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Archivio per il Tag »mezzogiorno«

→  febbraio 19, 2014


di Giuliano Ferrara

Fabrizio Barca è il numero 279 della nomenclatura. Conta un cazzo. Nessuno gli ha mai chiesto di fare il ministro dell’Economia. E’ stato un funzionario bravino in Bankitalia, poi con Ciampi al Tesoro, poi con Tremonti e Berlusconi (buona performance sui fondi europei), poi ministro di un coesivo Nulla coccolato da Monti. Poi lo splash. E’ tornato a fare il funzionario del Tesoro. E fin qui, passi. Ma il giovanotto, privo di discernimento politico ma non di ambizione, è stato insignito di una immagine pubblica totalmente ridicola: uscito dal governo dei tecnocrati, dove non si era certo segnalato per alcunché di rilevante, tampoco in senso politico, è diventato grazie alla curatela di Repubblica (editore Carlo De Benedetti, direttore Ezio Mauro, fondatore Eugenio Scalfari) e alla sua scia giornalistica lunga lunga, un capo addirittura della sinistra italiana. Roba da matti. Ieri con la bella Fornero, oggi con il Vendola e con pretese su un Pd ma ben bene di sinistra, e come si diceva nel vecchio gioco del Monopoli, “senza passare dal via”. Cose ’e pazzi.

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→  febbraio 19, 2014


Sulla trappola in cui è cascato Barca, con le confidenze fatte allo pseudo-Vendola, si sono scatenati i pettegolezzi.
Ma se guardiamo alla sostanza politica delle sue affermazioni, dov’è la notizia? Che le identità di Matteo e di Fabrizio siano totalmente diverse è palese. La notizia è ciò di cui non si è parlato: la politica verso il Mezzogiorno. Eppure per quello che ha fatto dal 1996 ad oggi, all’OCSE, al Tesoro, all’Economia, al Governo, il nome di Barca è diventato sinonimo delle «politiche di coesione». Mentre sull’indirizzo che avrebbe potuto dare alla politica economica si sarebbe potuto discutere, non c’è dubbio che, con lui, la politica per il Mezzogiorno sarebbe stata business as usual. Eppure stiamo parlando di qualcosa che è costata 2 o 3 volte il terremoto dell’Irpinia: su questo sono caduti dei ministri, sulla politica di coesione si diventa ministro.

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→  dicembre 22, 2009

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di Alberto Alesina e Andrea Ichino

Numerosi studi di sociologi ed economisti mostrano che una delle principali cause dell’arretratezza del Mezzogiorno ha radici antiche dalle quali dipende una carenza di “capitale sociale” e di “senso civico”. Al sud manca una sufficiente fiducia reciproca e una capacità di collaborare che vada oltre le mura familiari e che, quindi, faciliti contratti e interazioni economiche tra estranei. La produzione e lo scambio di beni diventano difficili, se non ci si può fidare delle persone con cui si interagisce.

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→  agosto 22, 2009

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C’è il fondato timore che il federalismo fasciale, nato per contenere le richieste, finisca addirittura per istituzionalizzarle. La lotta tra pianificatori e ricercatori

Qualche giorno fa, su Radio 3, parlandosi di Mezzogiorno, l’ospite della trasmissione invitava a non dimenticare il tributo di sangue che l’Unità d’Italia è costato alle regioni meridionali: a suo dire, oltre 600.000 morti, 50 comuni cancellati dalla carta geografica, il brigantaggio come movimento popolare di resistenza alla cultura dell’invasore; il conduttore sembrava condividere.

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→  novembre 12, 2000


Ha proprio torto il Presidente di Confindustria quando mette in relazione l’allargamento dell’Europa all’Est con l’autorizzazione a introdurre sgravi fiscali per il rilancio del nostro Mezzogiorno? Per aver proposto questa sorta di scambio, Antonio D’Amato è stato bersagliato di accuse: prima il «Corriere della Sera» con un corsivo di insolita durezza, poi quasi tutti i commentatori, hanno bocciato il do ut des, come politicamente indecente e logicamente incoerente, non fosse altro che per la mancanza di nesso tra i due temi.

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→  agosto 6, 1998


Le proteste di piazza dei disoccupati aggiungono un elemento nuovo alle polemiche interne alla maggioranza. Non più solo le fiducie limitate di Bertinotti, le fiammate dei giustizialisti, l’eterna disputa tra Ulivo e partiti: ora il malessere sembra aver contagiato anche il sindacato.
Le polemiche ormai aperte tra Cisl e Cgil costituiscono il presupposto per mettere in crisi anche la concertazione. E questa è la pietra angolare su cui Ciampi ha costruito la sua politica, la forza distintiva rispetto a precedenti governi, un modello originale che si è dichiarato di voler esportare in altri meno avveduti Paesi.

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