Per liberalizzare la tv, sottrarre la Rai alla politica

aprile 6, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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DAY AFTER 1 – Che cosa fare sul mercato radiotelevisivo

La Gasparri ha scelto di abbassare le barriere d’ingresso. Oggi sono entrati nuovi attori e sono aumentate le regole antitrust. Adesso si tratta di completare il processo e migliorare la legge.

Davvero è da buttar via per ricominciare daccapo? Si parla della Gasparri, la legge 112/04 per il riassetto del sistema radiotelevisivo, rispetto alla quale alcuni nel centrosinistra hanno manifestato propositi demolitori.

Meglio sarebbe adottare anche qui la “sfiducia costruttiva”: indicare prima le parti da cambiare, e decidere in seguito se vale la pena scrivere da zero un altro capitolo a una storia tormentata, sotto tutti i climi politici che si sono succeduti dal 1976 ad oggi.

Il sistema televisivo non è solo il terreno di scontro sulla par condicio: è un settore industriale cruciale, per la cultura, la tecnologia, la crescita del mercato interno. L’obbiettivo primario del legislatore deve essere promuoverne lo sviluppo e inoltre (ma il liberista dice “quindi”) garantire condizioni di concorrenza. Proprio in tema di concorrenza la Gasparri ha collezionato le maggiori critiche: da qui converrà iniziare.

L’antitrust.
Ci sono due modi per superare l’oligopolio RAI Mediaset. Quello di decontrentrare ciò che esiste è stato proposto molte volte ma mai realizzato: né le delibere della Corte Costituzionale, né i Governi dell’Ulivo, né le proposte di “disarmo bilanciato” sono riuscite a svellere Rete 4 e RAI3 da dove stanno. E quello di facilitare l’ingresso di nuovi entranti: è la scelta che fa la Gasparri, in continuità con la Maccanico. Una scelta oggi ancor più logica, alla luce degli sviluppi tecnologici: il digitale terrestre, la TV su Internet via ADSL, quella sui telefoni cellulari, il diffondersi di fibra ottica e satellite.

Dato che di concorrenza si parla, è logico usare i criteri dell’analisi concorrenziale e affidare a un’Autorità il compito di accertarli e di farli rispettare. E’ quello che fa la Gasparri definendo (art.14): chi ha la responsabilità di provvedervi (l’Autorità di Garanzia per le comunicazioni, AGCom); che cosa deve fare ( individuare i mercati rilevanti usando i metodi della concorrenza stabiliti dalla direttiva comunitaria); su che cosa deve vigilare ( il costituirsi di posizioni dominanti in ciascuno dei mercati e nel loro insieme); di quali strumenti sanzionatori dispone (fino a imporre la dismissione di aziende o di rami di azienda).
Questa è l’architrave della difesa delle concorrenza. C’è però anche l’eventualità che si crei una posizione globalmente troppo potente mettendo insieme posizioni singolarmente non dominanti in una serie di mercati. Per comprendere tutte le relazioni possibili, la Gasparri definisce questo mercato globale in modo amplissimo, e pone il limite del 20% sul totale delle risorse. E’ il famigerato SIC, bestia nera di chi vi vede lo strumento per consentire a Mediaset di espandersi anche acquistando un’importante catena editoriale.

Che cosa modificare? Il criterio delle posizioni dominanti nei mercati rilevanti è quanto di meglio si è finora visto in materia, è in linea con le disposizioni comunitarie: è assolutamente da tenere. Quanto al SIC, conviene lasciarlo cadere in quanto pleonastico: l’AGCom è libera nello scegliere lei i mercati rilevanti (potrebbe considerare rilevante l’insieme di mercati contigui, come quello che comprende giornali e TV), ed è tenuta a farlo (comma 2 art. 14) anche “su segnalazione di chi vi abbia interesse”.

I paletti antitrust piantati dalla Gasparri hanno incominciato a funzionare subito. Per la prima volta è stato decretato (Febbraio 2005) che Publitalia si trova nella condizione di significativo potere di mercato così come definito dal nuovo quadro comunitario, avendo la possibilità di attuare comportamenti indipendenti dai concorrenti e dai clienti.. L’Autorità ha avviato (Marzo 2006)una consultazione pubblica per valutare se c’è significativo potere di mercato per le imprese operanti nel mercato della diffusione radiotelevisiva (mercato n. 18 fra quelli identificati dalla raccomandazione 311/03/CE).

