La California non fa paura, ma attenzione a far bene le cose

maggio 1, 2001


Pubblicato In: Varie


Intervista di Romolo Paradiso

Allora senatore, “non più sognando California?”.
Né sogni né incubi. Anzi il caso California ci può servire per andare avanti nella strada della liberalizzazione, imparando dagli sbagli altrui.

Eppure somiglianze con il Paese americano ce ne sono. C’è una comune “dimensione” elettrica: la domanda annua californiana, è di circa 23o TWh, quella italiana di 27o TWh. In California, come da noi, è stato costituito un gestore della rete, l’ISO, lasciando la proprietà di quest’ultima alle utilities. Nonostante la liberalizzazione i clienti delle utilities hanno conservato tariffe regolate e a prezzo fisso. Da noi i clienti vincolati continueranno ad essere sottoposti a tariffe fissate dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, anche se con una parte indicizzata all’andamento dei prezzi dei carburanti.
In California non c’era mercato elettrico: i prezzi al consumo erano bloccati. In questo modo si è impedito il funzionamento del sistema dei prezzi, si è bloccata la sua funzione di segnalare che cosa sta succedendo. Questa è la causa sistemica. Poi il disastro è stato innescato, come sempre, dal sommarsi di una serie di fatti scatenanti. Un’estate calda che ha aumentato il consumo di energia; manutenzioni e chiusura di impianti perché si erano superati i limiti annuali di emissioni nell’atmosfera; difficoltà di rifornirsi oltre i confini dello stato per le opposizioni alle costruzioni di nuovi elettrodotti. Nel segmento di mercato liberalizzato, quello della generazione, un aumento di domanda con un’offerta rigidamente bloccata ha fatto andare i prezzi alle stelle. Nel segmento non liberalizzato, invece, i prezzi erano bloccati: le imprese che acquistavano l’energia sul mercato a prezzi crescenti e la vendevano a prezzi bloccati sono fallite. Se invece si fosse lasciato che si formasse il mercato anche nella distribuzione, e che quindi potesse funzionare il sistema dei prezzi, i consumatori si sarebbero accorti di che cosa stava succedendo, e anche le difficoltà politiche ad un aumento della produzione si sarebbero potute superare. Da noi non è così, naturalmente a patto che l’Autorità sappia resistere e opporsi alle pressioni per differenziare i prezzi e far pagare per esempio agli utenti industriali una quota più elevata dell’aumento del prezzo del petrolio. Sarebbe una strada che porterebbe al ritorno ai prezzi amministrati. E poi California e Italia hanno anche delle diversità in campo elettrico e ambientale.

Si riferisce alla penuria californiana di capacità fisica di offerta elettrica?
Certo. Questa in Italia, almeno per ora, non c’è. Se si prende come riferimento il 1999, il picco di domanda in California è stato di 45.600 MW a fronte d’una potenza installata di circa 52.000 MW, con un margine di riserva esiguo. In Italia, se non ricordo male, il picco di domanda è stato di 48.000 MW, ma la potenza installata supera 72.000 MW. Inoltre non abbiamo da temere aumenti immediati di Pil tali da far pensare che in breve tempo questo cuscinetto di riserva sia annullato.

Poi c’è la questione delle emissioni inquinanti. In California il programma di controllo obbliga gli impianti a smettere di produrre quando hanno esaurito i loro permessi di emissione annuale.
Sicuramente. In Italia i vincoli ambientali ci sono , ma sono diversi. Intervengono più a monte, per ora non con blocchi a valle.

Il suo è dunque un ottimismo senza barriere?
Tutt’altro. I confini ci sono eccome. Bisogna innanzi tutto far funzionare bene le cose. I prezzi, per esempio, devono riflettere i costi e le tariffe sussidiate devono essere ridotte al minimo. Piuttosto sussidiamo gli utenti invece delle tariffe. Le distorsioni dei prezzi prima o poi si pagano. Perché i comportamenti degli imprenditori che investono e dei consumatori che consumano dipendono dai prezzi. Allora è opportuno che tutti gli operatori di mercato, compresi i regolatori e il potere politico, decidano in base alle informazioni che arrivano dal mercato. Ciò è tanto più necessario nel caso dell’energia elettrica perché in questo settore il tempo di reazione ai cambiamenti è lungo. Per costruire un nuovo impianto, ad esempio, occorrono dai 5 anni in su.

Quindi lei sostiene che se i segnali che arrivano agli attori del mercato elettrico sono distorti, o giungono in ritardo di anni, com’è capitato in California, per rimediare ci vogliono azioni da economia di guerra.
Esatto. Da segnali distorti derivano azioni distorte.

Per evitare da un lato il caso California e avviare dall’altro la liberalizzazione del settore elettrico, cosa ancora occorre fare?
Occorre non solo avviare la liberalizzazione, ma portarla a compimento. E quindi creare concorrenza, e quindi diminuire la posizione dominante di Enel, andando se necessario oltre la vendita delle Genco, che peraltro è ancora da effettuare. E rendendo la costruzione di nuove centrali e l’ammodernamento delle vecchie meno un percorso ad ostacoli.

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