In Barca

febbraio 19, 2014


Pubblicato In: Articoli Correlati


di Giuliano Ferrara

Fabrizio Barca è il numero 279 della nomenclatura. Conta un cazzo. Nessuno gli ha mai chiesto di fare il ministro dell’Economia. E’ stato un funzionario bravino in Bankitalia, poi con Ciampi al Tesoro, poi con Tremonti e Berlusconi (buona performance sui fondi europei), poi ministro di un coesivo Nulla coccolato da Monti. Poi lo splash. E’ tornato a fare il funzionario del Tesoro. E fin qui, passi. Ma il giovanotto, privo di discernimento politico ma non di ambizione, è stato insignito di una immagine pubblica totalmente ridicola: uscito dal governo dei tecnocrati, dove non si era certo segnalato per alcunché di rilevante, tampoco in senso politico, è diventato grazie alla curatela di Repubblica (editore Carlo De Benedetti, direttore Ezio Mauro, fondatore Eugenio Scalfari) e alla sua scia giornalistica lunga lunga, un capo addirittura della sinistra italiana. Roba da matti. Ieri con la bella Fornero, oggi con il Vendola e con pretese su un Pd ma ben bene di sinistra, e come si diceva nel vecchio gioco del Monopoli, “senza passare dal via”. Cose ’e pazzi.

Cruciani e Parenzo, i due sublimi sporcaccioni che hanno reinventato la radio e fanno del giornalismo burlone, di successo in mezzo a tanta noia, gli hanno fatto telefonare da un finto Vendola preoccupato delle notizie lette su Repubblica: ma che, vai al Tesoro con l’odiato Renzi? Dette due parole, per il resto ha fatto tutto quel tipino logorroico di Fabrizio. Non solo c’è cascato, perché insomma, il discernimento eccetera, ma si è vantato in modo grottesco di avere detto di no alle pressioni di Carlo Debenedetti e a quelle del Matteo.
Ci crediamo? No che non ci crediamo. Avrà fatto qualche telefonata di ricognizione, dopo un articolo soffietto del giornale di casa, e gli hanno risposto cortesemente dei numeri otto o nove del giro di Renzi, che pensa a tutt’altro. E allora Fabrizio il logorroico si è vantato per venti minuti con Vendola ammutolito di avere respinto l’assalto del capitale, capirai, non mi ha nemmeno chiamato Matteo, ha singhiozzato, solo qualche gregario, eppoi sono un branco di scemi, porteranno il paese alla rovina.
Sono i segretucci del potere all’italiana, floscio. Un giornale politico ti inventa, mette le fotine, ti intervista, siamo tutti un po’ Civati. Poi ti candida, in nome dei tuoi paper sul catoblepismo e le scienze cognitive, che spasso, e tu stai al gioco, prima o poi qualcuno che ti fa fare qualcosa si troverà, e la Repubblica, come giornale, ne avrà di che godere, un qualche puparo saprà come usarti. Capito?
E noi gli paghiamo lo stipendio di dirigente generale al Tesoro, lasciandogli lo spazio per fare politica nel week end, ma tenendo presente che quando va in tv il politico funzionario non può dare giudizi sul governo, dice lui, facendo parte della pubblica amministrazione.
Da mesi ci permettiamo di scrivere in solitario che Barca è una truffa vivente, che è inventato, che ha le stimmate del bravo ragazzo bene invecchiato ma non è adatto né per il governo né per la politica, tra l’altro si esprime molto male per iscritto in italiano. Niente da fare. Fanno finta che non sia così. Lo incensano, seguono i suoi “viaggi nella crisi italiana”, gli danno la parola quando si tratti di dire qualcosa di banale e non sia a disposizione per influenza o raffreddore un Saviano, e alla fine fanno la mossa di candidarlo, ma è il loro mestiere, in un posto di potere. Basta che un falso Vendola gli telefoni e questo giochetto risibile salta, “il caso Barca”. In che senso?
Nel senso della chiacchiera, che è il materiale in cui rifluiscono le carriere sulla chiacchiera costruite. Potere floscio, e non se ne parli più.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: