Il Corano è in realtà ben diverso da quello che comunemente si crede, scriveva su queste colonne Luca Ricolfi (Il terrorismo jihadista e la strategia del rospo Zen, 24 Novembre): ha precetti durissimi contro chi non si converte e non lo osserva, e, siccome è parola di Allah, non è interpretabile né modificabile. Dobbiamo rileggere il Corano se vogliamo liberare il mondo dall’islamismo titolava Newsweek il 12 Dicembre.
Combattere militarmente il Califfato è essenziale: ma è probabile che il problema sussista anche dopo la sua sconfitta. Entrare nella testa del nemico è quello che fanno le polizie e le intelligence in tutto il mondo: che si tratti di individuare un serial killer, o di prevedere le mosse del terrorismo islamico. In questo caso, per entrare nella testa bisogna conoscere il Corano: quello vero.
Ma se, come suggerisce Newsweek, si tratta di interloquire con un sistema religioso e politico che fonda sull’applicazione letterale e sul terrorismo del Corano la propria strategia per ampliare il controllo locale e per attirare foreign fighters, e di confrontarsi con esso con disponibilità a discuterne, allora il discorso si fa problematico. Perché si confrontano due universi concettuali opposti: quello fondato sul Corano ha una visione trascendente del mondo; il nostro, da Machiavelli e il Rinascimento, a Hume e l’illuminismo, al positivismo, a Marx, non ha bisogno di legittimazione esterna, espunge la metafisica dal discorso filosofico e la religione da quello politico. Il capitalismo “n’a pas besoin de cette hypothèse”, è interamente secolarizzato, con la globalizzazione si estende al mondo intero, tutto è trasparente perché la tecnologia possa diffondersi. Se non ha bisogno di fondamento per legittimarsi, è inclusivo; sia verso le trascendenze, e non solo quelle della coscienza individuale, sia verso le critiche al capitalismo, anche le più radicali, anche quelle che vedono in esso una nuova teologia del mercato: sono pur sempre interne al sistema. Con l’islamismo è diverso: è possibile un dialogo tra una visione assolutisticamente trascendente ed una comprensivamente immanente del mondo?
Porsi questa domanda equivale a chiedersi se noi vogliamo considerare l’islamismo potenzialmente parte del sistema capitalistico, oppure un sistema autonomo, rimasto latente nei secoli in cui il capitalismo conquistava del mondo, ed ora risvegliatosi in forma aggressiva. Equivale a chiedersi se la strage di San Bernardino in California e quella di Colombine nel Colorado sono entrambe frutto della sindrome narcisistica-nichilista-autodistruttiva, entrambe endogene alla società che vogliono aggredire, e diverse solo per motivazioni individuali; oppure se sono due fatti ontologicamente diversi, il secondo essendo esogeno alla nostra società, la sua testa appartenendo a quell’altro mondo.
Molti di noi, io tra quelli, hanno un moto di ripulsa di fronte ai commenti e alle spiegazioni che famosi maitre à penser hanno dato dei fatti del 13 Novembre, come avevano dato di quelli dell’u Settembre. Narcisi e ciarlatani, li liquida Giulio Meotti, raccogliendone i detti (Il Foglio 5 Dicembre): da Eco (i terroristi attaccano i simboli di una società che li confina a vivere nelle bidonville) a John le Carrè (le fonti del terrorismo sono le umiliazioni passate e presenti) a Derrida (siamo tutti potenziali terroristi) a Sloterdeijk (1’11 Settembre è stato un problema ai grattacieli). Però per confutarli non basta obbiettare che i terroristi di Parigi vivevano in alloggi borghesi, che 15 su i 9 degli attentatori delle Twin Towers provenivano da famiglie abbienti, che il viaggio in Siria non è diverso dai”viaggi” nel mondo della droga in cui tanti ragazzi si sono persi. Se il terrorismo è una strategia per guadagnare consenso, raggiungere l’obiettivo è la motivazione del terrorista. Chi si fa saltare in aria non esprime la propria protesta, ma vuole eccitare quella degli altri, di chi è davvero povero, emarginato, disoccupato. I ghetti urbani, i campi palestinesi, la disoccupazione non sono la causa del terrorismo, ne sono la cassa di risonanza. E indubitabilmente esistono, sono parte del nostro mondo.
Quelle “spiegazioni” ciniche includono il terrorismo nel nostro mondo. D’altra parte nessuno si sognerebbe di considerare estranee critiche ben più demolitrici del capitalismo, si pensi solo a Marx, o sanguinosamente radicali, come negli anni di piombo. Quelle “spiegazioni” sono inaccettabili, ma rifiutarle pone un problema ancora più serio: perché comporta lo scontro tra trascendenza e immanenza, tra Corano e capitalismo. Che si chiama guerra di religione.
ARTICOLI CORRELATI
Auschwitz, i morti per terrorismo e ieri il suicidio. L’incredibile storia di una famiglia israeliana. Un buco nero.
di Giulio Meotti – Il Foglio, 05 dicembre 2015
We Need a Re-Reading of Islam if We Are to Rid the World of Islamism
di Balsam Mustafa – Newsweek, 02 dicembre 2015
Il terrorismo jihadista e la strategia del rospo Zen
di Luca Ricolfi – Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2015
Serena Sileoni
8 annoe fa
Caro Franco,
Non voglio svalutare il capitalismo, quello che volevo dirti è che non sono sicura che ciò che muove il fanatismo islamico abbia solo a che vedere con il capitalismo, cioè con quella parte del modo di vivere di una società libera che attiene alla libertà di creazione di valore. Il grido Allah Akbar è un grido di fanatismo per la loro causa religioso-politica che secondo me ha confini teologici, scientifici, sociali più ampi e meno consapevolmente critici del capitalismo: mi chiedo se ce l’hanno più con la dimostrazione della terra tonda che non con la libertà dei prezzi. Che le due cose, Occidente e capitalismo, nella nostra fetta di mondo tendano a sovrapporsi è un corollario di questo dubbio.
Ma le mie impressioni valgono due cents.
Serana.
Franco Debenedetti
8 annoe fa
Cara Serena,
sul pezzo c’è un fraintendimento di fondo.
La discussione non è sull’islamismo, ma sul meta-islamismo, su quelli che parlano dell’islamismo. L’islamismo è quello che è, assolutista e non inclusivo: chi non si converte va ucciso. E io non faccio il missionario.
Io parlo d’altro e ad altri, parlo di quelli e a quelli che giustificano l’islamismo perché frutto del capitalismo, dei suoi errori. Il giustificazionismo non è accettabile, ma o noi consideriamo anche l’islamismo parte del capitalismo, e lo sussumiamo come qualcosa che è pur sempre interno al nostro mondo, o è guerra di religione.
Franco.
Adriano
8 annoe fa
Una cosa evidente che segue la logica dei fatti è che con l’islam dovremmo convivere senza se e senza ma,lungimirante l’imperatore Francesco Giuseppe che a fine ’800 con l’annessione della bosnia nell’impero riconobbe la religione islamica,dove già nelle due guerre a fare assistenza spirituale ai militari di religione islamica c’era l’imam militare.
Adesso come adesso se in una classe di prima elementare abbiamo su 18 bambini 13 di religione islamica si fanno subito i conti su come sarà formata la società di domani.
Purtroppo a convivere sono due culture molto diverse,tali da creare molti problemi a volte difficilmente risolvibili.