L’astensione del Tesoro, le ragioni dei cittadini

aprile 8, 1999


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Gli annunci che i due contendenti per il con­trollo di Telecom pub­blicano sui giornali fanno ap­pello agli interessi individua­li. Ma sono in gioco anche in­teressi collettivi, a quelli de­ve pensare il Governo. Il quale si trova in una posizio­ne anomala: col suo 3,4% è ancora un azionista, ma, avendo deciso di uscire dalla gestione, non può giudicare su piani industriali. Per esse­re neutrale ha deciso di non partecipare all’assemblea. A ben vedere, la sola posizione neutrale sarebbe quella di non avere azioni in mano. Da un lato, per partecipare man­tenendo la neutralità, do­vrebbe immaginare quanti tra quelli che avrebbero comperato le azioni si pronuncerebbero oggi a favore delle misure antiscalata che Franco Bernabè sollecita; e si sa che non è neppure certo che, tra risparmiatori e fondi, si arrivi a mettere insieme il 30% del capitale. Se al con­trario votasse a favore delle misure antiscalata, sarebbe certamente contro lo sfidan­te.

Poiché era praticamente impossibile rimediare e ven­dere prima delle assemblee, il comportamento che più si avvicina al non avere azioni è fare «come se» non le si avesse: cioè non andare in assemblea.

Se è giusto che il Governo in quanto azionista «impro­prio» cerchi con scrupolo la neutralità, la decisione di non andare in assemblea ri­sponde anche a      interessi collettivi, rispetto ai quali nessuna neutralità gli è concessa. E /poiché nessuno ha finora dedicato molto spazio agli interessi dei cittadini che non sono né azionisti né dipendenti di Telecom, sarà il caso di ricordare anche le loro ragioni.

1. Ragioni di correttezza. Per proteggersi dalla scalata Franco Bernabè offre agli azionisti di risparmio di con­vertire le loro azioni in ordi­narie, ed agli azionisti Tim di comprare le loro azioni per contanti. Le conseguenze economiche sono state ana­lizzate con precisione da Pe­nati e Zingales sul Corriere della Sera di martedì. Intui­tivamente basterà notare che le proposte, per essere accettate, devono essere vantaggiose per quelli a cui vengono avanzate. Ma poiché esse non hanno il po­tere di creare ricchezza, a pa­gare questo vantaggio non possono essere che le azioni ordinarie. Si avvantaggia quindi chi ha anche azioni di risparmio o Tim, verosimil­mente i grandi fondi, a danno di chi ha solo azioni ordina­rie, verosimilmente quei mi­lioni di risparmiatori che hanno comperato dal Tesoro un anno e mezzo fa. Corret­tamente il Governo dovrebbe proteggere coloro il cui risparmio ha sollecitato. E tut­ti abbiamo interesse ad avere un Governo corretto.

2. Ragioni di efficienza. Re­sponsabilità del Governo è promuovere l’efficienza del sistema economico, e la sca­labilità delle imprese ne è un potente incentivo. Al solo an­nuncio di Opa, si sono prese decisioni che si trascinava­no, piani che dormivano nei cassetti sono venuti alla lu­ce; per conquistarsi il favore di grandi azionisti, Franco Bernabè ha addirittura rove­sciato strategia finanziaria: indebitare la società prima era un delitto, adesso è in­centivo all’efficienza. Per au­mentare la concorrenza per il controllo, il Governo ha va­rato la legge Draghi. Il Tesoro darebbe un segnale negativo se, alla prima applicazione importante, prendesse atteg­giamenti contrari allo scala­tore, o, peggio, favorevoli a chi vuole rendere Telecom difficilmente scalabile. E tut­ti abbiamo interesse ad avere un sistema economico effi­ciente.

3. Ragioni di finanza pubbli­ca. Chi vorrebbe che il Governo favorisse il mantenimento dell’esistente – da sempre i comunisti, ultimamente anche Franco Marini dà voce ai timori dei dipen­denti, per cui ogni cambiamento di strategia o di organizzazione comporta la fati­ca di riconvertirsi, l’aumento di efficienza il rischio di doversi ricollocare. L’alleanza tra management e dipendenti è pericolosa per l’azienda, significa meno valore. Quan­to a Telecom, giudicheranno gli azionisti se gli interessi di centomila dipendenti sono in conflitto con il loro.

Ma lo Stato ha ancora mol­te partecipa­zioni da di-smettere: e a quelle tocca al Governo pensare. Prendiamo Finmeccani­ca, alla cui sorte è legata la liquidazio­ne dell’Iri en­tro il 2000, un evento sim­bolico, un im­pegno solen­ne. In attesa di trovare so­ci che voglia­no partecipa­re ad uno dei gruppi privati che si cerca di formare in Europa nel settore militare, già si parla di ricorrere all’escamotage di parcheggiare Finmeccanica presso il Tesoro.

Sarà più difficile trovare un socio, qualora il Tesoro alla prima occasione non sappia mantenersi neutrale. Nella privatizzazione del re­siduo 35% dell’Eni – o dell’E­nel, quando cadrà il veto dei comunisti – quanto ci coste­rebbe in termini di minori proventi il precedente di aver avuto cedimenti per ti­more degli insider? Vendere, e vendere bene, è interesse di tutti.

E Bankitalia a quali criteri vorrà ispirarsi? Per quanto riguarda il suo ingentissimo patrimonio, la Banca centra­le opera come un investitore, sulla frontiera rischio rendi­mento.

Ma i mercati sono abituati a pesare ogni sua parola, in­terpretare ogni suo atto; e il, comportamento che assume oggi farà precedente. Rimet­tersi democraticamente al voto della maggioranza potrebbe essere anche per via Nazionale l’atteggiamento di maggiore prudenza per il presente, e di maggiore li­bertà per il futuro.

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