La scelta del DPEF

marzo 3, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


La soddisfazione per aver tagliato il traguardo del deficit 1997 è legittima. La concentrata tensione agli obbiettivi macroeconomici è, all’avvicinarsi della data di esame finale, comprensibile. Ma governo e maggioranza non possono non fare i conti con preoccupazioni che si addensano anche su un altro versante: quello dello sviluppo e degli interventi per le aree depresse.

Queste preoccupazioni non le esprime solo Rifondazione Comunista, ma anche quelle confederazioni sindacali il cui concerto Prodi e Ciampi considerano essere un elemento chiave proprio per il raggiungimento degli obbiettivi di finanza pubblica, un punto di forza da esibire a fronte di Francia e Germania. Quando Sergio Cofferati, nell’intervista al Sole 24 Ore di domenica, dichiara che “il governo è in affanno”, quando ammonisce che ”è a rischio la coesione sociale di questi anni”, lancia un segnale di pericolo da non sottovalutare.
Non basta protestare che rigore e sviluppo non sono alternativi, che non si contrappone economia finanziaria ad economia reale: il fatto è che sinché non si fornira’ una stessa risposta che soddisfi insieme sia coloro che chiedono conto del rigore, sia coloro che invocano la crescita, sinch è le risposte avverranno in sedi e con strumenti separati, inevitabilmente ciascuna delle due parti potrà, se lo vorrà, accusare il governo di avere una coperta troppo corta.
Ecco allora la scelta da fare: ricondurre a un’unica via ciò che appare ora una biforcazione.
Ed ecco lo strumento: il DPEF, che il Governo, così ha assicurato al Commissario europeo De Silguy, presenterà anticipatamente, per dimostrare la sostenibilita’ del risultato raggiunto sul deficit, e la credibilità del piano di rientro del debito. è il DPEF il luogo in cui inserire obbiettivi, strumenti e risorse per le politiche di coesione e di rilancio delle aree depresse.
Il nodo del mezzogiorno e della disoccupazione sta spalancato di fronte ai partner europei, è una delle ragioni delle loro residue perplessita’, superarle dipende in modo cruciale dal livello di priorita’ dato alle proposte avanzate: solo un documento programmatico impegnativo, il DPEF, fornisce la richiesta visibilità.
In questo modo, si diventa credibili di fronte ai partner europei, e al contempo si restringono di molto le possibilita’ di scontri e polemiche sul mancato sviluppo tra maggioranza e parti sociali, polemiche che non aiutano nè i disoccupati n è l’immagine dell’Italia. Si risolverebbe il paradosso di un governo di centro sinistra ed europeista convinto che si fa mettere in mora da Rifondazione sullo sviluppo e contemporaneamente non riesce a convincere pienamente Bruxelles e Francoforte sul rigore.
La ragione per cui si sostiene che obbiettivi ed impegni siano assunti in un atto primario di politica economica è anche la necessita’ di correggere la negativa impressione delle polemiche delle settimane passate. La diatriba sulla titolarita’ delle agenzie di promozione e sviluppo tra Tesoro e Industria non è stata appassionante, ma soprattutto ha autorizzato a credere che la politica di intervento nelle aree depresse possa ridursi a questione organizzativa. Le polemiche si sono nel frattempo smussate, ma resta l’impressione di grave inadeguatezza di tutte e due le impostazioni che si confrontano.

Secondo il Tesoro essenziale è la coerenza fra obbiettivi di finanza pubblica e sviluppo, garantita dall’avere al proprio interno il dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione, conseguente all’accorpamento del Bilancio, e a cui sono assegnati per legge politica regionale, investimenti pubblici ed infrastrutture, politica di coesione dell’Unione Europea. Che in tal modo si assicuri il controllo delle spese è sicuro.
Ma non sono poche n è poco rilevanti una serie di domande: qual è l’ammontare degli investimenti che si intende destinare alle aree depresse? quante provengono da Bruxelles, quante dal bilancio dello stato? quali criteri seguire per dare le opere in concessione e farle così finanziare da capitali privati? chi ha la responsabilità di proporre gli investimenti, il centro o la periferia? come sopperire quando manca la capacità di progettazione? chi fa la selezione dei progetti ed in base a quali criteri? chi verifica i risultati?

Vi è poi l’altra impostazione, quella che è sembrata per un momento essere la proposta del governo, prima che questi decidesse di evitare lacerazioni passando la palla al parlamento, in attesa magari, decantate le acque, di aggiungere una propria proposta di legge alle quattro su cui si sta esercitando la Commissione Bilancio del Senato. Impostazione che, nelle diverse varianti, in sostanza si riduce a un’aspettativa.
Quella che a risolvere i problemi delle aree depresse basti l’incremento di efficienza forse ottenibile unificando Itainvest, IG, SPI, Enisud e quant’altro, e l’assegnazione del tutto alle dipendenze del Ministero dell’Industria. E qui cio’ che preoccupa è l’inadeguatezza. Non di risorse – anzi, sull’attribuzione dei 3000 miliardi di plusvalenza Telecom si ribadiscono qui le piu’ ampie riserve -, ma di idee.
Di fronte alla carenza di infrastrutture, ai divari con altre aree europee quanto a costo dei fattori, livelli di imposizione, esternalità, si pensa che basti una banca di affari, qualche assunzione e un po’ di pubblicità? Il rischio è che, alla prima crisi, si finisca per supplire all’inadeguatezza progettuale “buttando soldi ai problemi”, e che si ripeta di una storia ben nota, quella di accorpamenti sfociati in potenziamenti, di razionalizzazioni e snellimenti tradottisi in sovrapposizioni di livelli organizzativi.

Questo è tutto quanto oggi c’ è sul tavolo: l’elenco dei compiti del dipartimento del Tesoro, e quattro progetti di legge di riordino degli enti di promozione. Serve un colpo d’ala. Il doppio obbiettivo del contenimento del deficit e del rientro del debito non contiene in sè implicitamente ogni altra scelta. Il tema degli interventi nelle aree depresse è politicamente indifferibile e logicamente inscindibile da quello del risanamento. Non basta enunciarlo in una risoluzione parlamentare: è nel DPEF che esso va incardinato.

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