L’unità non c’è più, i riformisti diano battaglia

aprile 1, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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La quercia spaccata

Se è vero che un programma, un’organizzazione, una leadership costituiscono una forza politica, allora bisogna riconoscere che con l’intronamento di Sergio Cofferati nel “primo nucleo della presidenza” di Aprile, l’associazione di tendenza di quella che era la minoranza al congresso DS di Pesaro, una vera e propria formazione politica si è costituita dentro l’opposizione.

Dentro l’opposizione, e non solo dentro i DS: perché essa può contare, oltre che sul correntone DS, sui Verdi e sui Comunisti Italiani, come su è constatato in occasione del primo voto in Parlamento sull’Irak, quando numerosi senatori e deputati dell’Ulivo hanno votato a favore della mozione di Bertinotti.
E’ prevedibile che a questa formazione – alla resa dei conti – finirebbe per unirsi anche una parte consistente della Margherita, per ora organizzativamente distinta, ma ideologicamente combaciante.
Finisce così un’ambiguità, e con essa va in soffitta la strategia che era servita nella fase di incubazione di una forza che potesse raggruppare tutto ciò che c’è a sinistra della maggioranza DS, la teoria delle “due gambe”, una sinistra che si occupi della sinistra e un centro del centro, riassunta dall’ipotesi di ticket Prodi – Cofferati. Una strategia che ho sempre considerata impraticabile: perché una coalizione politica non può usare la tecnica di marketing dei cinema multisala, in cui ognuno può scegliere l’intreccio, gli attori e il regista che preferisce. Una strategia che oggi appare chiaramente superata: è evidente che una forza politica capace, grazie alla potenza organizzativa e finanziaria della CGIL, di portare in piazza milioni di persone, e a cui ora sta riuscendo di ipotecare il sentimento popolare pacifista, non riconoscerà più di aver bisogno dei miracoli di un taumaturgo, del carisma di un altro leader da seguire docilmente.

Si è aperta una fase nuova. Il Catilina che ha firmato l’invettiva sul sito della Fondazione Di Vittorio non è un “cretinetti” come vorrebbe indurci a sperare Eugenio Scalfari. Ripete l’accusa espressa per primo da Moretti a piazza Navona, il giudizio rilanciato al Palavobis, rimbalzato in innumerevoli girotondi. Ribadire che quello uscito dal congresso DS di Pesaro é ormai un Re nudo, non è una novità: lo è invece gridare che è apparso un nuovo re, vestito di tutta la sua armatura, Sergio Cofferati.
E’ un problema serio: per l’opposizione e per il paese. Per l’opposizione potrebbe materializzarsi lo spettro dei lunghi anni “super flumina Babylonis” dei laburisti sotto la Thatcher, o dei socialdemocratici tedeschi sotto Kohl. E’ evidente infatti che una forza politica così massimalista non riuscirà mai ad essere maggioranza nel paese. E c’è da sperare che sia così: il contrario potrebbe realizzarsi solo con il concorso di fatti drammatici, e darebbe luogo a esiti altrettanto drammatici.
E’ un problema serio anche per il Paese. Non è più solo l’opposizione a dirlo, ormai anche nelle aree di opinione e tra le forze economiche che avevano dato fiducia a questo governo, si dà voce al dubbio che esso sia incapace di risolvere i problemi della modernizzazione del Paese e del recupero della sua competitività. Sono in molti a temere, ad esempio, che questo governo passi alla storia per avere presieduto a un tremendo processo di deindustrializzazione; o che, in politica estera, i suoi iniziali successi siano travolti dalla durezza della diplomazia “in tempore belli”. Sarebbe grave se non ci fosse una sinistra di governo capace di elaborare, e, al momento buono, di mettere in atto politiche diverse.

E’ indispensabile fare chiarezza. La direzione dei DS deve riconoscere che essa ormai è al vertice di un partito federato. La previsione che l’antipolitica dei movimenti si sarebbe sciolta al sole della politica si è rivelata sbagliata; sbagliato sarebbe ora credere che basti tener duro e navigare sui risultati probabilmente buoni delle elezioni amministrative. Il centrosinistra di governo, se non vuole lasciarsi costringere nell’angolo dagli aprilanti, deve aver un progetto politico, tanto più ambizioso quanto più forte e strutturata è questa opposizione interna. “Si deve puntare diritto alla nascita del moderno partito socialista di massa” scrive Peppino Caldarola sul Riformista di lunedì. “Va detto a Arturo Parisi quello che Parisi disse ai DS al congresso di Torino: unisciti a noi”. Non si possono più prendere posizioni sfumate per trattenere chi intanto si costituisce come forza separata, concorrente e perfino delegittimante. Adesso è venuto il momento di dare battaglia politica: su tutti i temi. Incominciando, tanto per essere concreti, da quelli che più incombono.

Il referendum sull’estensione art.18. Non c’è più nessuna ragione per non dire con chiarezza NO al quesito posto da RC, appoggiato da FIOM CGIL, e che senza il contributo organizzativo del sindacato non avrebbe raccolto le firme necessarie. Riprendiamo l’iniziativa, prima che Berlusconi sia obbligato a farlo, salvo scegliere tatticamente se dire NO al referendum o nel referendum, secondo l’espressione di Savino Pezzotta, ossia se astenersi o votare contro.

La guerra, naturalmente. Sono pochi coloro che, come me, considerano questa guerra un tentativo di rispondere allo squilibrio del terrore in un mondo diventato unipolare , dopo che, nel 1989, era venuto meno il bipolarismo su cui si fondava l’equilibrio del terrore. Ma stanno aumentando coloro che a sinistra ora sostengono le scelte politiche di Blair, che incominciano a capire il suo rischioso azzardo, l’unico capace di influire sulle scelte di Washington, e forse anche di condizionarle. Contro le ambiguità e i contorsionismi dei “senza se e senza ma”, dei “né né”, dei “sia sia”, si fa strada la constatazione che, un minuto dopo che tutte le strade per disarmare Saddam senza sparare non si erano aperte (o erano state chiuse), una sinistra occidentale, pur mantenendo tutte le proprie critiche e riserve, sa scegliere senza esitazioni la propria collocazione.

E infine l’Europa. Che Parigi si sia opposta alla guerra a costo di isolare gli USA, o che invece l’abbia fatto proprio a questo fine, il risultato è che l’Europa ne è uscita a pezzi. Di fronte a proposte tipo quella avanzata dal Belgio, di dar vita cioè a un nucleo di difesa europea con Francia e Germania, il centrosinistra riformista deve senza esitazioni e con assoluta fermezza respingere iniziative che allargherebbero le fratture e le consoliderebbero. “Cooperazioni più avanzate” in un campo fondante per l’identità dell’Unione quale la politica di difesa, sarebbero in realtà “arretrate”. La cultura anglosassone è costitutiva dell’Europa almeno tanto quanto quella continentale: riconoscerlo è per l’Italia un’esigenza politica. Lo era per la destra storica all’epoca di Cavour, lo è oggi per il centrosinistra: e non solo perché a Londra c’è il laburista Tony Blair, e a Bruxelles il “nostro” Romano Prodi.

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