Referendum, un guaio se vince il no

giugno 13, 2006


Pubblicato In: Varie


Il ds Debenedetti: “L’Unione non troverebbe l’accordo su un’ampia riforma”

ROMA — Indipendente nei giudizi, l’ex senatore diessino Franco Debenedetti lo è sempre stato. Ma ora che è libero da responsabilità politiche dirette e che è “solo” un intellettuale di cultura riformista, può permettersi il lusso di cantare fuori dal coro su un tema ad alto potenziale politico come quello del referendum.

Debenedetti, come voterà?
«Non ho ancora deciso, ci sto riflettendo».

Un modo per dire che voterà Sì?
«Non incominci a spingere. Ho sottoscritto l’appello del costituzionalista Augusto Barbera a favore del No come condizione affinché riprenda il dialogo…».

Oggi, invece?
«Da molto tempo ho presente i pericoli di un’eventuale vittoria dei No. Quando lo scrissi, pensavo soprattutto ai pericoli per il centrosinistra».

Ossia?
«E’ emerso ultimamente un fatto nuovo: non solo tra quelli che chiedono di votare no, ma nella destra che chiede di votare sì, leader politici di prima fila affermano che la Costituzione andrà riformata in ogni caso. La volontà riformatrice è diventata indipendente dal risultato del referendum. Una convergenza paradossale. Di cui trarre vantaggio..».

Il politologo Sartori sostiene che se vincesse il sì, non si potrebbe più cambiare una costituzione approvata dalla maggioranza.
«Anche la Costituzione del 2001 era stata confermata dal referendum, eppure il Polo l’ha cambiata. Invece io temo, che, in caso di vittoria dei No, il ventaglio delle proposte riformatrici diventi talmente ampio da provocare lacerazioni all’interno del centrosinistra».

Con conseguente addio alla riforma.
«Con conseguente impossibilità di mantenere l’impegno scritto nel programma e ribadito da Fassino ancora pochi giorni fa, di fare una riforma con un consenso che vada oltre quello del centrosinistra. ».

Dunque, voterà Sì?
«E dagli a spingere. Io dico un’altra cosa: che più importante del risultato è depotenziare il referendum, disinnescarne la carica di contrapposizione politica».

Ossia?
«Bisogna che, quale che sia il risultato, nessuna delle due parti lo possa considerare come una vittoria. La riforma che si farà, questa sarà la vittoria: per il Paese».

Berlusconi sembra aver corretto il tiro.
«Ah sì? Forse ero distratto, meglio così. Bisogna che la destra non lo consideri occasione per una rivincita politica, e il centrosinistra non lo veda come l’occasione per posizionarsi tatticamente meglio al tavolo delle trattative. ».

Berlusconi a parte, se la riforma fosse approvata sarebbe una cosa altrettanto buona?
«Ripeto ancora una volta: il male o il bene viene dopo. Al massimo si può sostenere che, se vincesse il sì, il ventaglio dei possibili interventi correttivi sarebbe meno ampio, e forse sarebbe più facile trovare un punto di convergenza..».

…e pertanto sarebbe più probabile l’intesa tra le forze politiche.
«A rigor di logica sì. Ma non sempre vince la logica.».

Referendum a parte, si aspettava una partenza così accidentata del governo?
«Si direbbe che questo Governo non possa godere del classico periodo di “luna di miele”. Ad essere generosi, diciamo che il Governo attraversa una fase di assestamento».

Ad essere generosi…
«Sì, insomma, c’è da sperare che questa sia stata finora una sorta di prova d’orchestra in cui ciascun ministro sta accordando il proprio strumento».

Crede che riusciranno a suonare un unico spartito?
«Sì, se l’obbiettivo di governare bene il Paese, di trasformarlo dandogli le riforme di cui ha bisogno, non verrà sentito come un tradimento della propria identità politica. Se invece pensano di suonare uno spartito dodecafonico, credo che il Paese non riuscirà a capirli».

intervista di Andrea Cangini
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