L’offerta francese non azzera il fondo strategico di Tremonti

aprile 28, 2011


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di Lina Palmerini

L’Opa Lactalis non azzera la strategia di Giulio Tremonti messa sul tappeto – politicamente – soprattutto dalle parole del premier su Parmalat. Quella difesa a un’Opa «non ostile» e alle regole del mercato ha messo in allarme non solo il ministro dell’Economia ma il suo potente alleato leghista sul fatto che adesso – fallita la difesa dell’italianità a Collecchio – possa saltare il decreto sul fondo presso la Cassa depositi e prestiti a sostegno delle imprese italiane nei settori strategici. È quella la frontiera su cui adesso si batterà il Carroccio portandosi anche un pezzo di Pdl vicino all’idea tremontiana.

«Il decreto va avanti. Con l’Opa non si ferma una normativa strategica che ci mette in linea con altri paesi europei tra cui, appunto, la Francia. Non possiamo permettere che facciano a casa nostra quello che noi non possiamo fare da loro». È Maurizio Fugatti, deputato leghista della commissione Finanze, vicino a Giancarlo Giorgetti, a segnare la trincea. Anche a costo di difendere uno strumento che il Pd ha ribattezzato “piccola Iri”? «Qui si tratta di mettere in campo strumenti a sostegno delle imprese italiane. Questa è una nostra battaglia sin dal 2007, quando il centro-sinistra scrisse la legge sull’Opa che noi volevamo più stringente. Se fossero passate le nostre correzioni – conclude Fugatti – Parmalat oggi resterebbe italiana. Ma pure il Pdl è arrivato tardi». Le frizioni Lega-Pdl su Parmalat non sono solo elettorali. C’è in ballo anche l’asse con Tremonti su questo decreto.
Ma difensori il ministro ne trova anche nel partito di Berlusconi. Accade che Giampiero Cantoni, per esempio, senatore del Pdl, ex docente della Bocconi ed ex presidente della Bnl, condivida le mosse tremontiane. «Se oggi nel mirino è finita Parmalat, temo che domani ci finiranno Eni o Enel, possibili prede di fondi sovrani o cinesi. In questo senso condivido Tremonti e il tema dell’italianità, ma se si mette in campo una politica industriale e accanto uno strumento finanziario come il fondo strategico». È vero che il Pdl è diviso e che non tutti condividono la filosofia – o anche il potere – tremontiano che certo la nascita di questo fondo espande. «Il rischio che nasca una piccola Iri c’è», dice Giuliano Cazzola, deputato Pdl per il quale «valgono innanzitutto le regole del mercato».
La partita nel Pd è fare goal a Tremonti e se glielo fanno i francesi va bene lo stesso. «Il ministro ritiri le norme “ad aziendam” su Parmalat e sul fondo, pericolosamente discrezionali», così parlava Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, affondando il colpo sul fallimento della difesa di Parmalat ed Edison. Eppure nel maggio 2006, quando esplodeva il caso Autostrade-Abertis, dal centro-sinistra si sentirono parole simili a quelle della Lega per impedirne la fusione. Se lo ricorda bene Nicola Rossi, senatore che da qualche mese ha abbandonato il Pd. «E infatti il centro-sinistra condivide quel decreto ma non lo dice. In fondo la matrice culturale è quella, cioè gli dispiace affatto che si possa gestire un pezzo di economia. E, poi, dicono sì all’acqua pubblica e no al fondo della Cdp? Sono liberali di giorno e dirigisti di notte». Certo l’impostazione di Rossi differisce da tutte quelle sentite e si poggia su alcuni pilastri: «Primo, con l’Opa Lactalis – dice Rossi – siamo finalmente sulla strada corretta quella che tutela risparmiatori e azionisti. Secondo: parlare di italianità in settori che non hanno più dimensioni nazionali è una sciocchezza, dunque bisognerebbe favorire che imprese italiane entrino in grandi gruppi europei. Terzo: il fondo strategico. Mi chiedo come mai si sia sentito il bisogno di scrivere che non deve sostenere aziende decotte. La risposta è che un domani – si sa – si aprirà una lista infinita di chi vorrà attingere denari».

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