Ma ce la può fare questo centrosinistra a scegliere competizione e meritocrazia?

dicembre 16, 2004


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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Il saggio di Salvati è bellissimo, però propongo un finale diverso dedicato a Romano Prodi

Per aver scritto che il premio al merito è un valore della sinistra, perché il merito è il motore dell’ascensore sociale (Corriere della Sera “Tasse, prendiamo Berlusconi sul serio o non lo batteremo”, 2 dicembre 2004) mi sono preso la reazione scandalizzata di un amico giornalista, certo non di centrosinistra, secondo cui il merito mai e poi mai è stato una categoria della sinistra. E quella di riprovazione di un altro amico giornalista, questo decisamente di sinistra, secondo cui il merito non deve essere una categoria della sinistra, anche per evitare di rincorrere l’ideologia berlusconiana.(Per la cronaca dirò che, a giudicare dai commenti, nessun mio articolo è riuscito a determinare tanti consensi per il centrosinistra).

L’episodio mi tornava alla mente leggendo Michele Salvati: “Il nostro paese ha bisogno di una terapia competitiva protratta per un tempo piuttosto lungo, una legislatura non sarà sufficiente. E ritengo anche che il centrosinistra debba proporsi come primo scopo quello della ripresa dello sviluppo: suddividere il ristagno in modo più equo non mi sembra una grande idea”. Mi sembra che sia il punto centrale del suo ragionamento, e varrebbe la pena riportarlo tutto (da metà dell’11° colonna fino a metà della 12°), e che ci fossero molte altre occasioni di rileggerlo, là dove propone una “terapia competitiva tradotta in misure dettagliate”, chiede una rivoluzione meritocratica, e batte anche lui su quello che è un mio chiodo fisso, che l’università è il luogo di elezione da cui farla partire. Vorrei citarlo per intero perché Salvati sa dire bene le cose, e sa prendersi lo spazio necessario perché le parole penetrino nella testa e nelle coscienze.
Anche secondo me quello che abbiamo di fronte come un passaggio stretto: non uso la parola declino, so che i paesi non falliscono mai; ma i paesi possono conoscere fasi di involuzione, finire per assestarsi su un livello più basso. Di lì si vede solo un orizzonte più angusto, la mancata crescita diventa un impoverimento generale di idee.

Come fare a coalizzare il Pese su un programma di concorrenza e di meritocrazia? Questo è il problema, e Salvati lo individua con chiarezza. Ma quanto alle soluzioni, mi sembra che sia il primo a dubitare della loro validità. Azzarda che potrebbe esserlo un nuovo anitberlusconismo, non quello solito “del conflitto di interessi e dell’attacco alla magistratura”, ma quello “contro il Berlusconi più vero e più pericoloso, il venditore geniale e il pifferaio di Hamelin, la miscela di allegria allegria alla Mike Bongiorno e di enrichessez-vous alla Napoleone III”. Salvati si chiede se possa suscitare negli italiani la reazione a contrapporgli “una visione della vita seria e responsabile, la disponibilità a rimboccarsi le maniche, l’attenzione ai bisogni dei più deboli”. Ma pensa che questo scatto forse si produrrebbe di fronte a “circostanze davvero eccezionali”, più difficilmente di fronte “ad avvisaglie incerte di un lontano declino”. E guai a lasciarsi andare a messaggi piagnoni, aristrocratici o “azionisti”. Salvati sa che non arride a Prodi la congiunzione astrale che seppe cogliere Tony Blair. Lui veniva dopo la Thatcher che le riforme le aveva fatte davvero. Prodi viene dopo un Berlusconi che, di problemi, ha risolto solo qualcuno dei suoi: e che ha mezzo ( mezzo?) sfasciato il paese. E conclude: se non ci sono strategie vincenti, evitiamo le dissonanze, facciamo una cabina di regia, evitiamo almeno di vendere male il nostro messaggio: ” quale che sia”. Sic.

E no, Michele,”quale che sia” no. Lasciami essere brutale nella sintesi.
1) Prodi dedichi tutta la sua attenzione al “messaggio che deve dare il centro sinistra per vincere le elezioni”. 2) Al paese serve una “terapia competitiva tradotta in misure dettagliate”. 3) Ma è assai dubbio che la sinistra accetti una “visione” che “faccia leva sulla serietà e sulla competenza sul merito e il suo riconoscimento”. 4) Facciamo la cabina di regia: potrebbe perfino darsi che dalla botte esca un vino migliore di quello che sta nella botte di Berlusconi.

“Desinit in piscem”, non ti pare? Nella sequenza c’è qualcosa che non funziona. Il punto debole è il numero 3. Se il messaggio che serve al paese è terapia competitiva e meritocrazia, perché chiedere solo che il coro obbedisca al suo direttore d’orchestra “quale che sia” la musica? E il paese, che dice se il coro è affiatato ma la musica non gli va bene? E allora perché non dire chiaro e netto che è lo schieramento a condizionare il messaggio, e che lì sta il problema, e che non basta mettere la cabina di regia in una camera imbottita di sughero che neanche Proust?