Lo sviluppo.
Prima della Gasparri c’erano solo RAI e Mediaset. Telecom era in difficoltà, Sky in bilico. Oggi abbiamo Rete A del Gruppo Espresso, Prima TV di Tarak ben Ammar, i cinesi della 3. La7 è la televisione con maggiore crescita. Più di 4 milioni di famiglie hanno il decoder del digitale terrestre. Sky raggiungerà 3,9 milioni di abbonati entro giugno. Fastweb può servire un bacino di 10 milioni di clienti, ne aveva 714.000 a Dicembre, di cui il 30% acquistavano anche servizi TV. Quanto alla, Telecom conta di offrire la TV su Internet in 250 città per una popolazione di 8 milioni di famiglie, e di raggiungere 200.000 abbonati entro il primo anno. I cellulari con TV erano 2,3 milioni a maggio 2005.
Televisioni locali, Telelombardia in primis, grazie alle syndication consentite dalla Gasparri, stanno diventando reti nazionali. Le penetrazione delle “altre Tv” in 4 anni è passata dal 9,7% al 14,7%. Il mondo effettivamente sta cambiando.

Alla Gasparri si fa carico di avere deliberatamente fatto in modo che l’oligopolio RAI Mediaset nell’analogico si perpetuasse nel digitale, per giunta continuando a pagare canoni irrisori per l’uso delle frequenze, anziché mettere all’asta le frequenze come era stato fatto per l’UMTS.

C’è da dire che sarebbe ben strano impedire agli operatori della TV analogica di muoversi per primi nel digitale. A nessuno sarebbe venuto in mente di impedire a Stet di farsi una rete GSM (digitale) dato che era monopolista nel TACS (analogico). Reti e frequenze sono sempre state considerate una cosa sola, da quando nel 1976 è iniziata la liberalizzazione della TV: la Mondadori di Formenton vendendo Retequattro o Rusconi vendendo Italia1 incamerarono la somma intera, senza nulla pagare allo Stato.

Ma è poi praticabile un’asta per le frequenze? Mentre il nuovo concessionario di un acquedotto può subentrare al vecchio rilevando i tubi dell’acqua, e un nuovo concessionario di trasporti urbani rilevando il parco autobus, comperare le frequenze su cui trasmettono RAI1 o Canale5 equivale in tutto e per tutto a comperare le emittenti stesse. Il valore di RAI1 o di Canale5 è essenzialmente il marchio, la posizione sul telecomando. Se proprietà di frequenze e di canali sono inscindibili di fatto, tanto varrebbe che lo fossero anche di diritto, lasciando che le frequenze si scambino su un mercato secondario. (Dal Nobel Coase sappiamo anche che questa è la soluzione più efficiente).

Si potrebbe imporre a RAI e Mediaset di restituire le frequenze che non servono a trasmettere i programmi attuali dell’analogico, e assegnarle a terzi mediante asta. La Gasparri invece mantiene l’obbligo agli operatori dominanti di riservare ai terzi il 40% della nuova capacità trasmissiva. (La Maccanico lo prevedeva per la fase sperimentale, l’AGCom l’ha reso permanente). Tra favorire il pluralismo abbassando le barriere d’ingresso ai nuovi entranti, e massimizzare i ricavi per lo Stato, la Gasparri opta per la prima opzione. Ed è questo obbiettivo “repubblicano” che giustifica anche i 220 milioni di € spesi per incentivare l’acquisto dei decoder per il digitale terrestre, che pure Sky non a torto considera una distorsione della concorrenza.

Il risultato? I multiplex esistenti ( i due ciascuno di RAI, Mediaset, Telecom, più quello dell’Espresso e di Prima TV) hanno aggiunto canali propri, hanno aperto a terze parti, ma, a parte i programmi premium ( Partite di calcio, reality show) non sembra ci sia la corsa a utilizzare questa nuova possibilità. L’incertezza sulla stabilità del quadro normativo non favorisce gli investimenti.

Il nodo RAI.
L’ingresso di nuovi attori, il moltiplicarsi dell’offerta, il favore per nuove modalità di pagamento delle prestazioni, la concorrenza per i contenuti premium: in questo mondo la presenza di un’impresa pubblica è sempre più anomala, la RAI rischia di perdere valore.

La Gasparri consente, dal 1° Gennaio 2006, la cessione di rami d’azienda, dunque anche di una o più reti. Prevede di “avviare il procedimento per l’alienazione della partecipazione dello Stato in RAI” ponendo però il vincolo del possesso dell’1% massimo, e vietando patti di sindacati e di voto eccedenti il 2%, chiedendo che tale norme , siano di diritto inserite nello statuto della società, non modificabili ed efficaci senza limite di tempo. Se si decidesse di migliorare la Gasparri, inizierei dal comma 5 dell’art. 21: cancellandolo.

Con le sue regole antitrust, con il riferimento a criteri generali, con la loro applicazione demandata a un’Autorità indipendente, la Gasparri ha sottratto alla politica la regolazione del settore. Alla sua completa liberalizzazione manca solo una cosa: sottrarre anche la Rai alla politica, e ai partii che ne sono la concreta espressione.

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