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Archivio per il Tag »magistratura«

→  ottobre 31, 2012


Qualche dubbio ce l’avevo anch’io, che l’uscita dal campo di Berlusconi non fosse proprio last and final: ma non sono tra quelli che ora ammiccano «te lo dicevo io!». E neppure tra quelli che drammatizzano le conseguenze del suo voltafaccia, rientrare in campo, cavaliere solitario per ripulire la magistratura dai comunisti. Al contrario penso che la cosa potrebbe anche avere conseguenze positive a destra: e invece, per colmo di paradosso, averne magari di negative a sinistra.

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→  settembre 3, 2011


Ciò che il caso Penati dovrebbe insegnare sul rapporto tra politica e intervento sull’economia. Ma è vecchia storia.

Siamo così assuefatti alla funzione vicaria della magistratura, da non farci neppure più caso? Nella vicenda che vede convolto Filippo Penati si indaga su ipotesi di concussione o di corruzione, si scava nella contiguità tra partiti della sinistra e attività economiche ad essa tradizionalmente vicine, si sospetta della funzione assolutoria di presunte superiorità morali. Ma nessuno che prenda il bandolo della matassa e discuta degli errori, errori politici, all’origine dei fatti di cui si occupano i PM. Eppure questa dovrebbe essere la reazione naturale per i politici, quasi un riflesso condizionato per quelli cresciuti a suon di strutture e sovrastrutture.

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→  marzo 15, 2011


dalla rubrica Peccati Capitali

Secondo l’art 104 della Costituzione la magistratura è un “ordine autonomo e indipendente” . Ordine, non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così dire invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per questo Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati fossero eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o potere che sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati giudicanti si parla.

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→  agosto 26, 2010


Lettera al Foglio

A causa della legge che chiude le pendenze Mondadori col fisco, Vito Mancuso (forse) “se n’è gghiuto”: glielo impone l’etica, stella polare del suo magistero. Ma etica è meditare prima di giudicare, coltivare i dubbi insieme alle certezze. Questa legge, per la sua origine, è sicuramente “ad aziendam”: non potrebbe essere “ad aziendas”?

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→  febbraio 1, 2009

lastampa-logo
Intervista a Saverio Borrelli

Almeno a Milano i numeri gli danno ragione. In tre anni le intercettazioni telefoniche sono diminuite quasi della metà, nel 2006 ne erano state fatte quasi seimila, l’anno scorso sono scese a poco più di tremila. Tra i tanti soddisfatti, a sorpresa c’è pure Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo della procura oggi in pensione, l’ex magistrato a capo del pool di Mani pulite che pure ieri non ha voluto mancare all’inaugurazione dell’anno giudiziario: «Non si può fare a meno delle intercettazioni telefoniche, ma la magistratura deve fare un’esame di coscienza e avrebbe dovuto autolimitarsi».

Dottor Borrelli, non teme di diventare impopolare tra i suoi colleghi di un tempo? Molti di loro temono di essere imbavagliati a non poter più mettere telefoni sotto controllo…

«Io mi considero ancora appartenente alla magistratura e seguo le vicende giudiziarie con lo stesso spirito e rigore autocritico che avevo quando esercitavo la professione. Può darsi che la mia posizione sia impopolare. Ma bisogna essere autocritici. Non bisogna privare magistrati e forze di polizia di questo strumento di indagine ma probabilmente una riforma era inevitabile. Era necessario autolimitarsi».

Detto da lei sembra una critica ai suoi ex colleghi, accusati molto spesso di essere troppo appiattiti sui risultati che possono venire dalle intercettazioni telefoniche. E’ così?

«Assolutamente no. Non penso che i magistrati abbiano delegato la loro capacità di indagine alle sole intercettazioni. Ma è vero che qualche volta, con la speranza di di riuscire a trovare elementi a supporto delle indagini, si sono protratte a tempo indeterminato delle intercettazioni che invece andavano sospese molto prima. Magari dopo dopo tre o quattro settimane, visto che non portavano a nulla di concreto per le inchieste».

Secondo lei sono stati compiuti degli abusi?

«Non voglio parlare di abuso. Preferisco dire che c’è stato un eccesso. Un’eccessiva facilità in buona fede, nel protrarre a tempo indeterminato le intercettazioni».

Concede la buona fede anche al vicequestore Gioacchino Genchi e ai suoi dossier?

«Il suo è un archivio fatto per proprio conto. Non c’entra nulla con le intercettazioni. E’ un’altra cosa, fatta da un libero professionista, sfuggita ad ogni controllo».

Ma come si fa a concedere sei mesi per di più prorogabili per condurre le indagini e limitare ad appena sessanta giorni la possibilità di tenere sotto controllo i telefoni?

«Sessanta giorni sono un tempo intermedio che è stato trovato tenendo conto di tutte le esigenze. Nella limitazione dei tempi per le intercettazioni vanno ovviamente salvaguardati due principi».

Uno è quello che le indagini in corso non possono essere vanificate…
«Ovviamente deve essere salvaguardato il principio dell’efficacia delle indagini. Lo strumento delle intercettazioni è fondamentale per la magistratura e le forze di polizia. Va limitato ma non si può prescindere dal suo utilizzo in molte indagini. Ma c’è un altro principio fondamentale che deve essere salvaguardato allo stesso modo: è la tutela della privacy del cittadino, il rispetto della sua riservatezza. E’ chiaro che ci sono delle eccezioni a questo discorso».

A cosa si riferisce?

«Nel caso di un sequestro di persona in corso, è giusto andare avanti: non ha senso limitare l’utilizzo di uno strumento fondamentale a quel tipo di indagini, come sono le intercettazioni telefoniche».

All’origine delle polemiche degli ultimi tempi, ci sono i verbali di alcune intercettazioni non proprio utilissime alle indagini finiti sui giornali…

«Non ho mai avuto il gusto di buttare la colpa sugli altri ma il mondo dell’informazione in questo caso qualche responsabilità ce l’ha. Se i magistrati devono autolimitarsi come ho detto, forse anche i giornalisti devono porsi qualche limite».

ARTICOLI CORRELATI
Le tre libertà. Chi paga di più il compromesso
di Franco Debenedetti – La Stampa, 03 febbraio 2009

Se si conosce il colpevole a che serve intercettare?
di Gian Carlo Caselli – La Stampa, 04 febbraio 2009

Le tre libertà
di Luca Ricolfi – La Stampa, 31 gennaio 2009

→  giugno 28, 2008

il_riformista
Caro Direttore,

nel tuo editoriale di ieri, indichi i “buchi logici” nelle analisi della vicenda politico-giudiziaria di Berlusconi condotte con gli strumenti dei sacri principi dello stato liberale e della separazione dei poteri. E in primo piano metti il buco (logico o nero?) della realtà del nostro sistema giudiziario, tra inefficienza, politicizzazione, inquinamento mediante rilascio di intercettazioni.

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