Salvati lo sa benissimo:e la dimostrazione è che un buon ¾ del suo saggio é dedicato proprio allo schieramento, alla sua nascita e alla cronaca delle sue gesta fin qui, e ai problemi delle parti che lo compongono. E allora mi chiedo se non stia proprio in questa sproporzione tra la descrizione dello strumento e l’individuazione del programma la causa di questa impasse. Se non è proprio l’eccessiva attenzione a trovare il baricentro dei pesi, all’equilibrio delle forze a ostacolare l’”invio di un messaggio forte e vincente”. Se in tal modo non diventi inevitabile che Prodi finisca per dare l’impressione di essere un terzo superpartes che media tra riformisti e radicali”.
Bisogna cambiare marcia. C’è stato il periodo in cui tutta l’attenzione era rivolta a buttare una rete abbastanza grande da contenere tutte le forze dell’opposizione: bisogna dichiarare chiuso quel periodo. Adesso è il momento di puntare su un progetto che vada oltre le identità, che si collochi in un luogo diverso – fuori, più avanti, sopra – da quello che sempre ci è stato rappresentato e che conosciamo a memoria. Impariamo dai figli di mammone: è quello che ha saputo fare Berlusconi con i suoi alleati, i loro interessi non erano più omogenei di quelli della nostra coalizione, la convergenza l’hanno trovata in un punto spostato in avanti rispetto al semplice baricentro dei loro interessi, al mero equilibrio delle loro identità.

Questo punto è l’interesse del paese, la necessità del paese. La “terapia competitiva tradotta in misure dettagliate” non è un manifesto “quale che sia” per vincere, è il solo programma con cui valga la pena vincere. Se non siamo capaci di convincere con questa idea, arrivo a domandarmi se il Paese abbia bisogno di noi.
Confindustria denuncia la crisi più grave degli ultimi 30 anni, la Commissione Europea non è disposta a farci sconti, il governo si agita tra prescrizioni, leggi elettorali, par condicio. Non facciamo l’errore di pensare che basti esibire una faccia migliore: poi bisognerà governare.
La nostra situazione ha suoi elementi specifici, ma non è isolata, Va compresa nel contesto del riaggiustamento in corso su scala mondiale, e di cui il rapporto dollaro-euro è la spia. Una crisi che si può risolvere solo con la crescita. Come scrive Amity Shlaes sul FT del 13 Dicembre, gli USA, per continuare a crescere così senza andare in bancarotta, devono tagliare le spese riformando pensioni e sanità. La Cina, per continuare a crescere velocemente senza schiantarsi, deve risolvere i problemi dei diritti civili e del suo sistema finanziario. E l’Europa, che seppe crescere in passato, per ritrovare quella strada deve liberalizzare. Questa è un’onda lunga, il dollaro a 1.50 ci obbligherà a cambiare molte cose in Europa. D’altronde per mezzo secolo non abbiamo pagato i costi, ad esempio, della nostra difesa, adesso dovremo pagarli tutti insieme.
E noi? Non ci possiamo più permettere le nostre inefficienze, le nostre compiacenze: a incominciare dalla Pubblica Amministrazione. “Loro” non sono stati capaci di porvi rimedio, la spesa pubblica è aumentata, e non perché gli difettassero i mezzi tecnici, ma per quelle che una volta si chiamavano contraddizioni.
Non c’è nessuna ragione perché la sinistra debba lasciare alla destra la gestione di questa fase storica: tantomeno a questa destra. Perché deve essere solo la destra a sapere interpretare un’epoca in cui Keynes è morto, le “politiche industriali” sono inapplicabili, si va verso un’economia di sevizi, il posto fisso non c’è più? Perché la sinistra dovrebbe essere solo capace di opporre un’inutile resistenza? Ci riprenderemo, l’Europa ha immense riserve di capitale, capitale fisico e capitale umano. In quel momento la sinistra ci sarà solo se ci sarà stata anche prima.

Il saggio di Salvati è bellissimo, ma io suggerisco un finale diverso. Riprenderei a metà della penultima colonna. “Se il compito primario del messaggio è dare sicurezza, non è facile darla se si è convinti che l’Italia può uscire dal ristagno solo attraverso una prolungata terapia competitiva”. Taglierei tutto il resto e continuerei così:
Caro Romano, tu di questo sei convinto. Può sembrare che la sfida che hai di fronte sia una di quella che fa tremare le vene e i polsi: in realtà sei bene attrezzato. Ormai tutti conoscono di che consista la tua proverbiale bonomia: per gli alleati è determinazione feroce, per quelli che “si aggrappano alle poche certezze che hanno e non vogliono cambiare”, come dice Michele, è animo buono di cui si possono fidare. Gli uni e gli altri hanno sanno che gli sei necessario: fai diventare la convinzione una rocciosa certezza. Per questa certezza ti verranno dietro tutti, molto più che per la geometria della Gad o le alchimie della Fed: non c’è altra strada possibile. Chi non fosse convinto deve sapere che su quelle rocce finirà per schiantarsi. E’ la sola strada con cui noi, e quindi anche tu, ce la possiamo cavare.
E chiuderei, con te, con i nostri più sinceri e interessati auguri.

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