Il vero scandalo di Sesto? Il troppo spazio del ruolo pubblico

settembre 3, 2011


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Ciò che il caso Penati dovrebbe insegnare sul rapporto tra politica e intervento sull’economia. Ma è vecchia storia.

Siamo così assuefatti alla funzione vicaria della magistratura, da non farci neppure più caso? Nella vicenda che vede convolto Filippo Penati si indaga su ipotesi di concussione o di corruzione, si scava nella contiguità tra partiti della sinistra e attività economiche ad essa tradizionalmente vicine, si sospetta della funzione assolutoria di presunte superiorità morali. Ma nessuno che prenda il bandolo della matassa e discuta degli errori, errori politici, all’origine dei fatti di cui si occupano i PM. Eppure questa dovrebbe essere la reazione naturale per i politici, quasi un riflesso condizionato per quelli cresciuti a suon di strutture e sovrastrutture.

Eppure qualcuno a suo tempo si era interrogato sul senso, politico prima che economico, dell’operazione: se non fosse per appropriarsi del beneficio privato del controllo perché mai Comuni e Regioni avrebbero litigato per il controllo di autostrade, quando lo Stato aveva venduto le proprie e pensava di vendere le strade ordinarie? E per opporsi agli enti locali che andassero in direzione opposta, proponeva la soluzione un po’ giacobina di tagliare ogni trasferimento per insegnargli a tenere a bada le loro “passioni”.

L’afasia è il fatto politico di questa storia. Tutti a cercare di trarre un misero tornaconto dalle disavventure altrui, a chiedere compunti e virtuosi a Penati di rinunciare ai suoi diritti di difesa, per poi esigere che ubi minor, maior sequatur. Perché nessuno dice forte e chiaro che quell’operazione era politicamente sbagliata, e che politici erano i motivi per cui non andava fatta, indipendentemente dalla congruità del prezzo e dagli scambi di favori che ci potevano essere sotto? In questi giorni ci si affanna e ci si divide su come mettere insieme una manovra correttiva che non sia fatta tutta di tasse: perché nessuno ricorda che a formare il nostro debito ci sono anche quei 240 milioni di € più interessi che è costata l’operazione nel 2006? A destra per seminar zizzania, a sinistra sperando che cresca grano, in tanti vogliono esigere dai cittadini una parte del loro patrimonio per ridurre il debito nazionale: ma se non riconoscono gli errori politici che hanno originato quel debito, con che faccia giurano che questa volta è per davvero, e che quei soldi non finiranno per comperare nuove autostrade? O per far costruire nuovi quartieri?

Sembra un film di vent’anni fa: a far scandalo è la tangente sull’opera, non l’avere deciso di costruirla, la distrazione e non la distorsione. Se la tangente serve all’arricchimento personale, tutto finisce lì. Il groviglio si forma se la tangente serve a finanziare la politica, cioè se è il mezzo per conquistare il potere di prendere le decisioni. Che fatalmente finiscono per essere quelle che non andrebbero prese. E’ tutto qui il succo della vicenda Penati: la politica crede che la soluzione dei problemi si trovi ampliando l’area della propria discrezionalità, mentre è il cappio in cui il Paese finisce strangolato.

Se il problema è politico, politica ha da essere la soluzione: ridurre l’ambito in cui il pubblico può prendere decisioni con rilevanza economica. Restituire al mercato le IRI municipali è (in teoria) semplice. E così evitare di sussidiare imprese che nessun investitore finanzierebbe. Un problema più complesso è il potere di creare ricchezza, con un tratto di penna che modifichi la destinazione d’uso di un terreno. L’analisi delle crisi dei mutui subprime in America rivela in modo inequivocabile le ragioni politiche per cui è stato favorito l’indebitamento delle famiglie; l’analisi dei vari Sesto San Giovanni credo che possa spiegare le ragioni politiche per cui è stato consentito che crescesse a dismisura l’indebitamento delle società immobiliari. Sarebbe già un punto di partenza.

ARTICOLI CORRELATI
Nuove partecipazioni statali e soluzioni un po’ giacobine
di Franco Debenedetti – Economy, 18 novembre 2005

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: