Intervista a Franco Debenedetti
di Rodolfo Parietti
Qualche tempo fa, con l’abituale gusto per la facezia, aveva scritto: «È più vantaggioso essere pessimisti che ottimisti». Eppure, l’ingegner Franco Debenedetti, classe 1933, ex senatore dell’Ulivo per tre legislature, ci tiene a mettere nella giusta prospettiva le stime della Commissione europea sull’asfittica crescita italiana. Per il semplice fatto, dice, «che non c’è nulla di nuovo. È da 10 anni che il nostro Paese è costantemente al di sotto del tasso di sviluppo europeo».
Allora, Ingegnere, più che alla decelerazione della produzione industriale e alla stasi della domanda interna, dobbiamo risalire a cause strutturali…
«Non sono un declinista, ma è impossibile non constatare che l’Italia, ha perso il passo con il resto d’Europa. Il problema, dunque, è molto più grave. I motivi? La spesa pubblica, il nodo irrisolto del Meridione, lo scarso livello di concorrenza e le mancate liberalizzazioni, la solita litania. Le liberalizzazioni non le ha fatte il centro-destra, ne ha fatte poche l’ultimo centro-sinistra. E quando parlo di liberalizzazione non mi riferisco solo alla vendita di beni pubblici, ma a un cambio di mentalità, rimettere al centro la cultura del merito, a cominciare dalla Pubblica amministrazione».
I progetti di liberalizzazione sono però spesso stati accompagnati da un’alzata di scudi corporativi: come se ne esce?
«È ovvio che gli interessi corporativi oppongano resistenza: ma la politica si misura sulla capacità di superarle, ispirando fiducia, indicando un orizzonte in cui la gente possa credere».
La decelerazione del Pil pone problemi di riequilibrio dei conti pubblici, se è vero che a un calo dell’1% della crescita corrisponde un aumento dello 0,5% del deficit pubblico. Come si concilia questo scenario con i propositi di riduzione delle tasse manifestati dal centro-destra e dal centro-sinistra?
«Alla bassa crescita bisognerebbe reagire tagliando le tasse. Ma noi abbiamo vincoli con Bruxelles da rispettare, e la procedura d’infrazione nei nostri confronti per disavanzo eccessivo è stata appena ritirata. La soluzione non sta certo anche nella caccia agli evasori, ma il grosso deve venire dal taglio alla spesa, da un recupero di efficienza della Pubblica amministrazione. L’Italia ha il doppio delle guardie carcerarie per recluso in rapporto agli altri Paesi europei: è solo un piccolo esempio, ma significativo dell’ipertrofìa della macchina pubblica. Ora, è necessario affrontare questo nodo con ben altro piglio rispetto a quanto è stato fatto finora».
Dunque nutre qualche dubbio sulla validità delle ricette economiche del suo amico Veltroni?
«Dico solo: le risorse per abbassare le tasse, dove le troviamo? Chi governerà, dovrà fare delle scelte: sul lato delle entrate, ma soprattutto su quello delle spese. Ho già avuto modo di criticare la proposta di un salario minimo di 1.000 euro: non serve, non spetta al governo fissare i salari».
Meglio allora la ricetta della Confindustria?
«Come l’idea di detassare i premi di produttività? Sembra una buona idea, ma introduce ulteriori discontinuità, lo credo che sono necessari interventi più generali».
Ingegnere, intende ricandidarsi per il Senato?
«Ho già tre legislature alle spalle, e le regole sono regole. Però, confesso che non essere stato ricandidato nel 2006 mi è dispiaciuto: è stata una legislatura di trincea, ma l’avrei fatta volentieri».
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febbraio 22, 2008