Le aspettative deluse della base sociale del Polo

settembre 1, 1994


Pubblicato In: Varie


Del giudizio negativo che i mercati stanno dando sull’azione di questo governo e sulla sua affidabilità si è scritto da più parti. Paradossalmente potrebbe non essere questo l’aspetto più grave del momento che stiamo attraversando: i mercati globali reagìscono con straordinaria rapidità ai segnali, e potrebbero ritrovare fiducia con la stessa velocità con cui l’hanno, se non negata, sospesa: essi, come è noto, hanno memoria ma si alimentano di speranze.

Più grave potrebbe essere invece la realtà che ha dato luogo ai recenti moniti delle associazioni di categoria: aldilà delle scontate esortazioni e delle non piccole differenze di esse propongono una riflessione sul tipo di azioni che si attende la coalizione di interessi su cui si è formato il sucesso elettorale di Berlusconi e della maggioranza che egli ha saputo unificare. Questa coalizione, che non va demo- :zata e che è formata in larga misura dalla media e piccola imprenditorialità, dal lavoro autonomo, dalle professioni, richiede di essere liberata da vincoli, di avere mano libera nell’assumere e nel licenziare, di non essere oppressa da un fisco iniquo: ma sempre nel mantenimento di un quadro di certezze economiche e di stabilità del tessuto sociale.
Di questa coalizione (come rileva Giuliano Cazzola sul Mulino) si è apprezzata la struttura a geometria variabile, ma non il tessuto molecolare, una middle class che ha sì deciso di fare da sé anche in politica, che ha sì ritenuto che i rischi di perdere uno status sociale faticosamente conquistato richiedessero di restituire autonomia alla società civile: ma che è altrettanto consapevole che ciò può avvenire solo nel mantenimento di un quadro di regole.
Essa assume il rischio di rinunciare alla protezione sociale garantita dallo Stato, ma non alle intese che hanno con-sentito di avere svalutazione senza inflazione, e che hanno continuato a dispiegare i loro effetti anche nell’intesa dei metalmeccanici.
È insofferente del consociativismo, ma alla prima difficoltà richiama alla ‘coerenza e unità di intenti’. Questa mag-gioranza non ha mostrato soverchia preoccupazione per i problemi dei conflitti di interesse, ha considerato irrilevanti scelte aziendalistiche nella formazione della compagine ministeriale, ha inizialmente fin plaudito alle manifestazioni di arroganza; oggi potrebbe anche prendere per buona la finta soluzione del blind trust all’italiana: ma essa inizia visibil-mente a mostrare sconcerto verso provvedimenti le cui controindicazioni, sul piano della stabilità finanziaria. appaiono evidenti; provvedimenti che, appena annunciati. si inceppano per contraddizioni interne, e non certo per azione dell’opposizione. E lo scontento potrebbe trasformarsi in elusione verso un’attività di governo incapace di tradursi in rilancio dell’economia con effetti stabili e duraturi. Gli esempi si sprecano: il decreto Tremonti sul sostegno alle attività economiche, senza quantificazione del costo di tali misure; quello sul condono, che Scalfaro ha dovuto pesantemente emendare; il documento di previsione economica. con gli imprecisati tagli sulle pensioni; l’incredibile vicenda delle nomine Iri (cui potrebbero seguire quelle sul direttore generale Rai e su Bankitalia ); il decreto sul contenzioso fiscale offerto al posto di una riforma rinviata a incerto futuro: i costi del decreto Sulcis, finalmente quantificati dal ministro Gnutti in 1200 miliardi.
La vicenda della legge sulle privatizzazioni ha reso evidente che i decreti Ciampi, inizialmente esecrati, sono ora presi come una ciambella di salvataggio; mentre manager come Elia Valori si consentono la sorprendente dichiarazio-ne che anche operazioni che si credevano in dirittura d’arrivo devono essere annullale.
L’esortazione a un accordo tra governo e opposizione suona più che altro rituale, essendo ormai chiaro che nessun provvedimento governativo è stato né rallentato né bocciato neppure al Senato.
Da tutto questo deriva una conseguenza precisa, a prescindere dal favore o dall’opposizione con cui si guarda al governo.
Il decreto Biondi, e il tonfo dell’incontro di Arcore con Bossi, potrebbero, per la coalizione, essere riassorbiti davanti al proprio elettorato come degli infortuni; con la ripresa (e qualche benevolenza nel fare i conti giusti) alcune promesse elettorali si potranno anche considerare mantenute; ma esiziale sarebbe invece l’incapacità di dare consistenza, in un quadro di rischi accettabili, a un modo più incisivo di governare il paese e l’economia. Se questo avvenisse, quegli interessi legittimi che hanno dato forza a Berlusconi, si sentirebbero traditi.
Non necessariamente questo vorrà dire che condivideranno le ragioni che l’opposizione da tempo indica: piuttosto non basterà più la soddisfazione di aver fatto rotolare tante teste, per non dire, insieme a Cazzola: «comme était belle la république sous l’empire».

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